La Rivista Culturale

domenica 6 novembre 2011

Grazia e Natura. Dal cielo in giù.

 C'è stato un periodo, qualche tempo fa, in cui tra le sei e le sette di sera perdevo gli occhi nel cielo.
Coi suoi minuti di tramonto spruzzava nel telo di aria che avvolge la terra un colore intenso, quasi artificiale..rosa di vita lo definirei, per la sua freschezza, per il suo brillare carico di dolcezza.
Non abbagliava, ma non era nemmeno malinconico.
Uscivo dalla porta di casa, e, voltandomi a sinistra, facevo un inchino al contrario, dal basso all'alto, una deferenza nei confronti di chi non smette di regalare visioni al confine col magico.

Da qualche giorno, invece, nessun elogio sale più al cielo.
Anzi, lo si disprezza per l'acqua che ci getta addosso impietosamente, liquido trasparente dalla potenza distruttrice, che fa esplodere la disperazione in chi sta sotto le nuvole e non riconosce più la sua casa, la strada che percorre ogni giorno a piedi, la sua città.
Ma che colpa ne ha, quel cielo che mi fa tanto appassionare per quanto è puro, per gli spettacoli che ci offre gratuitamente, che ogni tanto, come accade anche a noi uomini, si sfoga con lacrime che noi malediciamo.

Castigo per chi osa sfidare un ambiente non fatto su misura per palazzi a ridosso del mare e delle montagne. L'uomo lo sa, ma finché non è protagonista di un dramma, preferisce fingere di non esserne a conoscenza. Così scarica la responsabilità a un meteo ingiusto, a una tempesta che è buona solo a provocare danni, a chi di colpe non ne ha.

Ma la natura non potrà mai darsi limiti, la natura è irruenza, è cataclisma incessante, anche nei suoi minimi cambiamenti. Ne risente l'intero ecosistema.
Noi ci rendiamo conto solo delle sue più imoponenti modificazioni, ma se c'è una cosa che ci insegnano da subito, a scuola, è che il plancton, per quanto minuscolo sia, è fondamentale per la sopravvivenza di inte re specie marine.


"Ci sono due modi per affrontare la vita: lo stato di natura e lo stato di grazia."

In "Tree of Life", film che lascia perplessi i più, si ha un elogio delle due potenze che governano il mondo: Grazia e Natura.
Per l'uomo è facile seguire la pulsione più forte, quella che atavicamente ha sede in lui e ne guida le gesta che garantiscono la sua sopravvivenza.

Poi però esistono sentimenti più sottili degli impulsi, bisogni che trascolorano in "di più" coi quali dare arricchire la propria vita, che alcuni chiamano arte, altri amore, altri ancora "filosofia".

Io, che amo il sole quanto più illumina e riscalda, vorrei imparare a esercitare quel dono di cui troppo spesso si fa spreco, quel "di più" che mi permette di alzare gli occhi al cielo, e, nonostante la pioggia, ringraziare.

 ”Alla natura si comanda solo ubbidendole.” Francis Bacon






mercoledì 14 settembre 2011

Quattro Stracci.

Ti attraversa gli occhi quel lampo, gelido e penetrante, di quelli che mi si conficcano tra il cuore e un polmone.  Respiro appena, mi arrampico al poco ossigeno che mi rimane attorno, perché lo hai ingoiato tutto tu, il resto. Per gridarmi addosso tutta quella dannata verità. 

Su quanto io sia infantile. 
Ne ho bisogno, sei il mio promemoria in carne e ossa, sei la persona che mi regge lo specchio. 
È grazie a te se riesco a migliorare il peggio che ho.
Ma come faccio a parlare, se mi manca l'aria.
Taccio, inerme.
Aspetto la parola giusta, la frase a mia discolpa. Che però, non arriva. Vorrei riavvolgere il tempo di pochi minuti, controllare una reazione, cambiarmi il carattere. Con una magia. Come non può accadere, nella realtà. Perché questa è fatta da scelte concrete, attimi che ti passano tra le mani e devi essere tu veloce a serrare i pugni per intrappolare le manciate di secondi. Per non pentirti poi, per non aver bisogno di correre a cercare la parola giusta, la frase a tua discolpa. 
E mi sento colpevole, per il non sapermi controllare. Per le emozioni che mi sorprendono con la loro puntualità inaspettata, e mi scaraventano secondo la loro corrente. Non sono brava a nuotare in questo mare, non sono abile a improvvisare, a mettere punti fermi, boe per stare a galla. 
E, appesantita, sprofondo.

Poi quel lampo ti è sparito.
E sei andato via, insieme a quel po' di delusione che accompagna sempre la fine di un litigio.
E ora che mi è rimasto solo l'eco delle tue parole, cosa me ne faccio di tutto quest'ossigeno che mi entra dentro, se non posso più sentirmi soffocare davanti a te?

[...]
La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla, 
ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla; 
io, se Dio vuole, non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre, 
tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte, 
poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla: 
le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte 
ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla! 

Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me, 
ma non c'è un alibi, non c'è un rimedio, se guardo bene no, non c'è un perchè; 
nata di marzo, nata balzana, casta che sogna d' esser puttana, 
quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori 
ed hai annullato tutti fuori che te, 
ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri, 
persa a cercar per sempre quello che non c'è, 
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri 
persa a cercar per sempre quello che non c'è, 
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri 
persa a cercar per sempre quello che non c'è...
[Quattro stracci_F. Guccini]

the pride_William John


“Chiunque può arrabbiarsi, questo è facile. 
Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, e al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:
 questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile”. Aristotele



mercoledì 7 settembre 2011

uno stralcio di racconto ripescato dal tempo..

"Fammi la magia dell'inchiostro blu." Tono senza richieste, al tabacco.
Il mio editore mi è di fronte, schiacciandomi coi suoi occhi color ebano.

