La Rivista Culturale

domenica 17 novembre 2019

IL NEMICO INNOCENTE

Un titolo apparentemente contraddittorio. Eppure è esattamente quello chela nostra società si ostina a fare. Punta il dito, individua un nemico (innocente) e fa partire la macchina di distruzione.

Scrivo a caldo, rileggo gli appunti che ho preso qualche ora fa e con grande interesse durante un incontro al Memoriale della Shoah, a Milano, in occasione di Bookcity.

I protagonisti del dibattito: il costituzionalista Valerio Onida, Betti Guetta, responsabile dell'Osservatorio antisemitismo della fondazione CDEC, la politica e autrice del libro "Il nemico innocente" Milena Santerini. A moderare il tutto Jacopo Tondelli.

Si è partiti da un'analisi necessaria: lo scopo della Commissione Segre.
Si è detto tanto a riguardo, ma solo oggi ho veramente capito.
Innanzitutto questa Commissione si propone di studiare tutti i  fenomeni di odio e pregiudizio, in che modo dunque la mentalità di ostilità aggressiva arrivi a pervadere la società, amplificata dal web.

N O N si occupa di LEGIFERARE IN MERITO (per cui chi parla di censura lo fa a sproposito).
L'impulso a questo progetto è partito dal Consiglio d'Europa, principale organizzazione di difesa dei Diritti umani, che aveva chiesto, ai 47 Paesi che ne fanno parte, di organizzare azioni contro le sempre più diffuse forme d'odio.
Anche il Parlamento Europeo ha fatto una richiesta simile, quella di costituire un coordinatore alla lotta contro l'antisemitismo (cosa che l'Italia non ha ancora attuato, al contrario della Germania).

Una Commissione, dunque, che si propone di INDAGARE(attraverso il materiale che raccoglierà)  per proporre modi di contrastare l'odio online.
Nulla di liberticida, dunque.
Eppure, c'è chi non l'ha votata.
Quali pretesti sono stati posti, di fronte a questa volontà di NON appoggiare la nascita di questo organismo, ahimè tanto necessario?
1) la Commissione avrebbe lavorato contro il patriottismo (inteso come nazionalismo...). Esattamente, però, cosa ci sarebbe di anti-patriottico nel voler combattere l'odio?
2)come già anticipato, l'idea che la suddetta Commissione fosse liberticida.

Ci troviamo di fronte a un mutamento di espressione dell'antisemitismo. Se prima i fenomeni erano episodi offline (scritte su muri ad esempio), ora invece lo stesso è diventato in qualcosa di più complesso e che difficilmente si può arginare, grazie ai megafoni quasi incontrollati dei social media.

Opinioni e stereotipi sugli ebrei restano comunque immutati nel tempo: vignette con nasi arcuati ed espressioni arcigne,  pregiudizi moderni  sempre collegati ai legami tra ebrei e qualche potere più o meno occulto, oppure li si accusa di eccessivo vittimismo (quando non li si assimila ai nazisti per i comportamenti assunti nello stato di Israele nei confronti dei palestinesi)
Fa riflettere il dato percentuale di quest'anno che va a vedere una crescente "colpa" attribuita proprio agli ebrei relativamente alla crisi economica contemporanea.

Sullo sfondo, vignette "satiriche" su Liliana Segre (in sala, presente uno dei figli), idiozie e ignoranze varie disseminate sotto forma di meme e post di facebook.

E qui, arriva Onida, a illuminarci su un dettaglio che mi era sempre sfuggito.
Perché il fascismo prende gli ebrei e li addita come "Il Nemico"?
No, non per la religione: il fatto che siano deicidi (avendo loro ucciso il Gesù dei cristiani) era il pretesto di altri, non di Mussolini.
Il fascismo DECIDE che gli ebrei sono antifascisti e, di conseguenza, nemici. Per cui vanno discriminati.
Per odiare e fare la guerra va individuato un nemico, per cui se questo non c'è... bisogna trovare un pretesto per crearselo. 
Il nemico più comodo è quindi quello indicato dalla nostra pancia, dalle emozioni e i meccanismi di difesa che le neuroscienze hanno dimostrato che si scatenano in noi, per pochissimi secondi ma si scatenano, che ci portano ad avere paura/diffidenza di chi riconosciamo come diverso da noi.

