La Rivista Culturale

mercoledì 22 dicembre 2010

"lo spettacolo d'arte varia, di uno innamorato di te."

È già ricordo, ancora fresco e soffice, neve appena posata a terra.
Fiocchi a sommarsi gli uni agli altri, uniformandosi in patina bianca, manto candido, distesa di purezza incontaminata.
Al suo disgelo, ecco una nuova buca sulla strada, il ghiaccio ha spaccato il cemento e lì lascia un solco.
Un suo ricordo.
Neve e Bellezza.
A che profondità scava, fin dove può arrivare dentro, la Bellezza?
Quella che si manifesta in un risveglio avvinghiato a un altro corpo, che a forza di reiterarla, non si esaurisce, non si stropiccia neppure un po'.

Appunto con tutta la calma che mi offre quella coperta calda e quel tempo che non scalpita per passare troppo veloce, appunto per bene la delicatezza di un dito che segna un immaginario percorso sul mio viso.
Sorriso di bambina con gli occhi appena chiusi, a cui viene regalato il bacio della buonanotte da una mamma premurosa.
Sorriso di piccola donna con gli occhi ancora chiusi, a cui il "Buongiorno" si presenta vestito d'amore.
Un amore da spogliare, piano piano, fino a scoprire in ogni suo strato, per poi rimboccargli la coperta al fine di proteggerlo. Dal freddo, dagli sbagli, da qualunque paura possa avere.

Tapparella abbassata al punto giusto, righe sottili di luce a dar forme a una stanza che non è la mia.
Notte, giorno, ancora notte e nuovo giorno. Ancora, e ancora.
Ripetere una quotidianità che irrompe nell'abitudine e sradica qualunque noia.
Sognare, farlo insieme e a occhi spalancati, crederci in quelle righe scritte su un foglio che hanno tutta la concretezza di un futuro che, vicino o lontano, si avvererà.
E avrà ancora più valore, perché sarà stato scelto. Da noi due.

Cerco delle parole, alle volte, per saper spiegare.
Quello che provo, quello che secondo me è importante, che farebbe piacere conoscere anche a chi mi sta a un soffio di vita, a chi ci è dentro, alla mia vita.
Non sono veloce a sfogliare il dizionario delle mie emozioni, non riesco a tenere il dito sul lemma che ho trovato e a pronunciarlo subito.. mi scappa il segno, si confondono le definizioni, taccio.
Ho imparato un trucco.
Niente ricerca ossessiva di quelle parole scivolose, vivo di quei silenzi che prendono il loro posto, silenzi ordinati, estesi, che non scappano. Che si lasciano vivere da due persone.
Lascio il microfono agli occhi, veri teatranti di certe situazioni.
Con un battito appena sono in grado di manifestare la più incontenibile delle gioie, racchiudono dei veri orgasmi, loro, che strepitano dello stesso piacere di quando invece è il resto del corpo, a fare l'amore.

E così, mentre tutto questo accade, inalandone il muto piacere, si scrive il diario della mia memoria.
Ed ecco il ricordo, meno fresco ma comunque soffice, neve che diventerà ghiaccio e si scioglierà in acqua purissima
Nuovo solco della medesima Bellezza, scavato insieme sulla mia strada, dentro di me.

giovedì 16 dicembre 2010

Loro e gli altri. Ahi serva Italia.


Voci soffocate, manganelli che gridano.
Rabbia giovane, mondo vecchio.

Loro sostengono la necessità di ricorrere a metodi nuovi per farsi ascoltare, dopo un anno di lezioni in piazza, cortei e pacifiche richieste.
Ma arriva un giorno che si chiama 14 dicembre.
Lacrimogeni, scontri, incendi.
E poi loro, i giovani, fuori in piazza.