Ha espresso una richiesta, e si aspetta che io la esaudisca.
Dita -le mie dita- contratte, per afferrare la labilità di un pensiero.
Quanto le ho allenate, a catturare quelli che dai più vengono chiamati "attimi".
Uno scatto e percorrevano il tragitto che le separava dalla pagina vergine e senza peccati.
La scia si posava con eleganza impetuosa sul bianco, impietosa decorazione di parole.
A colorare l'anima senza sangue di un foglio.
Sfumarne i possibili significati, smussarne gli angoli.
Impastarsi con la sua impassibilità e infondergli un bagliore di vita
Mettevo in circolo l'inchiostro per attivarne il cuore.
"Non posso." Appena sussurrato. Appena.
Nessun organo avrebbe potuto sopravvivere senza la carica dei battiti cardiaci. Nessun corpo. Neppure quello immobile di una patina di cellulosa.
Ho una necrosi del cuore in corso, mi dispiace Franco, nessuna magia sul tuo palcoscenico.
"Dopo l'ultimo racconto mi aspettavo qualcosa di più che una dichiarazione di incapacità. Mi deludi, sai?"
E se ti dicessi che lì dentro, in quello che definisci "racconto", ci avevo riversato tutto l'inchiostro contenuto nella gabbia toracica, proprio lì, tra i due polmoni?
Ho rischiato di soffocare, vittima del mio stesso trucco da prestigiatrice folle.
So che ti aspetti una mia iniezione di liquido blu.
È inutile che aspiri con più vigore, la sigaretta non può ribellarsi alla sua fine imminente, morirà bruciando di se stessa e su questo sì, hai il potere.
Alzo lo sguardo, incontro i tuoi occhi interrogativi e inizio a spogliarmi, lentamente, strato dopo strato di anima.
"Si, sono incapace. Di provare emozioni che trasformino l'astratto in parole che siano concrete. Di guarire dalle metastasi che mi impediscono di provare quello che la gente comune sperimenta, con cadenza quotidiana. Di sezionare il mondo con l'unica arma di cui ero provvista per affrontare le insidie che uccidono, la mia penna, scudo e fionda al tempo stesso.
Prima di conoscerti non potevo fare a meno di appuntare, registrare, immortalare esistenza, per ogni frangente di eternità.
Lo facevo per svuotare il male che si radicava nei nascondigli di un corpo giovane e instancabile come il mio. Ne ero dipendente, lo so.
Ma di quella droga non sarei morta, se non volontariamente.
Mi macchiavo di colpe che non avrebbero potuto essere assolte eccetto che con una confessione.
E questa arrivava, puntuale e precisa, con le mie storie. Solo loro mi pulivano.
Però poi, grazie allo sporco mondo dell'editoria, ho scoperto che non serve purificare l'anima per ottenere un Giubileo della durata di una storia da raccontare.
Pensavo ci si salvasse scrivendo, distillando goccia a goccia gli umori cattivi, sfino a sfiorare la maniglia di un Paradiso inarrivabile ma evidente.
Allora la pagina non era più una zolla pura da fertilizzare con semi di eloquenza, era un campo da arare per raccogliere i frutti già maturi che la penna materializzava.
E il contenitore di inchiostro, il calamaio e tutte quelle righe sconnesse ma così cariche di espiazione mi rendevano perpetuamente grazia.
Sei arrivato tu e hai risucchiato tutto, con la tua avidità.
Ti deludo, ma mantengo il mio onore. Non sono la tua sigaretta, decido io quando smettere di esistere per te."
Monologo di aria e rumori. Nessuna scia di inchiostro.
Dita -le sue dita- contratte, per afferrare una risma di fogli bianchi e gettarmela addosso.
Che dolce, questa cascata di candore su di me.
Socchiudo gli occhi, lascio che piovano sottili gocce cartacee e, come l'ultima lacrima di un calamaio, sparisco. 




mercoledì 24 agosto 2011

aspettando la vacanza futura... rievoco l'Istria con la mia scrittura.. perché vorrei già tornare a Premantura!