Il fascismo ha quindi preso questo nemico innocente, lo ha reso colpevole di non appoggiare la dittatura fascista e accusato di ogni male possibile. In questo modo, Mussolini si è garantito un appoggio della nazione. La pura razza italiana da preservare da ogni contaminazione.
Il primo obiettivo delle leggi del 1938 era proprio questo: vietare i matrimoni tra italiani e stranieri.

Appena individuo il nemico, scatta un desiderio di sfruttamento su chi riconosco come diverso (lo stesso che porta l'uomo a sentirsi superiore rispetto alla donna).

Se poi, come accade quotidianamente, qualcuno manipola questo sentimento innato di diffidenza e lo fa echeggiare in ogni discorso, sottolineando il "noi" e tutti i "loro" da cui ci si deve mettere in salvo... beh, la società è più che inquinata.

Insomma, tante parole, mille riflessioni. La politica che potrebbe giocare un ruolo chiave nella sensibilizzazione di fronte a tutto questo e che invece cavalca il momento, l'ignoranza, la cattiveria.
Allora io ribadisco un'ovvietà: che è a partire dalla scuola, da chi ancora non teme un confronto con altre idee, chi è curioso di sapere, proprio da lì deve rinascere una vera coscienza civile.

La conferenza finisce, le mani applaudono.
Risalgo verso l'uscita, passo accanto al binario 21.
All'uscita, il muro con scritta una parola terrificante eppure sempre vera.
Indifferenza.









lunedì 4 novembre 2019

silenzio chiassoso



Il titolo di una poesia
nata così
nata per gioco, per noia, per voglia
dalle dita e dalla lingua muta di un giovane
stretto tra il muro dell'aula e il banco di scuola.
Un ossimoro,
senza nemmeno saperne il significato
ché a tredici anni è così:
le cose si fanno per caso
si scoprono
si imparano
o forse no
passano soltanto e poi vanno,
verso un'altra distrazione
una nuova attrazione.
Ognuno si è reso poeta
in quell'ultima parte di ora
al calar di una mattina spenta
ravvivata da parole potenti
giovani
coraggiose
scritte su fogli
applaudite dai compagni
lette da me
che mi son detta fiera
di loro
di quel noi che si costruisce a fatica.
Parole che emergono
e ritornano impregnate di nuovo
nel loro chiassoso silenzio.



venerdì 13 settembre 2019

Cose nuove, cose belle.

E io che li correggo sempre, i miei alunni, quando usano il termine "cosa": cerca di essere più preciso, "cosa"è vago, trova un sinonimo adatto.
Poi uno cerca il titolo per il suo post e... ci piazza quella parola jolly, perché è forse quella più adatta a descrivere il periodo che sta vivendo, pur in tutta la sua vaghezza.
Scuola nuova.
Colleghi nuovi.
Alunni nuovi.
Nomi da imparare, mani da stringere, sorrisi da condividere.
Entrare in classi che imparerò a conoscere con un entusiasmo da mantenere sempre acceso (adesso è facile, c'è tutta la carica data dall'estate... anche se effettivamente in questa ultima fase la stanchezza è stata tanta).
I ventinove che stanno per arrotondarsi a trenta.
Ovviamente, la più grande novità dopo il trasloco è stato il cambiamento di scuola, e ammetto senza vergogna di aver tremato non poco prima di varcare la soglia del nuovo Istituto Comprensivo.
L'accoglienza è stata al di là delle aspettative, e fin da subito mi son sentita a mio agio in questo ambiente ancora da scoprire. Le riunioni, la condivisione di idee, le chiacchierate serie e semiserie con le persone con cui lavorerò gomito a gomito per questo anno scolastico.
Infine ieri, l'inizio vero.
La prima campanella.
Un'ondata di nostalgia mi ha sommersa, ripensando a quale era stata l'ultima campana (il corridoio di Giba, le classi rientrate dal campetto con i ragazzi fradici di entusiasmo e gavettoni, i loro abbracci un po' bagnati di lacrime di prematura malinconia). Però poi c'erano le prime da conoscere e accogliere, il primo tragitto insieme a loro per salire in aula, scoprire nuovi volti con l'intento di distendere espressioni spaventate in sorrisi di gioia (e forse forse con qualcuno ci sono già riuscita, dato che all'ultima ora di oggi mi son sentita dire "Ma domani non si viene a scuola?? Uffa, ma io volevo venirci!"). Dai primini son passata a quelli più grandi, i ragazzi da accompagnare verso un nuovo traguardo, anche se con qualche difficoltà dato che avrò poco tempo per far breccia nel loro cuore, ma ce la metterò tutta, perché una cosa che ho imparato è proprio questa: trasmetti l'entusiasmo di essere lì, la sensazione di privilegio nel condividere quelle ore insieme a loro e con questa naturalezza ci sarà la miglior restituzione che un insegnante possa chiedere. E questo non vuol dire 10 in tutte le verifiche, perché non è un numero quello di cui sto parlando. Lo sanno bene i miei ex fanciulli, di cui posso andare fiera, perché consapevole del percorso che abbiamo compiuto insieme.