Gli altri, quelli dentro, protetti nella bambagia parlamentare, quelli che invece a quanto pare, hanno il diritto di prendersi a cazzotti, quando gli insulti finiscono.
Incapaci o privi della voglia di interrogarsi sul perché là fuori, a pochi metri dalla culla di palazzo Chigi, un'onda di ferocia infiamma le strade, paralizzando u
na città.
Perché.
Domande troppo scomode per quei seggiolini confortevoli.
Sfugge il senso delle cose, resta e cresce l'odio, alimentato dall' incapacità, quella degli altri, che dovrebbero provare a rispondere, per impedire che quell'onda ingigantisca e si tramuti in uno tsunami, come il 14 dicembre.
Violenza ignorante, paralizzante.

Urla, accuse, sceneggiate.
E c'è, negli altri, chi continua a negare con fermezza e fierezza la catastrofe generale.
Attori di uno spettacolo tragicomico, solito copione senza battute finali.

Disoccupazione, precarietà, insicurezza.
Loro chiedono ascolto.
Gli altri hanno orecchie solo per sentire l'eco della propria voce.

E un quasi duemilaeundici spettrale, come prospettiva.
Colorato dalla fluorescenza dei lacrimogeni o dal blu dei caschi di chi compie il proprio lavoro, anche se forse, nemmeno vorrebbe trovarsi lì, in quella folla arrabbiata che ha tutti i diritti di protestare - e soprattutto, di essere ascoltata-, ma non di agire con violenza e vandalismo sfrenato.
Dispiace sentirsi dire " Mi auguro andrai a vivere da un'altra
parte appena potrai..".
Parole di una mamma preoccupata per questo futuro che non è degno di chiamarsi tale, per chi nutre speranze che, per il momento, sembrano evanescenti come le promesse che non mantengono quasi mai, gli altri.


"Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!"

Dante Alighieri, Purgatorio, Canto VI, 76-78

sabato 11 dicembre 2010

Dea Musica, la Scintilla in un mondo di Plastica.


C'è uno spazio, tra le note. Non ha estensione, nè forma.
Eppure c'è.
Una sorta di buco nero, inghiotti-tutto.
Luce,aria,tempo.
Pensieri.
Non si percepisce ascoltando una canzone, che fila via liscia, nella sua esatta sequenza di voce-melodia-accordi-ritmo.
Eppure c'è.
E sapete una cosa? Quell'aspirapensieri nascosto tra i rivoli della musica, a un certo punto, rigetta tutto.
Ogni frangente che si era ingurgitato con avidità, ogni sussulto d'anima, ogni brivido lungo il corpo, me lo restituisce quella stessa musica, al nuovo ascolto.


La vita è costellata da Momenti. Ogni secondo che scocca lo è, ma lo è solo con la m minuscola.
Io sto parlando di Momenti.
Quelli che uno sceglie.
Quelli che è vertigine anche solo avvicinarsi col pensiero.
E farfalle nello stomaco, e sorrisi beati.
E dannata malinconia, delle volte.
Loro sono così, accadono, svaniscono, e si ripresentano per durare ancora, senza una scadenza.
Come le Nuvole di De Andrè.
Vanno..
vengono..
ritornano..
e magari si fermano tanti giorni,
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai




Ognuno usa i trucchi che ha, per marchiarli, quei Momenti.
Io li incido. Mi fingo scultrice.
Prendo un blocco di marmo - il sottofondo di una canzone

vergine, integro, senza che altre mani l'abbiano anche solo sfiorato prima - fino ad ora mai ascoltata con il cuore, solo con le orecchie, come fosse un rumore, nulla più

lo modello con le mie mani, con gli strumenti di cui dispongo - imprimo colori, sfumature, odori, parole, sguardi e silenzi, la tatuo con ciò che sto vivendo

ne ricavo una statua che eternamente mi ricorderà e mi riporterà con la mente alla fatica,alla gioia,alle sensazioni vissute mentre le davo forma - ecco la canzone che mi traghetterà su quella terra lontana, facendomi approdare esattamente a quel Momento.