Un market e due vie che si incrociano. Lampioni accesi a spegnere le stelle che invece si vorrebbero ammirare. I grilli nascosti a cantare e l'abbaio incessante dei cani. Questa è Vinkuran, in un giorno qualsiasi d'estate.
Poi però ci siamo (stati) anche noi.
A percorrere quelle due vie cercando stelle cadenti in un cielo dello stesso colore del mare dove non si tocca. Lamentandoci degli insetti  e ingaggiando vere e proprie lotte anti-zanzare malefiche che si intrufolavano nella nostra "casa del mare".
Sembrava sempre festa, con tutte quelle luci accese, gli asciugamani stesi sui balconi a colorare il bianco dell'appartamento Jelena, le voci alte di tutti gli "zii" della piccola Giorgina, risate che si trasformavano in grida di gioia per la squadra che vinceva a Tabù alternate a grida di disperazione e imprecazione durante le interminabili partite al Due.
"Parli come pingu!" e giù a ridere ancora, canticchiando la canzone dell'indiano e del cowboy Arturo.
Un vero e proprio diario di bordo non c'è stato, ma mi piace ricordare in un piccolo spazio ancora fresco e al sapore di quel po' di salsedine che mi sono portata a casa, tutto il bello che abbiamo vissuto in quindici giorni istriani.
Perché il tempo delle vacanze è una molla che si arrotola nella spensieratezza per poi distendersi quando il mare non c'è più.
Inutile soffermarsi sull'entusiasmo pre-partenza, dopo varie prove valigie e lunghi saluti a chi restava a casa, messi in viaggio da un temporale che ci ha accompagnati per molti km di autostrada lasciando finalmente il posto alla notte di nuvole che si diradavano mentre attraversavamo gli ultimi tratti di Italia. Superando abilmente la dogana slovena grazie alle dettagliatissime istruzioni raggiungiamo dopo quasi 8 ore Pula, cittadina che si presenta ancora deserta nel momento del nostro arrivo.
Le pance brontolano, ma consapevoli delle strane abitudini croate riguardo alla colazione, temiamo di non poter soddisfare la nostra fame con un bel cappuccio & brioches.. e invece, il proprietario del bar a cui decidiamo di appellarci corre a rifornirsi di brioches giganti in non si sa quale panificio vicino, tornando con vassoi carichi di cibarie per tutti (il poveretto era un vecchino tremolante e magrissimo, una specie di anteprima del Frigerio tra qualche anno...)
Assonnati ma rifocillati, facciamo quindi rotta per Vinkuran, a pochi minuti da lì. Eccoci finalmente nel cuore pulsante della vita del nostro paesello, ovvero il parco giochi, dal momento che la desolazione vige  sovrana ovunque. Dopo varie ricerche riusciamo a trovare i nostri appartamenti e le padrone di casa molto ospitali ci offrono pure del succo (che ahimè non riscuote affatto successo a causa del suo improbabile colore giallo fluorescente... a quanto pare ha apprezzato solo la Giorgia.)
Sistemati nelle rispettive camere/cucine/soggiorni corriamo a cambiare le Krugne (così soprannominate da Ste) e carichi di materassini a prova di sasso, ci accampiamo nella prima delle numerose spiagge del nostro soggiorno.
Dopodiché è un susseguirsi di giornate piene di bagni in un mare roccioso e pieno di ricci e pesci, alla scoperta di isolotti abitati da mucche e tori nel bel mezzo dell'Adriatico, pagaiando su un kayak che se ne andava per i fatti suoi e pedalando su pedalò per ricercare spiagge isolate.. Nel frattempo però non tutto va come previsto perché una delle tappe del nostro viaggio non viene raggiunta per una serie di sfortunati eventi.. e così niente parchi di Plitvice, niente orsi nè laghi dall'acqua blu.. In compenso trascorriamo qualche ora all'autogrill in attesa dell'omino dell'assistenza che più che sputare saliva nel motore della Opel di Kappa non ha fatto.. in compenso ci siamo tirati avanti con lo scopo della vacanza, ovvero la coreografia della hit dell'estate croata.. "Danza con Giuso!".. Prima o poi gireremo anche il fantomatico video..
Le ore diurne volavano via tra la ricerca di una caletta nuova nel parco di Premantura e le interminabili spese ai supermercati, divertendoci a giocare a una "pallanuoto fai da te" e trattenendo il fiato mentre i nostri coraggiosi uomini si lanciavano da scogliere di 12 metri (alias 3 metriBusna)..
Finché io e Gary, sulla scia di un gioco proposto dalla Ste, passiamo metà vacanza a parlarci in rime che finiscono in "-ura", a partire dalla ormai celeberrima "voglio andare a Premantura a comprare la verdura"..
Il secondo sabato Marty e Teto ci salutano per raggiungere l'isola di Pag, e così Bu non può prendersi la rivincita alle "lotte del buongiorno" in cui finiva (quasi) sempre con l'essere schienato dal suo avversario Teto.. Via una coppia e ne arriva subito un'altra..Dani e Cri, che come accoglienza ricevono un raggelante silenzio per non aver portato in salvo l'antico vaso... niente spesa e quindi niente Montenegro.. a loro cediamo la suite del piano di sopra per trasferirci nel nuovo alloggio che adibiamo a bazar.. il nostro divano letto verrà poi monopolizzato dalla Giorgia che nel frattempo si è innamorata dei granchi raffigurati in un quadro nella nostra "zona notte" (non riesco proprio a chiamarla camera...) e della bici che la sua zia più atletica (che ovviamente sarei io..) le ha insegnato a fare.. Mentre la povera Mamma Oby deve badare ai capricci del bimbo Luca del don Orione..
Ma non ho ancora rievocato le nostre ore buie... diciamo che la serata tipo inizia dopo cena, ovvero verso le 22.30/23... con la Giorgina più arzilla di tutti quanti, gli uomini pronti e armati di Jagermeister posizionano i carriarmati sul tabellone di Risiko mentre noi donzelle ci dedichiamo allo smaltamento unghie (dopo la classica gita ai cassonetti delle due netturbine, Sò&me) ..in alternativa la Ste propone una serie di giochi che riscuotono notevole successo, in particolare "il terzo uomo", in cui gli elementi fondamentale sono i dadi, il numero 3 e soprattutto l'alcol.. e le discussioni che seguono una partita di Scruples o le clessidre che segnano il tempo per le parole da indovinare a Tabù... fino a interromperci tutti su una domanda come dire.. fuori luogo.. che diventerà l'emblema della vacanza...
"ma dove m..... . ....?!?!?"
Ma ci sono anche le uscite a Pula e finalmente, Rovigno.. cittadina decisamente caratteristica, una specie di piccola Venezia piena di vita e viuzze che si arrampicano su fino alla chiesa.. e i piedi di noi donnine piangono.. ma finalmente vediamo qualcosa di diverso dal nostro terrazzo pieno di bottiglie e cookies..
Nel giorno di Ferragosto ci siamo dati a un'escursione in barca, guidati da un taxi boat il cui conducente si è dimostrato subito molto simpatico definendoci "Italiani..Lampedusa! ahahah" forse giusto perché eravamo carichi come dei profughi mentre sbarcavamo sull'isoletta di Levan.. che, a parte la misera strisciolina di sabbia, e il calcio balilla umano, non era un granché.. però posso dire di aver circumnavigato un'isola a nuoto, dato che io e il mio moroso ci siamo lanciati nell'impresa.. (la vera difficoltà consisteva nel non essere punti dai millemila ricci di mare che albergavano sulle rocce a filo d'acqua..)
... questo il resoconto molto stringato di 15 giorni istriani, ora non ci resta che finire gli ultimi kg di pasta avanzata e ultimare le decorazioni del mio cappello che pian piano si riempirà di conchiglie.. (per la prossima estate sarà pronto..).. e soprattutto scambiare le foto per riguardarci in quei giorni spensierati, mentre l'abbronzatura a poco a poco se ne va nonostante il caldo di questo agosto non ci abbandoni ancora..

e per finire, le perle della vacanza..

"Io non ci sto a questo gioco al massacro!"
"calma...!Stai calma...!"
"ma dove minchia è....?!?!"
"Una macchina rossa!!!" (seguita da botte e pizzicotti al malcapitato di turno da parte mia e della Stefy..)
giocando a Tabù..turno dell'Ale..definizione.."il salto della..." Gariboldi:"Asta!" -.-
sempre Tabù.."...mmh..lo è Kappa!"...silenzio..insulti..insulti..alla fine era "genio"..
"Parli come pingu!"
"Puerile" e "Serendipità"
"Combattiamo la cellulite!!!" (Bu e Giorgina che prendono a bottigliate le gambe di noi donne..)


Pula,tramonto

martedì 26 luglio 2011

a pedalare si impara che...

