La Rivista Culturale

domenica 16 settembre 2018

Un anno in più.

Mi sono svegliata presto, stamattina, pronta ad accogliere un'alba timida, nascosta dietro le nuvole.
I colori sul mare erano comunque sfavillanti, con le sfumature e le cromie che spaziavano dall'ocra all'arancione acceso. La passeggiata con Thorin, sempre felice di annusare il mondo, soprattutto in un'ora così fresca. Talmente fresca che appena abbiamo messo piede (e zampa) in casa, il cielo ha iniziato a sgocciolare, mentre sorridevo della fortuna di essere tornati appena in tempo.
Al rientro qualche risposta a messaggi e telefonate, molti "grazie" sorridenti, che recuperavano con la tecnologia i chilometri di distanza che non mi permettono di guardare negli occhi di quelle persone (amici, parenti, amore) e dimostrare la mia gratitudine.
Tra una lavatrice e un po' di pulizie (perché anche nel giorno del proprio compleanno, specialmente con un bovaro che gira in casa, i mobili sono da spolverare e il pavimento da aspirare!), una (ennesima) risistemata all'armadio, scegliendo vestiti da donare alla raccolta indumenti perché oramai han fatto la loro storia, una ciambella da infornare, la mattinata è volata via.
Con lo scodinzolio del mio compagno di quotidianità ho terminato di leggere un romanzo piuttosto lungo, crudo e tosto, ma che mi ha coinvolta parecchio (grazie ancora per il consiglio,Arina!), ovvero "Il selvaggio" di Arriaga,
Altri messaggi, altre telefonate.
Varie mail mi avvisano che per il giorno del mio compleanno c'è un'imperdibile offerta che mi aspetta nel tal negozio. Ma credo me la perderò, senza alcun dispiacere, impegnata come sono a prepararmi la borsa per il primo giorno di scuola. O meglio, per il primo giorno di terza.
Domani si comincia, e lo farò nel più zuccherato dei modi, con un vassoio di dolcetti e un sacchetto pieno di altrettante leccornie, da condividere con colleghi vecchi e nuovi e gli alunni, loro sempre gli stessi. Iniziamo a tracciare il primo segno del cerchio che si chiude, miei pargoli. Iniziamo a finire insieme. Ma iniziamo anche addentando una sfogliatina, così l'incipit sarà più goloso!
Si fa sera, un altro giro con il pelosone, con il sole meno potente e una prima sensazione di essere entrati sul serio,
nella seconda metà di settembre.
Intanto quella ciambella, che nel frattempo ho sfornato, attende un paio di cari ospiti, così da chiudere in compagnia quella che è stata una giornata trascorsa all'insegna di (quasi) tutto ciò che amo.
Insomma, buon compleanno a me, che rileggo uno degli auguri più belli ricevuti, che recita così:

"che tu possa rispondere agli appelli del destino con tutta la vitalità di cui sei capace. Come hai sempre fatto. E che riesca a far imparare ai tuoi bambini anche quelle cose che non si possono insegnare"
Anche se non è scritto in uno dei tuoi biglietti/lettera, come sei solito fare, è un augurio che conserverò nel cuore. Grazie papà.

mercoledì 5 settembre 2018

Libri che liberano: parte 1. (consigli di lettura provati sui miei occhi)


L'estate persiste, qui nel sud Sardegna, con un sole che scalda corpi e cuori. Sono tornata da poco dopo un lungo periodo trascorso "in continente", in una zona unica della nostra bella penisola: il nord del lago di Garda. Qui, tra pedalate e ottime mangiate (di polenta soprattutto!), mi sono dedicata a una delle mie grandi passioni: divorare libri.
Ora, in realtà questo termine non mi piace molto quando si parla di pagine da sfogliare, perché "divorare" rimanda a una ingordigia senza gusto, un accanimento nei confronti di un cibo (o un libro!) che si consuma a grandi morsi, senza apprezzarne i dettagli. 
Per mia fortuna, sono riuscita a godermi ogni sfumatura delle storie che raccontavano, mi sono affezionata a certi personaggi, non sopportandone altri, ho vissuto in sconfinate praterie americane per poi immergermi nei vicoli caotici di una Napoli che spaventa.

