La Rivista Culturale

venerdì 15 novembre 2013

Tutti dicono " i love (you) "

i love... chocolate.
i love... shopping.
i love... that film!

...oh yes, i also love you.

Insomma, cari i miei inglesi (e francesi, con tutti quegli "j'aime" a sproposito), sembra che, almeno sulla lingua, siamo noi italiani a darvi qualche lezione.
Nell'enorme entropia italica, le cui basi vennero date quel paio di migliaia di anni addietro dai nostri avi romani, ci sono un mucchio di schifezze. Lo sappiamo tutti, ognuno di noi è costantemente amareggiato, deluso, disorientato, e perché no, pure incazzato a causa di disagi di ogni tipo che sembrano trovare l'humus perfetto qui nello Stivale e non altrove... ebbene, concittadini, vi do una buona notizia: abbiamo ancora un patrimonio meraviglioso.
Aspettate, non mi sto riferendo a tutte quelle bellocce pompate da silicone e riflettori tv (anche perché per la maggior parte di loro si tratta di importazione...).
E nemmeno a "pasta&pizza", perché sembra dilagare la fazione "pro sushi" e la pizza si è ridotta alle occasioni in cui la si può sbafare "illimitata e a prezzo stracciato".

Mi riferisco a quello che più di ogni altro ci rende "Italians".

Il genio di Dante (alias "l'incubo di 150 generazioni studentesche" - cit Nonciclopedia), la gobba (volevo dire, la penna) di Leopardi, il celebre "risciacquo dei panni nell'Arno" del buon Manzoni ("Bella lavanderina" ante litteram)... per arrivare ai Faletti megalomani  ("Io uccido", "Io sono Dio"... senza però dimenticare una delle più celebri battute d'esordio del suo Vito Catozzo  "Che se io saprei che mio figlio mi diventerebbe un orecchione, porco il mondo che c'ho sotto i piedi, vivo ce lo faccio mangiare il certificato di nascita.") e alle varie associazioni a delinquere (i lettori) di Volo-Baricco...
Tutti questi signorotti (mi scuso per aver tralasciato le signore e signorine) che hanno avuto la briga e l'ingegno (o la fortuna, vedesi gli ultimi nomi citati...) di finire pubblicati su un libro... cos'hanno in comune tra loro e con voi, miei cari lettori?


Beh, è molto semplice. Sanno distinguere TI AMO da MI PIACE.

Poco fa mi sono imbattuta in un sito di traduzione dal francese e il pulsantino blu che abitualmente è adibito al "like" facebookiano aveva impresso un marchio 100%francese: j'aime.
Ora, tra "amo lo stato del mio amico X che dichiara al mondo di aver cucinato gnocchi al ragù" e il "ti amo" che pronuncio al mio ragazzo dopo che mi ha cucinato lui un piatto di gnocchi al ragù, credo ce ne passi...
E lo stesso vale per quei gasatoni degli anglofoni!

"Have you ever seen the movie Percey Jackson?"
"oh yeeeeeeaahh... I LOVE IT!"
(messo apposta un esempio così strampalato, per rendere maggiormente l'idea che c'è al mondo qualche essere umano in grado di formulare questa proposizione esageratamente entusiastica.)

Insomma, cari italiani e care italiane, di una cosa possiamo e dobbiamo essere fieri: la nostra lingua!

La capacità di discernere le diverse gradazioni di un sentimento(o oggetto) credo sia direttamente proporzionale al grado di conoscenza di un popolo di quel sentimento (o oggetto).
Qualche esempio:
Negli stati del nord ci sono popolazioni che hanno più di venti termini per definire ciò che noi, comunemente, chiamiamo neve.
Al contrario, nella giungla africana, uno dei popoli che lì vi risiede, non ha un termine per esprimere il concetto di verde, perché per loro è un dato di fatto in cui sono costantemente immersi.

Oggi, in un mondo di difficoltà e prevaricazioni, abbiamo ancora qualche libertà: una di queste è usare al meglio la nostra lingua. Valorizziamola, cerchiamo di essere curiosi, non ripetitivi... altrimenti finiremo con l'ennesima sottomissione nei confronti di chi, per altri aspetti, è già un paio di culture più progredito di noi.

(per ciò, non dimenticatevi mai di dire "ti amo" a chi può apprezzarlo...)