"Knockin' on Heaven's door" suonava da lontano, in un concerto in playback esibito sopra un palco in piazza.
Il mio orecchio sinistro seguiva il ritmo della canzone, quello destro, invece, teneva un altro tempo.
I battiti di un cuore coperto da una felpa.
Perché la sera, tra le montagne, scende sempre un po' di freddo, giù dagli angoli delle stelle, assieme al buio.
Io me ne stavo lì, intrappolata in uno di quegli abbracci che solo due corpi innamorati sanno creare. 
Quegli incastri perfetti.
Il profumo di frittelle e di festa riempiva l'aria, mentre dal sacchetto stretto tra le dita, saliva silenzioso un odore di nuovo.
Le pagine di un libro ancora vergine d'occhi, un libro che non è un romanzo, ma un insieme di piccoli racconti, gli stessi che amo scrivere, perché nella loro brevità possono riuscire a racchiudere esattamente quella scheggia di sensazione che altrimenti si confonderebbe col resto del legno della mia corteccia.
Colpita già dal titolo. "Il contrario di uno", di Erri De Luca.
E quindi stavo lì, gambe stanche per i km divorati dai pedali di una giornata diversa, di quelle che programmi da mesi e che fino all'ultimo non puoi sapere come andrà.
Noi, quattro ragazzi nella loro estate, a godersi una breve vacanza, piccola come la tenda in cui abbiamo dormito, buona come le fresche brioches alla marmellata che ci davano il buongiorno, indimenticabile come quei paesaggi ammirati dall'interno, mentre li attraversavamo sfrecciando sulle nostre biciclette nelle discese che ci accompagnavano a Lienz.
Abbiamo percorso molte strade pedalando,e ho avuto l'occasione di riflettere un poco su quanto una semplice gita in mountain bike possa insegnare.
A pedalare si impara che tu hai il tuo sentiero, con le indicazioni e la via da seguire che si allunga davanti ai tuoi occhi, pedalata dopo pedalata. 
Ma non è l'unica. Puoi improvvisare, puoi sbagliarti e trovare un'altra strada, forse più lunga, forse meno semplice. Puoi perderti e puoi ritrovarti. 
Ma almeno la crei tu, una strada che sia la tua, non i segnali.
Si impara che arrivi al punto in cui hai una salita da affrontare e allora puoi decidere tu. 
Se stare in sella, scalare le marce e darti una spinta per farlo da sola. Per riuscirci con le tue forze e andarne fiera.
Oppure cedere alla fatica e trascinare su la tua vita assieme alla bici, dandoti per vinta. 
Per arrenderti alle tue debolezze, e alzare le spalle, pensando "vabbè, non importa". E andarne meno fiera.
Impari che hai bisogni di guardare sempre dritto se non vuoi perdere l'equilibrio facilmente, perché per voltarti indietro devi essere già brava, devi avere la certezza che non cadrai, se proprio vuoi concederti una sbirciatina alle tue spalle.
E cercare con gli occhi il paesaggio che ormai hai già superato, gli scorci di vissuto che ti sei seminata dietro. 
Il tuo passato.
A pedalare si impara che le gambe bruciano e la gola diventa secca, soprattutto se il sole c'è e ti picchia in testa, ma non puoi permetterti sempre di viziare il tuo corpo. 
Si impara anche a dire no, pedalando. Vivendo.
Impari a prestare attenzione a tutto quello che ti circonda, anche se si tratta di semplice natura.
E, infine, ti accorgi.
Perché non è vero che tutte le parti fondamentali della vita si imparano.
Alcune le scopri vivendole e basta.
E allora, in quei casi, succede che ti accorgi.
Che sei da sola a spingere su quei pedali, per proseguire.
Ma tutto cambia, se qualcuno compare al tuo fianco.
Anche solo per rincorrerti nelle discese, o incitarti nelle salite.
Sai che c'è, e non hai bisogno di scrutare l'orizzonte per verificarne la presenza. 
Ti è accanto, costantemente.
E km dopo km ti fa persino dimenticare di quel dolore alle gambe, perché l'unico valore è quel sentiero da percorrere.
Insieme.


venerdì 8 luglio 2011

"Certi hanno una luce attorno che illumina anche le altre persone."

Qualche tempo fa ho visto un film, "Precious", una storia di riscatto, che come ogni storia di riscatto comincia mettendo in scena una vera e propria tragedia (famigliare, in questo caso..)
La giovane ragazza-madre (Precious, appunto) piena di problemi che assieme all'obesità fisica, le rendono la vita ancora più pesante, abusata dal padre, maltrattata dalla madre e priva di amicizie.
Una catastrofe.
Poi ecco la Fata Turchina che appare.
Niente bacchetta magica in questa favola, solo un gessetto bianco. È una professoressa in gamba, una prima vera amica per Precious. Grazie alla tenacia e all'affetto gratuito di questa donna l'adolescente sarà in grado di formulare un pensiero semplice, ma abbagliante per la sua verità.


"Certi hanno una luce attorno che illumina anche le altre persone. 
Penso che forse alcuni di loro stavano in un tunnel e in quel tunnel forse l'unica luce che avevano stava dentro di loro. 
E Poi, anche tanto tempo dopo che sono usciti dal tunnel continuano a splendere per tutti gli altri."


Così oggi, mesi dopo quel film, incontro di nuovo quelle parole, e le faccio mie.
Siccome le cose belle sono sempre associate all'idea di luce, che è chiara, pura, e ci permette di vedere oltre, ho deciso di allargare il pensiero di Precious e viverlo in prima persona, sulla base della mia esperienza.


Mi è capitata questa vita, quella in cui per ora ho quasi ventidue anni e un bel passato alle spalle.
Mi sono capitate piccole avventure, grandi banalità, ricordi che mi rendono fiera di me e altri di cui arrossisco ancor oggi.
Ma non basta tutto questo per rendere una vita tale.
Perché in un percorso che non si limiti ad essere una mera esistenza si dà il caso che capiti pure dell'altro.
E questo altro sono i Diamanti.
Chiamo diamanti coloro che sono dotati di una facoltà molto speciale:
quella di far brillare la persona a cui scelgono di dedicarsi.
Sono incolori e trasparenti, e ci danno l'opportunità di vederci, vederci dal dentro, dal posto che riserviamo loro e lasciamo che da lì diffondano la propria bellezza.
Filtriamo il mondo in un modo nuovo, se abbiamo la fortuna di aver incontrato un Diamante.
Sembra importarci solo della bellezza, non quella superficiale, ma quella che emerge scavando a fondo, in ogni cosa che viviamo. 
Anche perché non è mica detto che noi per trovare quel Diamante non abbiamo fatto fatica. 
Alle volte ci accorgiamo di averlo accanto senza nemmeno il bisogno di cercarlo, perché ci è stato regalato. Dal Cielo, da qualche Dio, o da un Destino sorridente.
Quando il diamante è una madre, o un padre.
Altre volte bisogna scavare nel fango a mani nude, a cuore pronto. Pronto a lasciarsi accecare non appena il primo bagliore lo colpirà, una volta che il Diamante verrà dissotterrato. Allora, con le dita graffiate per la faticosa ricerca, non ci importerà più del tempo passato a cercare quel piccolo miracolo.
E nel nostro vocabolario decideremo di chiamarlo "amore". 


Poi ci sono le volte in cui capita che magari ingoiamo vetro, perché sbadatamente lo confondiamo.
Ma il vetro non splende.
Il vetro si graffia, si scheggia. Ci graffia. Ci scheggia.
E alla fine, rischiamo persino di farci del male.
I Diamante invece non ci ingannano, non ci taglieranno mai.
Saranno sempre al nostro fianco e allo stesso tempo un passo più in là, pronti a prendere al volo il nostro cuore, se mai dovesse inciampare in qualche buca della vita.







martedì 7 giugno 2011

Solletico per l'anima.