Intanto mi leggo i "compiti per la prof", le dieci domande + una che a cui ho chiesto di rispondere oggi, in classe, così da avvicinarmi gradualmente ad ognuno dei miei alunni grandi. Le prime dieci erano domande sui loro gusti, i sogni o le certezze della loro vita. Anche se credo che l'ultima, la "+ una" invece, potrebbe essere quella rivelatoria dato che è... "fai una domanda alla prof."
Cose nuove, insomma, cose belle.

Risultati immagini per cose belle

domenica 25 agosto 2019

L'arminuta

"Alla mia amica ritornata, ritrovata, ma mai persa".
Una dedica scritta leggera, prima dell'inizio di un romanzo che di titolo fa proprio "l'arminuta", traducibile dall'abruzzese proprio con "la ritornata". Ma se nella storia la protagonista è una ragazzina di tredici anni costretta, appunto, a tornare alla sua famiglia di origine, in un paesino dell'entroterra di cui non conosce abitudini né affetti, nel mio caso... il rientro è stato sì alla terra d'origine, ma una terra con la quale avevo condiviso un quarto di secolo, senza averla mai apprezzata particolarmente.
Anzi.
La Brianza era un luogo da cui allontanarsi, una base per le partenze, certo, il posto che custodiva amicizie, legami, ricordi... ma mai, veramente, sogni. I progetti avevano tutti un altrove, come meta.
La Sardegna è apparsa così, quando si è profilata all'orizzonte: una possibilità di futuro.
Viverla ci ha permesso di scoprire moltissimo, dalle tradizioni locali a nicchie quasi inesplorate di isola. Allo stesso tempo, questi quattro anni sono serviti a capire che quel luogo natio, posizionato strategicamente tra Milano, Como e Monza, poteva essere un approdo.
E così è stato.
Ho terminato le pagine di Papillon, romanzo che mi è stato consigliato proprio sull'isola, mentre i primi giorni dormivamo su dei materassi appoggiati a terra, nella provvisorietà di cui sono fatti i cambiamenti. Con mille idee di arredamento in testa abbiamo girato negozi, consultato siti internet e fatto sì che la nostra casa (sulla terraferma) prendesse forma: la forma dei nostri sogni.
Poi durante una colazione con la mia cara amica G. ho spacchettato una confezione che conteneva, appunto, L'arminuta. Ne avevo sentito tanto parlare, era nella lista delle letture. E in un baleno, eccolo tra le mie mani. La ritornata. Sto apprezzando molto queste pagine, che raccontano utilizzando parole scarne ma piene allo stesso tempo di rapporti difficili, apparentemente impossibili seppur naturali, biologici. 
Ora che sto riallacciando rapporti in tutta la loro fisicità (che prima erano solo telefonate, messaggi, videochiamate... il bene etereo non concreto), ora che posso abbracciare quelle che prima erano solo voci, sento che questi anni lontani non ci hanno cambiati.

"E in un secondo penso a chi mi è stato accanto
In un pensiero lontano
Ma nello stesso momento"

Motta canta così e quante volte ho provato questa stessa gratitudine, mentre ero altrove eppure nel cuore o nei pensieri di qualcuno. Contemporaneamente, però, continuo a portare dentro altri affetti, che hanno nomi e cognomi tipici di chi vive in mezzo al mare, di chi respira salsedine e conosce bene il Maestrale. E so che sarò arminuta anche per questi affetti, prima o poi.