A volte basta un violino, capace di accarezzarmi il viso con la stessa delicatezza di una mano che mi ama.
L'assolo di una chitarra le cui corde mi solleticano e magari, graffiano un po'.
L'intensità di un pianoforte che mi avvolge come una coperta calda, premurosa e morbida.
E poi la voce, che prima imprime le parole sulle note e poi, subito, nella mia pancia.

Io sono presuntuosa, mi aspetto che per tutti sia così. Così naturale.

Vorrei una colonna sonora della mia vita, semino note e ricavo ricordi.
E mi piace questa agricoltura musicale, ci metto tutta la passione che ho.
Ma mi sento così stupida, a volte. Così vanamente emotiva, infantile.
Una tossica che impazzisce se non assume la sua dose.
La considero davvero una specie di droga, che inietto in vena senza preoccuparmi, convinta non possa arrivare l'astinenza. Tenendomi ancorata a tutto l'amore che nutro per lei.
Da quando ho appreso la meraviglia della Musica, della sua ricchezza, del suo potenziale infinito, non posso più farne a meno. "Dea, dea musica, la mia cura e compagna fantastica." [cit. Piero Pelù]

venerdì 3 dicembre 2010

da un balcone vedi

"Come eravamo piccoli..."
E ci scappa un sorriso, assieme alla nuvoletta d'aria che esce dalla bocca.
Fa freschino, è decisamente Dicembre, non ci sono dubbi.

Ci sono mattine in cui mi sveglio e sono proprio contenta di quello che sto per fare.
Tipo oggi.
Citofonata lunga perché figurarsi, il proprietario di quel balcone dorme ancora, all'alba delle 9 del mattino. Entrare in una casa dopo tanto tempo, portare un buongiorno frizzantino e qualche brioches piena di crema.
Masticando quei dolci inevitabilmente finiamo per masticare anche ricordi.
E ci ritroviamo proprio lì fuori, su un balcone così grande da abbracciarlo tutto, l'appartamento all'ultimo piano.

"Come eravamo piccoli..."
nuvoletta di fumo e via dicendo..Dicembre, non ci sono dubbi.

Lascio che mi entri dentro tutto quel bianco di cielo e di case coperte di neve, mentre faccio scivolare fuori banali considerazioni sul tempo che passa.
Anni fa, vite fa ormai, a calpestare le stesse piastrelle, a farsi entrare negli occhi lo stesso paesaggio, magari meno bianco e meno mattiniero.
Infatti erano le notti, per lo più.
Passate insieme agli amici, quelli che hai quando i 16,17,18,19 anni ti cadono addosso come il più leggero dei vestiti. Che ti copriva, comunque, e ti calzava proprio bene a quell'età.
Una casa piena di vita che non andava mai a dormire, se non quando la notte si schiariva e gli occhi erano troppo stanchi per guardare un altro film.
Giovani vampiri notturni, con il sangue che li avrebbe nutriti che scorreva nelle vene di bottiglie colorate.
Risvegli appannati, balconi da asciugare (..non so come ma una volta qualcuno ha finito per allagarlo..) cibo sparso per casa, cuscini ovunque..il tipico casino casalingo di un gruppo di adolescenti.
Nei nostri vestiti perfetti.

"Com'eravamo piccoli..."

Li avevo conosciuti solo qualche anno prima, all'oratorio feriale della mia quarta ginnasio.
Mi sono piaciuti tutti quanti.
Ma poi sono arrivati i 19 anni, i 20 e ora i 21.
Anche se abbiamo smesso con quelle notti, il loro ricordo
non mi procura nessuno strappo, al nuovo vestito che ora indosso. Perché inevitabilmente l'ho cambiato.
Quelle notti le ho trasformate in una tasca, nella quale poter frugare per trovare persone che, a distanza di tutti questi anni, ancora ci sono.
Per una colazione e una chiacchierata.
Per sentirci un po' più grandi, appoggiati al muretto di quel balcone.