La Rivista Culturale

sabato 17 luglio 2010

incipit


A metterli tutti in fila verrebbe fuori una collana di perle. O una scala.
Carichi di entusiasmo o di pathos, comunque vivi.
Sto parlando degli inizi, della loro semplicità invitante, virtuale patina bianca da decorare battendo tasti di un pc.
Ho un foglio di word zeppo di soli incipit.
Storie nel bozzolo, bachi da seta mai più coltivati, lasciati appassire in qualche cartella senza nome. Come si fa a concimare un racconto? Quale tipo di fertilizzante è necessario?
Scelgo l'immagine della scala, la collana di perle rimanda a qualcosa di prezioso, mentre il mio ammasso immaturo è un lavoro grezzo, in fieri.
E dunque, Scala. Formata da un solo gradino, sul quale salgo sapendo che non potrò raggiungere nessuna altezza.
Mi aspetto che il seguito si produca da sè.
Non mi sono mai piaciute le scale mobili, o gli ascensori, tutti quei mezzi comodi, per così dire. Raggiungere la meta con le proprie gambe lo trovo molto più.. personale.
Eppure non riesco a infondere la stessa voglia di personalizzazione in ciò che scrivo, mi limito ad allungare i miei arti inferiori al primo dei gradini che dovrei percorrere, aspettando chissà quale miracolo architettonico. Non si muove da sola, l'ho scelta io la non-scala-mobile. Resto sospesa tra qualche centimetro di terraferma e il nulla, se non mi smuovo da lì.
Bevendo un bicchiere d'acqua pieno di ghiacciolini colorati mi è stato suggerito di allenarmi, con ogni mezzo e in ogni momento. Magari andrò a ripescare qualche partenza abbandonata, nella cartella senza nome, e chissà, finalmente potrò riuscire a battezzarla con qualche titolo.
L'ultimo capitato sotto agli occhi è un eco dal passato, all'aspro sapore di un'arancia senza troppo succo. Ve ne lascio un morso.

Ho capito che genere di persona è: una di quelli che nelle foto non stanno mai in mezzo, sempre in disparte, e sorridono in modo forzato.

"smettila di maltrattarti,di vivere nell'attesa,di nutrirti della tua stessa sofferenza."

"non ci riesco."

"..."

"è difficile,ma tu non lo vuoi nè puoi capire"

"lo capisco benissimo,invece. Tu hai preso l'arancia non perchè il frutto ti piaccia, semplicemente per l'odore che ti resta sulle mani,una volta sbucciata.

Non hai mai saputo viverti il presente, ti sei sempre limitata ad aggrapparti a un o,peggio,a un . Ti senti sicura dietro alla paura, ben riparata nei tuoi castelli impossibili? Devi capire che è tutto una stupida bugia, che ti sei voluta costruire tu stessa.

Prendi quell'arancia e,per l'amor di Dio,gustatela."

martedì 6 luglio 2010

foglietti gialli.


Ma poi a uno gli scappano, le parole.
Le deve incollare subito al foglio, così, come scivolano sulla punta della lingua, quasi a volere essere pronunciate. Quasi.Capita anche che si passi la vita a comprare quaderni, di tutti i colori e grandezze, accumularli ma non saperli riempire mai.
Chi l'ha stabilito che il salto nel vuoto, dalla punta estrema di una lingua zeppa di lettere sparse in una casualità senza regole, una lingua afasica, incapace di pronunciare una fila ordinata che abbia un senso e non si riduca a pure astrazione, chi l'ha deciso che quel tragitto, quel salto nel vuoto, quel precipitare, perchè a parlare si cade, senza l'intervento di un paracadute di fortuna, si cade e ci s ipuò tagliare un labbro, scheggiare un dente, frantumare il cuore.
Chi l'ha stabilito che quel salto nel vuoto siano in grado di affrontarlo tutti?

Per ogni volta che impugnare una bic significava brandire una lama affilata, unica arma per affrontare il mondo. Senza il peso di un'armatura o l'ingombro di uno scudo.

Sezionare il mondo con mano chirurgica per poi ricucirlo in altre
forme.
Catturare una sensazione, imprimersela dentro, donandole il proprio corpo come dimora.
Raggiungere gli estremi dell'esistenza e viverli instancabilmente con le parole.
Inventare uscite di sicurezza dalla realtà, lasciandole chiuse, senza utilizzarle per davvero.
Vivere inspirando aria, trasformarla in suoni che scivolano attraverso una scia di inchiostro
Osservare quel mondo racchiuso in una sensazione, ora concentrata negli estremi di un foglio.

Per carprire l'essenza di ciò che è volatile ma perdura nel disordine di lettere sparse, tra una bocca che non dice e uno sguardo che non smette di parlare.
Per pesare la leggerezza che sono in grado di lasciarti dentro, due parole e un paio d'occhi.