(foto scattata al museo "Stazione dell'arte" di Ulassai: opera di Maria Lai,  Legarsi alla montagna)

mercoledì 17 luglio 2019

Scatole, pensieri e 4 anni di isola che giungono al termine...

Un'estate diversa dalle altre.
Sì certo, ogni stagione non sarà mai come le precedenti, è inevitabile... ma questa ha un sapore tutto suo, che rimbomba in ogni angolo del palato e fa sentire la propria squisitezza in quei sogni che si stanno per realizzare, la piccantezza delle incognite che comunque il futuro riserva, nonostante tanti punti che prima erano di sospensione, ora siano diventati fermi...e anche un pizzico di agrodolce, per tutto quello che lascerò sull'isola.

Il sei agosto 2015 partivo da quella che per 25 anni era stata la mia casa e mi trasferivo a un mare di distanza, senza troppe certezze (soprattutto lavorativamente parlando) ma con il solito entusiasmo che mi ha dato sempre la carica per affrontare ogni aspetto della vita.
Il primo periodo fatto di lunghe giornate al mare, di passeggiate nei dintorni per scoprire il territorio, di curriculum portati a destra e a manca, di telefonate a segreterie delle scuole per capire dove inserirmi in graduatoria... di coccole a Thorin, con il quale iniziavo a condividere dall'alba al tramonto (notte compresa!) le mie giornate. Di attenzioni di coppia che crescevano sempre di più, che non sono mai mancate e anzi, si sono consolidate instancabilmente.

Mi sono calata nei panni di intervistatrice per un'azienda, mentre aspettavo qualche chiamata come supplente, ho corretto bozze, scritto articoli per giornali online che mi facevano guadagnare 0,00001 cents a click... attendevo senza che il tempo si prendesse il sopravvento, riempivo le mie giornate, i miei occhi di meraviglia. Ogni tanto un po' di malinconia, sapere la quotidianità di amici ormai lontani, le telefonate con la nonna, i messaggi whatsapp nel gruppo "family"... e intanto, girovagare, esplorare i dintorni di Cagliari, provare i piatti tipici, percorrere le viette di Casteddu.

A fine novembre, eccomi in un'aula, per la prima volta da prof: un istituto tecnico di Quartu aveva bisogno di una docente di lettere per due classi del primo biennio, e secondo il punteggio, toccava proprio a me. Ho percorso quei corridoi lunghissimi (quelli delle superiori rispetto a quelli delle medie sono infiniti!), la difficoltà di trovarsi di fronte adolescenti a cui non frega molto di conoscere le civiltà del passato o le regole grammaticali, ma con tanta buona volontà (e qualche momento di crisi, lo ammetto), ho attraversato i primi giorni da prof. Nel frattempo, altre due chiamate: cercavano un'insegnante di sostegno per due alunni, il contratto si protraeva fino a fine lezioni e quindi... ho accettato. Lì è partita una nuova avventura, anzi due, in parallelo: una proseguiva nella scuola superiore, l'altra scendeva di età e mi vedeva protagonista di 6 mesi di scuola media. Qui ho imparato tanto, ricoprendo la posizione privilegiata di spettatore coinvolto: chi pensa che il "prof di sostegno" sia un lavoro semplice o noioso beh, si sbaglia di grosso! Ci si cala in mezzo agli alunni, si instaura un rapporto di complicità rischiando a volte di cadere nell'eccessiva confidenza (cosa di cui non riesco mai a preoccuparmi veramente, e su questo so che dovrò lavorarci un po'...), ma che permette di impostare relazioni di fiducia. Presenziando a lezioni diverse, si riesce a osservare come la conformazione della classe cambi a seconda della materia... quando sono più indomabili, quando invece più mansueti e a proprio agio... cercare di capire i trucchi per creare situazioni favorevoli è stato uno dei miei obiettivi, facendo anche prezioso tesoro di tutti quei comportamenti tenuti da colleghi che, al contrario, creavano situazioni negative.