Come ho fatto anche al termine delle scorse vacanze, ecco quindi una piccola rassegna di consigli letterari... Per oggi, vi allieterò con 3 brevissime recensioni. 

TRILOGIA DELLA PIANURA di Kent Haruf:
 il cofanetto che funge da colonna portante al resto dei libri, lo trovate nella foto lì a sinistra in bella vista, coi suoi tre gioiellini dalle copertine color pastello. "Benedizione", "Canto della pianura" e "Crepuscolo" sono i volumi di una trilogia che incanta il lettore, trasportandolo in un'ambientazione che, giuro, vi sembrerà una seconda casa. 
Sospesi nel tempo, immersi in storie semplici ma dense allo stesso tempo che si intrecciano con una maestria rara, i cui personaggi fanno trapelare una concretezza disarmante.
Lo stile asciutto e preciso di Haruf, la sua ricerca ossessiva del termine perfetto per ogni situazione, consacra questa trilogia al primo posto tra le letture estive. Imperdibile poi anche il suo delicatissimo "Le nostre anime di notte", da cui è stato tratto un bel film (disponibile su Netflix) in cui due anziani Robert Radford e Jane Fonda (ri)scoprono l'affetto in tarda età. Scritto così suona banale, ma giuro che mentre lo vedrete/leggerete, vi sentirete avvolti da una dolcezza lieve.

LA PARANZA DEI BAMBINI di Roberto Saviano
un libro crudo, aspro, un limone da succhiare che mette i brividi. Saviano racconta la sua Napoli dal punto di vista più acerbo ma vecchio allo stesso tempo: la paranza. Gruppo mafioso di adolescenti senza alcuno scrupolo se non quello di arricchirsi e vivere l'oggi perché il domani è incerto e probabilmente non durerà. Dialoghi in dialetto che rendono ancor meglio lo scenario di povertà intellettuale che dilaga in una città in cui caos sembra la parola d'ordine. Storie ispirate a eventi accaduti, sparatorie dai tetti di balconi per esercitarsi a "diventare uomini". Un libro in cui "faticare" non significa letteralmente "provare fatica", "lavorare", ma "andarsi a prendere i soldi", "farseli". Entrare in una tabaccheria con il volto coperto e la voce camuffata per esigere l'incasso di una giornata di lavoro per poi festeggiare con droga e fiumi di champagne. Giovani ingordi di un successo personale labile, misurato in marche di vestiti, capaci di farsi la guerra per uno sguardo di troppo lanciato alla fidanzata di uno del gruppo. 
Un libro che fa paura ma che non può essere ignorato.

PER QUESTO MI CHIAMO GIOVANNI di Luigi Garlando
Come si fa a spiegare la mafia a un bambino? Semplice: si racconta una storia. Questo è quello che fa un padre siciliano con suo figlio che di nome ha proprio Giovanni, in onore del magistrato italiano simbolo della lotta a uno dei mali più insiti nella nostra nazione. Sfogliando le pagine di questo libro si ripercorrono le tappe della vita di Falcone, scoprendo dettagli privati, aneddoti, ma scontrandosi anche con le difficoltà enormi che ha dovuto affrontare, prima tra tutte la solitudine estrema.
Pensato anche per lettori giovani, si propone come un ottimo testo, scorrevole e avvincente, per indagare i tentacoli della terribile "Piovra" che ha distrutto tante vite umane. Un testo che proporrò ai miei alunni, ora che stanno per affrontare la terza media e che quindi sono sempre più addentro alle molteplici complicazioni del mondo.

P.S.: Nella foto manca Mattatoio N.5, di Kurt Vonnegut, uno dei libri contro la guerra più assurdi, strampalati e veri che siano mai stati scritti.

giovedì 23 agosto 2018

Addio ai monti, o meglio, arrivederci.





L’orizzonte interrotto dai pendii che iniziano nel lago e finiscono nel cielo.

Un posto in cui non sorge né tramonta mai il sole, perché qui è la punta estrema del lago, e le montagne incorniciano le sue rive limpide e vive di estate senza permettere di vedere i primissimi raggi e gli ultimi bagliori.

A luglio le immancabili piogge pomeridiane rinfrescavano giusto un po’ l’aria, mentre i primi giorni di agosto hanno conosciuto un’afa insolita, per il clima mite e mediterraneo di questo luogo incantato.