A correre sotto la pioggia scappa sempre un po' da ridere.
Avete presente quelle situazioni che mentre le vivi ti fanno sentire dentro a un film?
Ecco, un acquazzone improvviso e tu impotente sotto, a subirti dei goccioloni impietosi mentre non riesci a trattenere le labbra, che senza motivo apparente si distendono all'insù, facendoti esplodere insieme a tutta quell'acqua carica di vita. 
È una specie di solletico per l'anima, la pioggia di un temporale estivo.
Magari sei completamente fradicio, bagnato fin nelle mutande, con i piedi zuppi a furia di navigare nelle pozzanghere al ritmo di un motoscafo, per raggiungere il prima possibile un porto sicuro, una tettoia. 
Un qualche riparo dal diluvio.
E, nonostante tutto, ridere.
Perché sul serio, mica ti preoccupa quell'ondata di umidità che ti investe in pieno.
E ti si deposita, prima tra la pelle e i vestiti, e subito dopo più giù, in quel sottile strato tra le ossa e l'anima.
Perché ogni pioggia ci sciacqua un po' anche dentro.
Un nuovo battesimo, senza nessun Dio a salvare dai peccati. Solo una sensazione di bellezza.
E poi magari non ci sei nemmeno da solo, sotto quello sfogo del cielo. Magari sei con lei, la tua lei, che non stai nemmeno tenendo per mano, non per distrazione ma perché ormai il vostro legame è più profondo di un contatto fisico e sei già andato oltre il desiderio di avvinghiare le tue dita tra le sue. 
Ma l'attimo dopo, l'esatto attimo che segue il tuono che ha spaccato il cielo, un bacio unisce i due corpi già legati nel profondo.
E quell'istante ha già smesso di far parte del tempo scandito dai ticchettii di qualunque orologio.
Mentre tutt'attorno il mondo si fa liquido ed è un concerto di lacrime di gioia riempire gli spazi vuoti tra le gocce. E, ancora, ridere.





Pioggia_ di Charles Bukowski
Un'orchestra sinfonica.
Scoppia un temporale,
stanno suonando un'ouverture di Wagner
la gente lascia i posti sotto gli alberi
e si precipita nel padiglione
le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi,
sigarette bagnate che si buttano via,
Wagner continua a suonare, e poi sono tutti
al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi
ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia
Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda,
un uomo seduto sotto la pioggia
in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano
a guardare. L'orchestra bada agli affari
suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia,
in ascolto. Deve avere qualcosa che non va,
no?
è venuto a sentire
la musica.


mercoledì 25 maggio 2011

sorrisi di maggio.

Spaccano il cemento i papaveri di maggio.
Mi catturano gli occhi ovunque sbuchino, in campi desolati o su marciapiedi calpestati dai passi sudati dei passanti. Che forse nemmeno se ne accorgono, di quell'intrusione di natura, lì sotto i loro piedi accaldati da tutto questo sole regalato dal cielo.
Pochi petali rossi che si aggrappano l'un l'altro, che non riescono a restare uniti allo stelo non appena vengono colti.. così, pur con tutta la delicatezza depositata su dita innamorate, essi cadono, perdendosi tra le mani che ricevono quel piccolo dono.
Se ne può ammirare una distesa, dal finestrino veloce di un treno che corre verso la prossima stazione, verso il grigiore della città. Ma a un certo punto, la monotonia dello sguardo viene dolcemente sorpresa da un'inconfondibile mare rosso, immerso in erbe alte accanto a una ferrovia.
Fiori di una stagione ben precisa, del periodo dei sorrisi.
Così che più la primavera lascia da parte il suo tepore per accogliere l'afa di una precoce estate, più i miei giorni si fanno carichi di bellezza.
Per una soddisfazione in più, per quel centimetro d'altezza d'animo che cresco, dopo un diverbio con chi mi sta accanto e non è mai sazio della mia compagnia.
Per un sogno che si avvera di un pezzetto, che si fissa sulla carta, quella vera, stavolta, che si trova in libreria a confondersi tra tanti altri nomi.

Guardo questa foto, scattata ormai un anno fa, in cui tanti papaveri tutti simili tra loro sembrano divertirsi a smorzare tutto quel verde; la guardo e mi rendo conto di quanto siano perfetti, nella loro integrità, questi fiori così carichi di vita.
Allo stesso modo mi piace osservare la mia, di vita, come una distesa puntinata di rossi petali ben saldi al loro gambo.

martedì 3 maggio 2011

3 maggio.



Nella sua esibizione live, tutta la dolcezza, la profondità, la bellezza,
di quanto un amore riesca a essere reale e ripetibile, infinite volte,
come se ogni giorno fosse il primo.

Dedicata a due persone che a volte riescono a incarnarne una sola,
dedicata a noi due.




lunedì 11 aprile 2011

"sogno di un pomeriggio di quasi estate."

"Sembra già di essere in estate..."
"E ma tanto poi torna il freddo.."
"Che caldo però.."

Chiacchiere sul tempo che si abbronzano, anche loro, sotto a un sole più acceso del solito.
Gli alberi sono in fiore, prorompono carichi di colori accesi nelle vie e nei parchi, che si popolano con lo stesso anticipo col quale sembra essere sbocciata l'estate.
La gente intanto parla delle stagioni, la gente che non ha argomenti e si coccola con tiepide lamentele sugli sbalzi climatici.
Io, invece, me ne frego. E me lo godo, questo imprevisto summertime.

Con un telo steso sull'erba che è grande, ma tutta quella felicità mica la riesce a contenere.
Passeggiando nei sentieri ombrosi, salutando le famiglie che mi passano accanto e si dirigono verso la mia stessa meta, uno spiazzo per lasciar da parte tutto, e prestare attenzione solo a un lago sul quale un parapendio sta volando, mentre i gli occhi si colorano di quel paesaggio.
I pensieri si disperdono tra le margherite e le grida dei bambini, e un pomeriggio va, scivola via dal calendario e riempie il cuore per la sua bellezza.
Giorni fatti così.
Dell'azzurro impetuoso del giorno, in un cielo senza profondità, che accoglie ogni raggio di un sole vivace.
Del sereno buio della notte, in un cielo trapuntato da bagliori, che accoglie un archetto bianco, una luna che se ne sta lì a schiarire il nero in cui galleggia, immobile.
E ha tutta l'aria di sorridere, anche lei, come me.