L'estate che è seguita è stata la prima (e fortunatamente unica) in cui ho dovuto fare domanda di disoccupazione, in quanto il contratto si interrompeva il 30 giugno e chissà poi, quando e se mi avrebbero ricontattata per insegnare... ma nel frattempo avevo sostenuto altri esami, quelli che coronavano il sogno di ogni docente precario: a maggio lo scritto e in piena estate l'orale del famigerato "concorso docenti". L'agitazione era a mille, avevo qui i miei genitori in vacanza pronti a supportarmi nuovamente, e hanno pure presenziato alla discussione della prova finale (il giorno prima avevo pescato l'argomento "la concezione della famiglia in Pascoli e Verga", per cui ho avuto 24 ore per preparare slides e lezioni su questo tema immenso, discusso appunto il giorno seguente davanti a una commissione un po' annoiata e un po' accaldata). 40/40esimi e un bello Hugo per brindare con i miei cari accanto.
E di nuovo, altra incognita... dove sarei finita, a settembre? Ok, avevo ottenuto il ruolo (cosa per la quale sono stata poi guardata con un misto tra stupore/sospetto/sbalordimento da molti, considerata la giovine età), ma la Sardegna è grande e le scuole non sono così numerose e soprattutto, molto sparse e mal collegate sul territorio. Infatti, a settembre, è arrivato il verdetto: mi avevano assegnato prima l'ambito (praticamente la zona del Sulcis, a me quasi del tutto sconosciuta) e poi, via mail, la comunicazione ufficiale: Giba.
Giba.
Ok, ma dov'è sta Giba???
Aprendo google maps, inevitabilmente un coccolone aveva preso il sopravvento sulla mia lucidità... 80 km, 1 ora e 20 di viaggio. Aiuto. No, vabbè, io chiedo la mobilità appena possibile. Questi i miei primi pensieri.
Il giorno del mio compleanno la telefonata per la nomina ufficiale e quindi... sali in macchina, dopo una notte di tempesta che aveva provocato danni a strade e anche a casa (che nel frattempo stavamo sistemando), fai partire il navigatore e immergiti nelle campagne e nelle curve che ancora non lo sai ma diventeranno le tue migliori amiche.
Il resto, è storia...
è finita che la mobilità non l'ho più chiesta, se non durante questo anno scolastico, quando il mio ciclo triennale finiva, l'idea era quella di tornare a vivere in Lombardia e la speranza che fossi presa in qualche scuola della Brianza.
Ho tremato prima di scoprire l'esito del mio trasferimento, dilaniata da milioni di dubbi (e se non lo dovessi ottenere?? E se mi ritrovo di nuovo in una scuola lontanissima??) ma poi il Destino mi ha sorriso, e io non ho fatto altro che rendere quel sorriso mio.

Ora siamo circondati da scatoloni, alcuni vuoti altri già imballati. Quattro anni non sono facili da sintetizzare, né da inscatolare. Qui lasciamo soprattutto ricordi. Ci portiamo via quello con cui siamo venuti, ma molto lo abbiamo accumulato stando qui... oggetti comprati (direi per la maggior parte libri 😅), fogli scritti dai miei (ormai non più "miei") alunni, riviste, regali ricevuti...
Affronteremo l'ultima di tante, troppe traghettate verso il nord, carichi di oggetti ma senza il nostro scodinzolante Amore. Incominceremo un nuovo percorso vicini agli affetti, ma con un vuoto che non passerà mai, dentro. Lasciare questa casa per certi versi è un sollievo, perché negli ultimi mesi aleggia una costante mancanza, un silenzio a cui non riesco ad abituarmi. I miei occhi lo cercano ancora, ingenuamente, le mie orecchie credono di percepire i suoi movimenti, che invece non ci sono più, se non nella parte migliore dei miei ricordi.