Un’estate leggera, quella che ho vissuto. Anche se mi, ci fanno compagnia pensieri sul futuro, decisioni da prendere, sfide da affrontare, questi due mesi sono passati lievi dentro di me e spero di essere riuscita a coglierne appieno l’essenza.

Tempo per pensare, per divorare parole su carta, riempire qualche foglio word con storie di nuvole. 
Giorni fatti di gambe che camminano e pedalano, conoscono vie nuove, si perdono tra gli infiniti verdi vigneti. 
Laghi azzurri intensi riempiono i miei occhi, condivisi con amici oltre che con l'immancabile amore. 

Polente di ogni sorta, piatti di montagna capaci di rimettere in sesto chiunque dopo una dura scarpinata, pareti da scalare (chi più, chi meno...), giochi in scatola e mazzi di carte da mescolare, sole da prendere, sdraiati sull'erba o sui sassolini, per poi rifugiarsi di corsa sotto ampie fronde degli alberi, non appena inizia a piovere.

Tante esperienze, molti luoghi che porterò con me. 

I fuochi d'artificio ammirati dal Forte di Nago, dopo mezz'ora di giri in macchina alla ricerca di un parcheggio che non c'è, sul lago, e allora salire, per ammirarli da una visuale a cui non avevamo pensato ma che appaga la vista. 
Il cantante dal meraviglioso repertorio che ogni sera allieta i passanti e il pubblico più affezionato a pochi metri dal lago, a Riva del Garda, lui, la sua chitarra, la voce dolce e Hey Jude che si libra nell'aria, facendo dondolare i corpi al ritmo di incanto.

Ascoltare la natura, cucinare una torta sfidando il caldo al quale aggiungo quello del forno, immergermi nell'atmosfera di pace emanata dall'imponente Maria Dolens, la Campana dei Caduti che svetta su Rovereto.

Percorrere letteralmente cinquantadue gallerie per 900 mt di dislivello sul Pasubio, rivivendo luoghi insoliti della Prima Guerra Mondiale.
Salire al castello di Arco, ammirare la Busa dall'alto, allungare lo sguardo ovunque esso voglia distendersi. 
Esplorare le viuzze di pietra di un antico borgo insignito del titolo "più bello d'Italia" e lì rivivere una serata in perfetto stile medievale.
Avventurarmi su sentieri che da sola non percorrerei mai, ma che con accanto lui diventano belle avventure e fatiche che lasciano un gran bel sorriso, oltre a qualche goccia di sudore e male alle gambe.
Scoprire un eremo lungo il fiume e non stancarsi di perdersi dentro a vicoletti e piccoli musei.

Insomma, gustare quel po’ di ozio concessomi dopo un lungo anno scolastico.

Tutto quello che serve per ricaricare le pile e ricominciare. Un nuovo anno che chiuderà il cerchio. Stringere più forte le mani di quei non più bambini che stanno per tagliare il traguardo e lì, lasciare quelle mani per salutarli.

Intanto, valigie e cartoni mi circondano. Un altro viaggio, quello del ritorno, mi attende. Prima, però, un pit-stop dove battono pezzi di cuore, una sosta rigeneratrice nella Brianza degli affetti. 
Dove forse di natura ce n'è poca, sicuramente meno che qui. 
Ma i motivi per sorridere e gustarsi la vita di certo non mancano.

domenica 17 giugno 2018

Avventure.

Letteralmente "le cose che accadranno".
Tutto ciò che non è l'oggi e tanto meno lo ieri, bensì adventura, ciò che verrà. Non si specifica se in bene o in male, se con brividi dati dall'incertezza o singhiozzi nel cuore.
Nell'etimologia della parola non c'è niente di tutto questo, siamo noi uomini a voler identificare, nel termine, qualcosa che ci scompiglierà, che ci muterà nel profondo, che ci lascerà uno strascico nel futuro.
Inevitabilmente, la sfumatura di incertezza mista ad eccitazione è esattamente il significato che do io stessa a questo vocabolo che sta per concretizzarsi, con un futuro in via di realizzazione che non ha ancora le fattezze di un sentiero, ma piuttosto di una verdeggiante vallata aperta, sulla quale splende un sole di speranze.