"Domenica ti porterò sul lago
vedrai sarà più dolce dirsi «ti amo»..
faremo un giro in barca
possiamo anche pescare
e fingere di essere sul mare..
Sapessi amore mio come mi piace
partire quando Milano dorme ancora
vederla sonnecchiare.. e accorgermi che è bella
prima che cominci a correre e urlare..
Che domenica bestiale la domenica con te!
ogni tanto mangio un fiore e lo confondo col tuo amore..
com'è bella la natura e com'è bello il tuo cuore.
Che meraviglia stare sotto il sole
sentirsi come un bimbo ad una gita..
hai voglia di giocare 
che belli i tuoi complimenti
è strano non ho più voglia di pescare.
Amore mio che fame spaventosa..
dev'essere quest'aria innaturale
è bello parlare d'amore tra un fritto
e un'insalata e dirti che fortuna
averti incontrata..
Che domenica bestiale la domenica con te
ogni tanto mangio un fiore e lo confondo col tuo amore
com'è bella la natura e com'è bello il tuo cuore.
Che domenica bestiale..."
                                                               
                                                                       F. Concato_Domenica Bestiale

mercoledì 23 marzo 2011

quel po' di immensità.

                                                                                Bach, Preludio per violoncello.

Riempio di parole il silenzio di una pagina vuota, che chiasso non lo farà mai.
Amo questo, dello scrivere.

Gridare, senza fare baccano.
Piangere, per la gioia o l'amarezza, senza lacrime a inumidire le guance.
Alleggerirmi, senza perdere peso.

Senza un'ispirazione a dirigere un polso inesperto, pattino sulla pista di una sinfonia di violoncello, lanciandomi in acrobazie troppo ardite, ma cariche di emozioni.
Che se poi sento questo bisogno di calcarle su un foglio, premendo sui tasti di un pc o facendo scivolare un po' di inchiostro blu da qualche bic, è solo per me.

"Scrivere è un modo per diventare se stessi."

Mi invade le orecchie la semplicità di questa affermazione.
Ed ecco, allora, il perché di tanto affanno.
Che salgo su un treno e prima di tuffarmi tra le pagine di "Soffocare", provo quell'impulso a mettermi su un pezzo di carta. Ma non ho un segnalibro a inchiodarmi i pensieri lì dove voglio che stiano.
Devo sbrigarmi, devo acciuffare le parole, quelle giuste, quelle per me.
Quelle che mi fanno diventare me stessa.
Non racconto, descrivo, invento, dialogo con la mia immaginazione, aspettandomi qualche risposta.
E poi, sto meglio.
E poi, sono pronta a leggere qualcun altro.
Che, per il momento è Palahniuk. E mi proietto in un mondo surreale, folle, crudo. 
Agli antipodi del mio.

Per tornarci, alla mia realtà, cerco una dose di immensità.
Oggi la trovo in un violoncello. 
Grazie, Bach.




lunedì 14 marzo 2011

"i walk the streets of love", come cantano i Rolling Stones.

Azzurre, quelle gocce di fiume d'anima che seguono lo scivolo di una guancia.
Lacrime.
Dopo il broncio dell'incomprensione, e le parole sconnesse, buttate qua e là, sprazzi di rabbia senza direzione.
Dopo i silenzi, il peso dei silenzi di chi ha bisogno di riflettere per capire da sé e condividere poi, le nuove parole.
E dopo le nuove parole, quelle pensate, disposte con un ordine che risponde alla sintassi del cuore, dopo tutto questo, ecco, finalmente, un nuovo strato di noi.
Quello per cui si è tenuto il broncio, ci si è persi nelle proprie momentanee solitudini per ritrovarsi poi, più belli, più veri. Piastrella posta su una strada sterrata, una via ancora da percorrere, sulla quale si è in cammino da un po', che già sembra tanto ma in un disegno che va fino al futuro appare un semplice inizio.
Camminiamo così, sorreggendoci anche quando sembriamo farci degli sgambetti, perché in realtà sono solo  modi nuovi per conoscere quel po' di più. 
Con le nostre gambe pronte a sorreggere tutti i nostri sogni, instancabili di guidarci su strade nuove, da una "via dell'Amore" ai ciottoli di qualche cittadina straniera, viaggiando con la mente sul sentiero di Santiago, perdendoci per qualche istante in una passeggiata che ci fa credere di essere in vacanza.
E parlavo di lacrime azzurre, con l'eye-liner che cola insieme alla felicità.
Perché quando è troppa, e dentro non ce ne sta più, si rischia di piangere.
Ma è il migliore dei rischi che sono pronta a correre, da qui, al traguardo del nostro percorso.

giovedì 3 marzo 2011

La persona più importante.


«Qual è la persona più importante per te?»
«Tu»
«Pensaci»
«Tu»
«Ti sembra. Poi capita che, che queste persone più importanti si susseguano, si accendano e si spengano come lampadine.
Una volta spegni tu, una volta si fulmina lei.
Poi ne arriva una e resta accesa.
Passano i giorni e resta sempre accesa, non si fulmina.
E quando riesci ad odiarla come odiavi tua madre quando eri piccolo, quando era tutto per te e si metteva il cappotto per uscire,quando vorresti ammazzarla, tradirla, fargliela pagare.
Ecco, quella lampadina accesa sarà la persona più importante».

-dal film "Lezioni di volo"-



lunedì 21 febbraio 2011

Transilvania on the road, in the heart.

Per un attimo sembrerebbe augurarci un "ben arrivati", ma poi torna a immergere il muso nero nella neve.
Forse ha fiutato del cibo, forse scava alla ricerca di qualcosa.
Ma che ne so io dei cani randagi.
Eppure qui è pieno, e tutto sembra andare bene. Nessuno mostra attenzione nei confronti di queste bestiole solitarie, che a noi fanno tanta tenerezza. E tristezza.
La gente invece nemmeno li guarda.
La gente di qui, intendo.
"Qui" si traduce in "Transilvania". Una regione della Romania, la più nota probabilmente.
Per le sue leggende, per le storie sui vampiri e in particolare per quel tal conte Dracula.
Non molti sanno che in questa terra si snoda la catena dei Carpazi, un gruppo di montagne modesto, che a fatica svetta oltre i 2500 metri, ma che è il genere di paesaggio che un lungo viaggio in auto richiede.
Ancora meno persone saranno a conoscenza del fatto che la cucina rumena offre un menu invidiabile, soprattutto per gli amanti della buona carne e dei sapori non scontati.
Solo chi c'è stato, poi, potrà concordare sul fatto che questo è un Paese stanco, un Paese con le potenzialità ma con le cicatrici del passato.
E le cicatrici sono quei fili neri dell'elettricità che collegano tra loro i pali della luce, i fili che pendono, ammucchiati a caso, a fascio, che imbruttiscono una città importante come Bucarest, e la rendono soltanto un residuo di guerra e vecchiaia.
È un mondo lasciato a sè, questa fetta di Romania che in 5 giorni appena ho potuto visitare.
Attraversandone i paesini, quelli più dispersi nelle vallate, quelli che le tapparelle sono abbassate anche di giorno e i panni stesi anche se nevica.
E anziane donne cariche di pesi sulle spalle, coi loro foulard colorati attorno ai capelli.
E sul ciglio della strada pollici in su a implorare un autostop.
E pastori, e carri ai limiti dell'autostrada, e una via sola che collega più centri abitati.
E i cani randagi, ovunque, indifferenti alla gente, proprio come la gente di qui.
Sarà il clima ancora invernale, sarà la povertà.
È un senso di incuria dilagante, tranne che negli alberghi. Perché quelli, anche se a 3 stelle, non si fanno mancare il televisore schermo piatto. Per i loro ospiti occidentali, certo. Mentre noi ammiriamo la nostra stanza con tanto di soppalco fuori scorre il traffico di chi vorrebbe assomigliare a quel mondo geograficamente lontano, il nostro bel mondo dorato e luccicante, dal quale sono in grado di copiare una scritta in stile hollywoodiano da porre in cima a una collina.
Ma qui siamo a Brasov, mica nei dintorni di Los Angeles.
Qui non ci sono star, qui a stento si intravede la luna, nel cielo.

