La Rivista Culturale

mercoledì 21 dicembre 2016

insegnare, ovvero l'arte di essere montagna.

Le giornate che si allungano di un po'. Impercettibilmente, come la maggior parte delle cose che accadono e che ci scavano dentro. Trasformano, levigandola o indurendola, la nostra anima.
Oggi, mentre sorreggevo insieme a un'alunna la carta geografica dell'Europa fisica, ho spiegato il concetto di erosione. Quel fenomeno lento e inevitabile che interessa le cime delle montagne, che le rende più basse grazie agli eventi atmosferici o alla forza di gravità.

Mi sento un po' cima di una montagna, soprattutto da quest'anno. In un arco temporale invidiabile ho potuto raggiungere grandi traguardi che non hanno fatto altro che alimentare la mia felicità. Ero una montagna giovane, di quelle che si ergono dritte con la punta verso il cielo, capaci di crescere smisuratamente grazie alle forze interne (ma anche, e soprattutto, esterne). 
Ho avuto mentori, veri e propri modelli di vita, persone da cui volevo carpire tutto il meglio di cui erano capaci. Crescevo, mi allungavo ingorda di quel naturale "di più" che anni di liceo, università, corsi di abilitazione, amici, amore, famiglia, potevano offrirmi. 

Adesso, forse, ho raggiunto un punto di svolta: da adesso rischio (perché non è certamente un ruolo da prendere alla leggera) di diventare io il mentore di qualcuno. Di qualche paio d'occhi curiosi, capaci di stupirsi come mai più faranno nella vita, quando saranno grandi. 
Bambini che non hanno la consapevolezza di essere splendide spugne in grado di assorbire molto più di quello che credono. E di rilasciare, agli altri, alle montagne che si ergono verso il cielo, fiumi di acqua che erodono le cime, e lo fanno con una grazia e una ricchezza impareggiabile. 

Amo il mio lavoro, amo ESSERE un'insegnante. Offro il mio massimo e loro, senza davvero rendersene conto, il più delle volte, me lo restituiscono raddoppiato. Le montagne a punta non sono aggraziate, e io voglio lasciarmi levigare da tutto quello che due classi di undicenni sono in grado di generare. Vere e proprie forze della natura, dotate di una spontaneità rara. 

Mi rendo conto ora, scrivendola, che la parola EROSione ha, al suo interno, la parola EROS. Un caso che però voglio fingere non sia accidentale. Eros è passione, il desiderio nella sua accezione più fisica. Quello che esigo, da me stessa, è trasmettere tutto il mio bagaglio (ma anche solo un po', per non appesantire troppo le loro valigine) con passione, percepire il loro desiderio di imparare. Molte volte accade, e questo ripaga di tutta la fatica (necessaria) dell'ESSERE insegnante.

"Bene ragazzi, oggi è l'ultimo giorno dell'anno in cui ci vedremo..." momento di silenzio.
"COOOSA???!" 
sorridere in risposta, spiegare che l'anno si concluderà tra 10 giorni e che ci rivedremo nell'anno nuovo. "PROF, CI STAVA VENENDO UN COLPO! NON LO FACCIA MAI PIù!"

L'erosione più piacevole di oggi è stata quando sono entrata in classe con due sacchetti: uno con all'interno i cioccolatini da distribuire, l'altra con dentro i libri, appena ritirati dal negozio, de "Il gabbiano Jonathan Livingstone" che dovranno leggere durante le vacanze. Beh, la cima della mia montagna è stata gentilmente levigata quando mi sono resa conto gli alunni smaniavano  per ricevere il contenuto del sacchetto. 
E non era quello dei cioccolatini.