In questi giorni sto vivendo una calma di cui sentirò sicuramente la mancanza, quando poi sarò immersa da impegni, indaffarata con tutte le novità che ancora ignoro, circondata da amici che non vedo da tanto... e così sto cercando di godermi appieno gli ultimi giorni di Sardegna, un'isola di contraddizioni, un luogo paradisiaco per certi versi e maledetto per altri.
Vivere qui è significato sacrificare certe cose, certe comodità (chi vive su un'isola da sempre forse non si rende conto delle privazioni cui questa costringe, ma per chi è abituato a vivere dove ha qualunque cosa a un tiro di schioppo beh... non è semplice), scoprire spiagge incantevoli e arrabbiarsi per lo stato di abbandono e degrado di certe zone dal potenziale altissimo. Mi mancherà la pizzeria di fiducia vicino casa, i panorami mozzafiato, la litoranea in qualunque mese dell'anno; mi mancherà il Poetto con i suoi fenicotteri sulla destra e la distesa di sabbia e mare dall'altra parte, mi mancherà provare locali nuovi in centro città, alzare gli occhi e vedere che il cielo non ha nessun tipo di limite perché l'orizzonte è sempre più lontano di qualunque casa possa ostacolarlo. Mi mancherà percorrere quella strada infinita che mi portava da loro, i miei musini monelli e bellissimi.
Mi mancheranno, Dio se mi mancheranno, ognuno di loro.

Ho conosciuto molte persone, alcune delle quali porterò nel cuore, anche se non ho stretto tante amicizie quante sono sempre stata abituata ad averne e sicuramente questo è un sintomo dell'avere (quasi!) trent'anni, ma come dicevo a inizio post, in questa lunga parentesi ho coltivato comunque sia il rapporto sia con chi ho la fortuna di avere quotidianamente al mio fianco, che con persone che vivono lontane. Alcune molto, molto lontane... amicizie oltreoceaniche che si consolidano in messaggi audio infiniti, mandati ogni giorno per raccontarsi tutto e niente, ma che sono diventate una irrinunciabile routine. Amicizie che resistono inalterate grazie a telefonate, fotografie di nipotine acquisite in crescita, aggiornamenti e progetti per "quando torneremo su"... E ora che quel momento è sempre più vicino, provo una sensazione strana, come di incredulità. Come sarà, tornare a vivere nei posti che conosco tanto bene, dopo questa pausa di lontananza? Le relazioni si manterranno all'altezza delle mie aspettative, si rafforzeranno ancora di più, come immagino? Che tipo di prof sarò, in quella scuola media che mi è stata assegnata? Tante domande, ma non provo ansia nell'attesa delle risposte. Mi godo quello che accade, giorno dopo giorno, coi progetti che man mano prendono forma, con il frigo che si svuota prima della partenza, le ultime spese dal mio fruttivendolo di fiducia, le ultime (e queste sì, che diavolo, queste mi mancheranno eccome!) passeggiate sulla spiaggia al mattino presto, quando il mare sprigiona la calma e la bellezza più sincera del suo azzurro, o al tramonto, quando tutto si colora di romanticismo e qualche ondina scuote la superficie di quell'immensità di cui i miei occhi non sono mai sazi.

Un'estate diversa dalle altre, dunque, un'estate in cui tanto della mia vita cambierà.
E io, coi miei ventinove anni in scadenza, sono proprio pronta, a scoprire il gusto di tutte le stagioni che verranno. Anche se una parte di me sarà sempre su quella spiaggia dietro casa, a passeggiare insieme a lui.




venerdì 26 aprile 2019

(R)esistenza

Perplessità nei loro occhi che si inchiodano sulla mia frangetta che sembrano non gradire particolarmente. Io li saluto, come ogni mattina, solo che oggi, dopo una settimana di pausa-lezioni, ho un nuovo look. E figurati se a loro scappa... Mi fanno sorridere per come non riescono a filtrarsi, per la loro spontaneità nel non saper nascondere se qualcosa li lascia un po' "così".
"Vabbè, tanto poi ricrescono!" e mi scappa proprio da ridere.

Intanto procedono ancora un po' assonnati, con gli sguardi di chi non ha poi tutta quella fretta di tornare al proprio posto, seduto su una sedia di legno per cinque ore di scuola (che essendo appunto "scolastiche", tendono magicamente a protrarsi ben oltre i 60 minuti, specialmente per quegli alunni con poca voglia di starsene lì, in quell'aula...).
Parole veloci scambiate coi compagni, pagine che scorrono veloci tra le dita a ripassare le catene montuose statunitensi.
Il ritorno a scuola dopo una parentesi di vacanza, con un "bentornati" al retrogusto di compito scritto di geografia può non sembrare proprio allettante... ma in fondo questo test è una passeggiata e lo ammettono pure loro.
Comunque a me interessa arrivare all'ora successiva.
Quella in cui affronterò insieme ai miei ragazzi una data, un singolo puntino nella storia che si ripete puntuale ogni anno e che merita la giusta importanza.