E la radio, poi.
Un vero stupro per delle orecchie allenate a tutt'altra musica. La mancanza di gusto si diffonde anche con le note, e non c'è da stupirsi se il Bocelli di "con te partirò" si alterna a un paio di canzoni dance (orribili..) e a una melensa vocina femminile anni '90. Miscugli improbabili, mancanza di bellezza.
Come anche le case. Incomplete, mezze colorate, fatiscenti per lo più. Finchè non ti trovi davanti a un edificio imponente, e non capisci se lo abita qualcuno o è abbandonato pure lui, giusto per tenere compagnia a tutti quei randagi che zampettano per strada.















Ma i più sanno solo che in Transilvania ci è nato Dracula, quel signore coi denti aguzzi e una passione sfrenata per il sangue.. e allora corri a visitare il suo castello (in cui pare abbia risieduto saltuariamente, per altro), e te ne freghi delle storie inventate, ti lasci incantare da quella magia. Perché il cielo sembra più grigio del solito quel giorno, e lo sfondo non potrebbe essere più azzeccato per quella visita "sinistra".
Castello di Bran, di Vlad l'Impalatore
 Piazza grande di Sibiu,città capitale della cultura 2007.

Castelli, rocche medievali, chiese evangeliche e ortodosse. Queste ultime intrise di una spiritualità nuova, emanata dalla ricchezza delle decorazioni su ogni parete, neanche un bordo scoperto. Senza panche a occupare lo spazio, silenzio di devozione e alti soffitti che accolgono le preghiere.
(castello di Bran, residenza di Vlad l'Impalatore)

Una vacanza diversa, insolita, ma che già so si inchioderà nella memoria, condivisa con chi amo e quindi vissuta con grande entusiasmo.
..E ogni cane solitario che incrocerà il mio cammino,per i miei occhi avrà il pelo macchiato dal ricordo di questi giorni rumeni.

Multimesc, Transilvania.
(attraversando i Carpazi)

venerdì 7 gennaio 2011

Quando tiri in mezzo Dio, o il Destino o chissà che.

Mi sto lavando i denti, azione automatica che innesca una serie di pensieri che non scivolano via con l'acqua, giù dal rubinetto.


Mi sto lavando i denti e intanto, qualcuno, in un angolo a caso di questa Terra rotonda, muore.

La Morte, misteriosa presenza di cui si conosce soltanto la voragine di assenza che lascia,
che si porta via un corpo e la sua anima.
Per quanto la si viva quotidianamente, continua ad essere il più naturale degli eventi, insieme alla Nascita.

Continuo a sfregarmi i molari, il dentifricio mi ha invaso la bocca col suo sapore prepotente.


La domanda più comune, quella che sorge spontanea che rimane insoluta è: Perché?
alla tv tutti gli abitanti dei Paesi più sfortunati fanno da sfondo delle nostre giornate.
Muoiono in guerra, per fame, su una mina, a causa di un attacco terrorista, travolti da uno tsunami.
Anche lì ci sfiora quell'interrogativo, quel Perché? senza risposta.
Ma non fa baccano, non ci disturba più di tanto.
È la routine che tutti condividiamo, è il nostro sottofondo di giornata, quella morte.

Poi, un giorno che dovrebbe essere di festa, è la tua di routine, a essere stravolta.
Una famiglia concreta, che vive in una casa che hai visitato molte volte, hai visto crescere i figli, una famiglia che non guardi da uno schermo televisivo al tg delle 20.00.
Allora lì qualcosa non va più com'era nei tuoi piani e ti senti presa in giro.
Dalla beffa della Natura, che molti ribattezzano "Destino", perché magari, in questo modo fa meno paura.
Ed è solo silenzio di fronte al dolore che grida Perché, di fronte a un'adolescente che in un attimo ha vissuto tutte le età, si è ritrovata già grande, senza che nessuno facesse in tempo a spiegarle come si fanno a costruire i ricordi.


le setole dello spazzolino graffiano le gengive, seguono il ritmo dei pensieri che ora diventano incalzanti, e un po' di sangue si mischia al dentifricio, sputato dalla bocca.


E i rosari recitati in chiesa, accendendo ceri di speranza che si consuma più in fretta della stessa candela.
E i dottori, l'odore di un ospedale che un minuto prima sapeva di buono, ora è solo puzza di marcio.
E le telefonate a straziare quel po' di cuore che è rimasto vigile, in tutto questo dolore.

Ed è così che si muore.

Poi si può scegliere se prendersela con Dio.
Se lasciar perdere tutto e rinchiudersi in sè.
Se riavvolgere il nastro per bloccarlo alla sua ultima conversazione con te, a quando ti ha prestato quel coprispalle nero, ai suoi viaggi sempre rimandati.
Non poteva saperlo, l'ha colta all'improvviso, i medici hanno fatto il possibile.
No che non è un film, sono battute recitate anche nei copioni della gente comune, quella che festeggia l'arrivo del 2011 ma senza tutta quella gioia che si sarebbe augurata.
Quella gente che ha subito uno smacco alla propria routine.