Ho provato a fare una breve ricerca immagini su Google, per avere la conferma che sì, anche il più celebre motore di ricerca del mondo occidentale, la pensa come molti: l'avventura è spazi aperti, zaino in spalla, braccia spalancate mentre ci si lancia in boschi più o meno selvaggi.

Qui, direttamente dalla mia casa bianca e azzurra a qualche centinaio di metri dal mare, pregusto queste "cose che accadranno"; me le figuro, ci faccio qualche ricamo, le infarcisco di aspettative che, chissà. Un'estate insolita è quello che mi aspetta, un primo solco nella direzione di un nuovo futuro possibile, per verificare che il terreno sia effettivamente calpestabile e sullo stesso terreno un giorno poter costruire una casa, una nuova casa che non sarà più azzurra e bianca probabilmente, ma magari vicino a uno specchio d'acqua, beh, quello sì.

Chi si abitua a vivere vicino al mare, come può poi abituarsi all'assenza di tutto quel blu?

Ora che scrivo di lui, dell'onnipresente mare per chi vive su di un'isola come me, mi rendo conto che mi chiama a sé. Una passeggiata sulla riva, qualche sguardo al suo orizzonte. A scrutare là, dove il cielo e l'acqua fanno l'amore e i sogni degli uomini vengono cullati dalle onde, che prima o poi porteranno a riva nuove avventure....


domenica 13 maggio 2018

A te che mi hai insegnato i sogni e l'arte dell'avventura, a te che credi nel coraggio e anche nella paura, a te che sei la miglior cosa che mi sia successa, a te che cambi tutti i giorni e resti sempre la stessa

Ho infornato la torta in una domenica pomeriggio di sole.
Il profumo inizia a diffondersi per la casa, mentre inevitabilmente, oggi più che in altri giorni il mio cuore torna un po' più su, verso nord. Verso quella che è stata per me "casa" fino a qualche anno fa.
Oggi che è la tua festa, e dopo aver trascorso la mattinata tra spesa, fornelli e piatti, ti starai godendo un film al cinema, dato che in Brianza il tempo è "na schifezza", come mi hai detto prima per telefono.
E se posso cucinare una torta con piacere, lo devo a te, che mi hai trasmesso anche questa passione, quella per la cucina. Certo, tu sei una cuoca imbattibile (i tuoi scialatielli dovrebbero essere inseriti nel patrimonio UNESCO), ma ogni volta che mi dedico alla cucina, è come se un po' di te sfogliasse il libro delle ricette, mescolasse le uova con la farina, fosse orgogliosa del piatto appena preparato.

Torneranno i giorni in cui questa festa la potremo trascorrere insieme, con un mazzo di fiori colorati, uno dei miei soliti biglietti che ti fanno commuovere e un bel pranzo insieme, magari. Cucinato da me, si intende. Almeno per la tua festa...

Mi hai raccontato di quando ero piccolina, dei nostri lunedì insieme, di come eravamo prese dai giochi (tu acconciata da Pippi Calzelunghe, in sella al mio triciclo, mentre io ti spingevo per il cortile) e all'improvviso veniva a trovarci la nonna, che subito chiedeva preoccupata se avessi fatto la merenda. Ridevi nel raccontarmi di quante volte te l'eri dimenticata, la merenda, talmente eravamo intente a divertirci insieme. Perché i momenti così non potevano essere la quotidianità, perché solo la domenica e il lunedì le parrucchiere chiudono il negozio, anche se la tua assenza a causa del lavoro veniva egregiamente supplita da un'altra donna che per me avrebbe scalato mari e monti. La nonna Diva e i suoi passati di verdura, la nonna Diva e i pomeriggi trascorsi a imparare le tabelline e, poco più grande, io a leggere per lei i libri che una volta erano stati tuoi.

E le sere, al ritorno dalle tue giornate piene di lavoro (non solo di capelli, ma anche e soprattutto  di parole, lamentele, confidenze di tutte le tue clienti di questi anni)  avevi la pazienza di guidarmi nei miei primi passi, sul pavimento di casa prima e sull'asfalto della vita poi.

Quanti consigli preziosi, quante giornate indimenticabili insieme.