Ultimo risciacquo, chiudo il getto del rubinetto. 
Rimane una macchia, ma non sui denti.








martedì 4 gennaio 2011

il Banchetto dell'Amore - Feast of Love



Un intreccio di storie d'amore, di abbandoni e di nuovi incontri: un film di possibili realtà.
Moderni Romeo e Giulietta, tradimenti e matrimoni, il verosimile è in scena sotto l'occhio vigile di un Morgan Freeman saggio e (anche lui) innamorato. Della moglie e della vita.
Un sottofondo perfetto, decisamente azzeccato per la mia giornata.
Giornata di righe scritte e rimaste lì, appese a un post virtuale. E passate attraverso qualche paio d'occhi, non so fino a quale profondità.
Il film invade lo schermo e la serata, sorprendendomi con una chicca di qualche secondo, nel mezzo, un leggero sottofondo Falling Slowly, note che non scappano via, senza che me ne accorga.
Ancora una volta, la musica.
Ingurgito tutto, ogni scena nella sua semplicità, fino alla fine, coi titoli di coda e un abbraccio che mi tiene stretta a sè ma non mi lascia cadere lentamente, come canta questo squarcio di video.

Falling Slowly_Glen Hansard & Marketa Irglova



Lusso calma e voluttà.

Tutto nasce osservando Matisse.
Ha dipinto un quadro riempiendolo con pennellate che lo rendono quasi un mosaico di colori accesi.
Mi ha dato una spinta al polso, la visione di quest'opera. Ed ecco la voglia di scrivere, di abbandonare me stessa a una qualche voluttà artistica.

Era come schiava del proprio corpo.
Si lasciava scuotere da quelle vertigini interiori che le facevano perdere ogni equilibrio, trapezista impazzita di un circo folle.
Seguiva solo il ritmo del proprio respiro, perché una qualche musica doveva esserci, per forza, per ogni attimo.
E la sua non stonava mai.
Erano carne aggrovigliata, ossa a cercare l'incastro perfetto, occhi dispersi nel piacere.

Una coppia invidiabile. Giovani, sorridenti, innamorati.
Era solo lei, a inciampare, qualche volta, sui suoi stessi passi. Da sola.
Lui si limitava ad accettare le sue piccole stranezze, gli improvvisi cambi d'umore, i sorrisi camaleontici, che un respiro dopo non c'erano già più.
Perché c'era qualcosa di lei, qualcosa intrappolato ancora più in fondo di qualunque punto lui potesse raggiungere con le sole dita, qualcosa che si nutriva di tutti i silenzi che si depositavano in lei, strato dopo strato. E niente e nessuno, avrebbe scavato tanto a fondo da arrivare fino a tutta quella poltiglia.

Non mostrava nulla di particolare, all'aspetto.
Un viso senza segni particolari, un paio d'occhi sul quale più di un ragazzo le aveva rifilato degli apprezzamenti piuttosto banali, braccia, gambe, petto e dentro un cuore. Ammaccato, ricucito, ma intero.
Come ogni cuore, del resto.
Eppure la sua pelle racchiudeva segreti che solo sotto tutti quegli strati di nascondiglio potevano respirare.
Riaffioravano se sollecitati dalla curva disegnata dalla delicatezza di un dito altrui.
Si emozionavano, loro.
E lei non ci capiva più niente, così, all'improvviso.
Schiava del proprio corpo: aveva deciso di lasciarsi andare alla giostra di una carezza, senza pagarne il biglietto.

Era dolce, sì, su questo non ci sono dubbi.
Terribilmente dolce.
Romantica e ingenua, così la vedevano, gli altri.
Come la definisci altrimenti, una che la incanti con due versi di canzone?
Che ti basta davvero poco a far emozionare?
No, beh, non è che tutti ci riuscivano subito.
C'era chi aveva provato per un po' a scassinare quel lucchetto che lo separava da quegli occhi forse azzurri e forse no. Belli, quello sì.
C'era chi mollava la presa subito, che non gliene fregava poi tanto di quella ragazza, alla fine, normale. Una come tante, forse con una dose di zucchero in più.
C'era anche chi si credeva il principe salvifico, convinto che con un bacio l'avrebbe avuta per sempre.
Ce n'erano tanti, insomma.
Poi c'era stato lui.
Mille altri potevano passare, sfiorandole la schiena per solleticarle i brividi.
Ma lì, incastonato nel posto più difficile da scovare per cacciare via, c'era lui.
Lui con le sue passioni, con le sue musiche dannate, che le inondavano la testa fino a temere che scoppiasse, fino a farle lacrimale chicchi di sale, perché dentro di lei non ci poteva stare più niente, se non la loro poesia.
E c'era stato per un bel po', ad occuparle gli atomi e i pensieri.
A giocare a chi rubava più respiro all'altro, sempre così, sempre in silenzio.
Perché lo aveva sentito in qualche film, che l'amore romantico è quello inappagato.
Finchè il Tempo, il Signor Tempo, capace solo di correre con tutto il fiato verso un traguardo immaginario, se l'era portato via.
Via.
Insieme a tutte le note suonate e ascoltate insieme, alle parole, ai segreti.
Ma lei gli era sopravvissuta, lo aveva fatto riempiendo le pagine coi ricordi, con tutta la dolcezza che adesso non aveva più un destinatario, busta aperta senza lettera, canzoni che rieccheggiavano in stanze vuote.
Non riusciva a esorcizzare la sua presenza nell'assenza, e questo la terrorizzava.
E mille altri continuavano a passare, e mille brividi restavano imprigionati su quella pelle, senza attraversarla più.

Fino a quando.
Perché anche in questo genere di storie non troppo assurde, anzi, normali, quasi banali, c'è una svolta.
C'è un ritorno.
C'è un viso vecchio che sa di nuovo, che si appoggia al suo, al volto di lei, e lì in quell'incontro,ci ritrovano il mondo.
E non hanno paura di confessarselo, anche se i sentimenti sono sempre un po' così, quasi timidi, imbarazzati, come si trattasse di compiere eroiche gesta.

Lei lo sapeva, lui no.
La stava aiutando a togliere una corazza invisibile e inconsistente al tatto.
Apriva la campana di vetro sotto la quale lei aveva deciso di intrappolarsi per respirare ancora un po' di quel sapore di passato che le dava un surrogato di felicità.
Ma lui era così, era semplice e disinteressato.
E solo questo lo rendeva amabile.
La faceva rivivere, la rendeva schiava del proprio corpo, le regalava la felicità, quella che non ha bisogno di soffocare sotto strati di pelle, quella che si lascia scoprire in tutti i suoi brividi lungo la schiena.
Quella che riempie i polmoni di aria e sa gridare, che non deve trattenersi.
Che deve smettere di aggrapparsi a quel voler rendere tutto speciale, perché lo è già di per sè.

. Una storia come tante, condita con la parola Amore tra le righe
una storia egoista, che aveva bisogno di trovarsi uno spazietto anche piccolo, ma fuori da lei .


                                                      Henri Matisse: Lusso,calma e voluttà (1905)