Salivamo la scala ballando sulle note di una canzone che non so bene se esista davvero o l'avevi inventata tu, giocavamo a "le signore", inventandoci storie di noi due in veste di casalinghe indaffarate, nonostante io avessi a malapena 8 anni, o forse meno.

Le nostre brevi fughe estive in Liguria, per ritagliarci qualche giorno di noi, e prima ancora le serate al cineforum, nonostante la voglia di uscire, il martedì sera fosse sempre difficile da trovare. Poi discutevamo del film visto, e sì che ne era valsa la pena di non infilarci il pigiama alle 9.
I libri che ci consigliavamo a vicenda, e che continuiamo a consigliarci ancora oggi, mandandoci foto su Whatsapp e link ad articoli di recensioni.
Quante serie tv condivise sul divano, quante colazioni fuori e quanti aperitivi ci siamo godute.

Tenacia e bontà, ecco quello che sei per me. Oltre a positività, sorriso, gratitudine, gentilezza. Orecchie per ascoltare, bocca per consigliare.
Mani per stringermi a te.

Vado a controllare la torta, mentre penso che sarebbe così bello potertene far assaggiare una fetta anche se tu "non sei di dolci, né di primi" come ripeti sempre.

Il mio debito più grande con la Vita sei tu, insieme al papà ovviamente.
E riscattarlo per tutto il tempo che mi sarà concesso, essendoci per te quanto tu sei stata presente per me, credo sia il miglior modo per dirti GRAZIE, MAMMA.



sabato 5 maggio 2018

Abbiamo imparato



"Cosa ci fa vedere, prof?"
Le mie dita armeggiano con la tastiera del pc.
Youtube. Parole chiave: piano, Amelie. Eccola.

"Non vi faccio vedere niente. C'è solo da ASCOLTARE."

E allora play. Di musica. Di voce che legge una poesia, una dichiarazione, uno scritto uscito di getto, la sera prima. Ispirata dai versi di Maya Angelou.

"Ho imparato che la vita è imprevedibile, ma possiamo fare del nostro meglio per renderla piena di significato, per noi e per gli altri;
ho imparato a pronunciare una parola difficile e pesante come SCUSA, e sentirmi incredibilmente leggera nel farlo;
ho imparato che centosessanta chilometri al giorno possono trasformarsi in una bella avventura, anche se all'apparenza sono solo "un mucchio di strada...";
ho imparato e sto imparando a svolgere quello che, secondo me, non è solo i lavoro più bello del mondo, ma proprio un modo di vivere: insegnare;
ho imparato a vivere lontana da mamma e papà, anche se ogni giorno mi mancano;
ho imparato che non si smette mai di imparare;
ho imparato che ascoltare è uno dei più bei regali che si possono fare gratuitamente alle persone, certe volte;
ho imparato che l'amore ti riempie la vita come nessun'altra cosa è in grado di fare;
ho imparato che ci portiamo dentro chi non possiamo più avere accanto;
ho imparato che certi momenti rimarranno per sempre nel cuore, a illuminare i periodi bui che, inevitabilmente, capiteranno lungo il cammino;
ho imparato e tanto ancora imparerò, e sono grata alla Vita per questo."

Alzo gli occhi dal foglio e in quel frangente, le loro mani iniziano ad applaudire, con gli occhi che brillano di gioia e di emozione che sì, è arrivata dove speravo arrivasse.

"Ma lei ci vuol far piangere..." commenta S., dietro i suoi occhiali azzurri.

Sorridiamo entrambe, perché ora è il loro momento di raccontare, dopo averlo fatto a se stessi, che cosa hanno imparato, in questa loro pur breve ma piena vita. Un compito di cui nessuno si è lamentato, uno dei compiti che sono più curiosa di leggere, ma che mai, assolutamente, correggerò.
 Perchè quello che hanno scritto non può essere sbagliato. 

I più timidi mi allungano il foglio scritto a mano, "lo legga lei, per piacere...", qualcuno, più coraggioso si avvicina alla cattedra con la voglia di raccontarsi.

Lasciamo il sottofondo musicale, è piaciuto ai ragazzi.
Qualcuno, a brano finito, propone un'altra musica, sempre note di pianoforte ma accompagnate da una voce struggente, la voce di Gary Jules. Mentre solo ora, rileggendo il testo di Mad World, mi rendo conto di quanto quella canzone, fosse perfetta. Per quel momento, per loro, per noi.



"Children waiting for the day they feel good 
Happy birthday, happy birthday 
And I feel the way that every child should 
Sit and listen, sit and listen
Went to school and I was very nervous 
No one knew me, no one knew me 
Hello teacher tell me, what's my lesson? 
Look right through me, look right through me"
Un verso che rimbomba con tutta la sua forza, nella mia quotidianità. 
Di me, insegnante che impara, scrutando nelle loro innumerevoli mutazioni, mentre i dodici anni diventano tredici, e hanno voglia di raccontarmi, uno per uno, cosa hanno imparato dalla vita... mentre il cuore si riempie di commozione e i loro versi, scivolano nell'aria soffiati dalla mia voce


"Ho imparato che le persone cambiano
e con loro il modo di pensare;
ho imparato che la pazienza
nella vita è tutto e che vale la pena aspettare;
ho imparato che ogni rapporto è importante
e che nulla è scontato;
ho imparato a crescere e 
ad imparare da chi sa..."

"ho imparato che le sensazioni bisogna viverle tutte
ho imparato che si cade spesso in basso, in molti sensi, ma la cosa più importante è alzarsi e guardare avanti
ho imparato a lasciar perdere molte cose"

"ho imparato a saper accettare
ho imparato a saper aiutare
ho imparato a sapermi divertire con un pallone fra i piedi"

"ho imparato che si può sapere molto di una persona anche solo dallo sguardo
ho imparato cosa significhi la parola "rispetto"
ho imparato a studiare"

"ho imparato che noi non dobbiamo cambiare per essere accettati dagli altri, è sempre meglio essere noi stessi che fingere di essere chi non sei.
Ho imparato che nella vita ci dobbiamo accontentare delle cose che ci possono o che ci possiamo permettere"

"ho imparato che nascondersi dietro una maschera non serve a niente.
Ho imparato a non nascondere i miei sentimenti.
Ho imparato che molte persone smettono di fare sport per paura delle prese in giro.
Ho imparato ad essere responsabile delle mie azioni" 

"Ho imparato che bisogna studiare per raggiungere gli obiettivi che si vuole raggiungere.
Ho imparato che la vita non è fatta solo di delusioni.
Ho imparato che per realizzare un sogno bisogna crederci.
Ho imparato che le persone, per quanto siano crudeli, per quanto siano cattive, non lo fanno per farti arrabbiare, ma per farti capire quanto sei forte.
ho imparato che se si vuole bene a qualcuno lo si deve lasciare andare per la sua strada.
Ho imparato che il proprio cammino è pieno di scoperte..."

"Ho imparato che la vita è troppo breve per preoccuparsi di ciò che pensano gli altri.
Ho imparato che certe parole fanno più male di uno schiaffo.
Ho imparato che gli amici si conquistano mostrando loro chi siamo realmente.
Ho imparato che non si giudica un libro dalla copertina..."

"Ho imparato ad affrontare la giornata con il sorriso.
Ho imparato che la distanza da una persona crea sofferenza.
Ho imparato che dietro un rimprovero c'è sempre un insegnamento.
Ho imparato che occorre molto tempo per ottenere la fiducia di una persona e pochi secondi per distruggerla.
Ho imparato che è bello fare qualcosa per gli altri, in cambio di un semplice sorriso.
Ho imparato che per essere felici non serve avere molto ma dare importanza alle piccole cose..."

"Ho imparato che dopo tante brutte giornate prima o poi tornerà il sole.
Ho imparato che arrabbiarsi non serve a niente.
Ho imparato che tutti abbiamo bisogno di un amico.
Ho imparato che è importante leggere e scrivere.
Ho imparato che sbagliando si impara..."

"Ho imparato che se mi impegno ottengo buoni risultati.
Ho imparato che è utile saper fare tante cose, come il letto la mattina.
Ho imparato a voler bene ai miei amici.
Ho imparato che è importante imparare."

"Ho imparato che andare a scuola serve,
ho imparato che la vita va sempre avanti,
ho imparato che è bello avere animali,
ho imparato che mi devo divertire..."

"Ho imparato a vivere la vita con più serenità e allegria.
Ho imparato a credere in me stessa e a non arrendermi mai.
Ho imparato a lottare un po' di più per ottenere qualcosa..."

"Ho imparato che un amico non è solo un compagno di studi, ma è una persona che ti fa stare bene.
Ho imparato a non farmi influenzare perché io ho un cervello e posso ragionare.
Ho imparato a disegnare i miei pensieri e le mie passioni e a condividerle con chi mi sta a fianco
Ho imparato che con la gentilezza si ottiene di più."


Sono solo alcune, delle loro cose che hanno imparato. Un pezzo di ognuno, una manciata di versi estrapolati dai loro fogli che vorrei conservare per sempre, nei cassetti della mia memoria. 
E dico che io,
Ho imparato a volervi bene, come si fa con quelle cose della vita che vengono naturali. 

Respirare.
Andare in bicicletta.
Inghiottire la saliva.
Chiudere gli occhi durante uno starnuto.


Volervi bene.


domenica 28 gennaio 2018

L'oneroso onore della prof.

"Prof, perché non scrive più?"
Me lo domanda A., con i suoi occhioni grandi ed espressivi, mentre parliamo di diari, blog e scritture private.
Allora torno qui, dove posso essere un po' la prof Dilib  e allo stesso tempo quella ragazza che ha voglia di raccontare il suo turbinio di emozioni.
Il nuovo anno è iniziato con le pile ricaricate, nonostante il viaggio verso "il continente" sia sempre piuttosto lungo e impegnativo (tra auto, traghetto e guida su terraferma ci si impiega quasi un giorno intero!), ma tornare poi a casa, qui nella regione in cui o splende il sole o soffia il vento, è stato molto bello. Intanto i giorni da prof trascorrono tra soddisfazioni, sorprese e qualche fatica, ma anche tanta consapevolezza (ogni giorno sempre di più) di quanto sia delicato e allo stesso tempo pieno zeppo di responsabilità il mio lavoro.
Un pomeriggio della scorsa settimana, mentre li rendevo partecipi di quanto io li vedessi cresciuti rispetto all'anno scorso, sempre A. ha esclamato tutta fiera "Sì io sono cresciuta di tre centimetri nell'ultimo mese!".
Io ho sorriso e ho spiegato che no, intendevo crescita interiore. Intendevo il tipo di discorsi che riusciamo ad affrontare, ora più maturi e introspettivi, a quanto a fondo stiamo scavando, sempre di più, tutti insieme, senza la paura di sporcarci le mani con la terra, perché solo in questo modo possiamo scoprire e allungarci interiormente. Non so quanto e come interpretino la mia meraviglia nell'essere loro accanto, durante questa fase così delicata e impegnativa.
Io lo vivo come un oneroso onore.
Chissà cosa rimarrà. Nei ricordi, nel futuro, quando vorranno ripensare al periodo della scuola media. Rievocheranno quelle scaramucce in classe in grado di trasformarsi in un lampo un battaglie epocali, vedendole per quello che sono, ovvero momenti di confronto e di crescita. Assaporeranno un attimo di buonumore quando, nel bel mezzo di una giornata da adulti qualunque, verrà loro in mente una delle splendide risate che esplodevano nell'aula, ravvivando i cuori e i momenti più tesi.
Adoro ridere insieme a loro, lo sento come un modo di affrontare insieme anche le giornate più difficili (e, nell'età della preadolescenza, sono la maggioranza dei giorni).
Chissà cosa resterà di quelle spiegazioni che ora li avvincono, di quelle slide proiettate alla LIM costretti a copiare per il loro bene, nonostante le sbuffate. Le ore di mensa in cui chiacchieriamo di argomenti leggeri, le ore di dibattito e quelle in cui si mettono alla prova.
Le ore in cui crescono, tutte quante.
A volte è davvero difficile incuriosirli. Catturare la loro attenzione è sempre una sfida, ma quando ci si riesce, quando ognuno di quel paio di occhi guizza di curiosità e partecipazione, beh, si vince la più intensa delle sfide. Mani che si alzano, parole che escono a raffica, la voglia di dire, condividere, inconsapevolmente, imparare.
Loro non lo sanno, ma fanno crescere anche me. Mi stanno aiutando a invecchiare nel migliore dei modi.
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