Suona la campana, ritiro i fogli geografici.

"Che cosa facciamo ora prof?"
io sono indecisa su cosa rispondere... vorrei rimanere sul vago per accostarli piano piano, farli arrivare tracciando un sentiero. "Beh, io ho preparato delle fotocopie che vi distribuirò... però vedremo anche dei filmati e imparerete cose davvero importanti."
"Sì ma che lezione è? Italiano, storia...?"
"..."
"..."
"diciamo...una lezione di vita."

Forse ho usato un'espressione esagerata, ma in fondo il trucco del prof è anche "teatralizzare".
E bisogna dare enfasi a ciò che la merita.
Chiedo quanti di loro sanno che cosa si è festeggiato ieri.
Risposte meccaniche, o qualche battuta sulle feste in genere, che ci permettono di stare a casa da scuola.
Allora parto con un video. Dei signori tutti in fila con uno striscione che recita la scritta "Onore a Benito Mussolini". Un tizio davanti a quella fila che grida, sembra stia impartendo ordini.
Qualche secondo appena, e il video termina.
Loro zitti.
Sguardi curiosi, interrogativi. Abbiamo giusto studiato le nefandezze di questo criminale dittatore che portò l'Italia al disastro, e oggi c'è gente che lo inneggia? Con tanto di insulto finale ai tifosi del Milan, come ci fosse una qualche connessione logica tra quei tizi, lo striscione, Mussolini e il Milan.

Parto con le domande, voglio incalzarli.
Loro sono reattivi, e quanto mi piacciono quando si animano e partecipano, spronandosi a vicenda a rispondere alle mie sollecitazioni.
Passiamo a parlare degli insulti negli stadi, a cori che invece che di tifo positivo si trasformano in offese pesantissime.
E poi eccolo lì, il primo tassello per la strada che voglio far loro percorrere: "Ieri si è festeggiato un evento storico senza il quale ora, non ci sarebbe la possibilità di manifestare oppure la possibilità di scegliere di NON manifestare. Questa data fu il 25 aprile 1945".

"«Nel fascismo non c’era libertà di espressione: gli oppositori venivano bastonati, deportai e uccisi. Le tre parole usate erano credere, obbedire e combattere. Obbedire agli ordini, anche quelli più insensati e crudeli, odiare i dissidenti, gli ebrei e gli stranieri. E c’era l’assurda convinzione che tutto si potesse risolvere con la violenza. Aggredire e soggiogare. L’ossessione per il nemico, sempre e dovunque.  Se oggi, in tanti, ci troviamo qui e in tutte le piazze italiane è perché non possiamo, e non vogliamo, dimenticare il sacrificio di migliaia di italiani, caduti per assicurare la libertà di tutti gli altri. La libertà nostra e delle future generazioni. Il 25 Aprile è un “doveroso ricordo” che ci spinge a stringerci intorno ai nostri amati simboli: il tricolore e l’inno nazionale.
 

Cito pezzi di discorso di Mattarella.
Cito pezzi di articoli di giornale. Voglio scuotere le loro coscienze, arrivare al succo di una delle feste più importanti della nostra nazione.
Vediamo brevi video di testimonianze di donne e uomini della Resistenza.
"Prof, c'è anche una canzone vero...?" e colgo l'occasione per diffondere nella classe note e parole di "Bella ciao", che alcuni di loro già conoscevano per averla sentita in un telefilm.
Prendo dallo zaino "Storie della buonanotte per bambine ribelli", racconto la biografia di una partigiana coraggiosa, e intanto loro assorbono informazioni che spero restino incastrate nelle reti della memoria non per una interrogazione, ma per imparare ad apprezzare davvero i valori su cui si fonda il libro cardine di ogni italiano: la Costituzione.

Per finire mi dedico a qualche stralcio di un libro che ho divorato ieri pomeriggio, "La mia resistenza", un romanzo per ragazzi di Roberto Denti. Leggo dei passaggi, alcune cose le sanno già perché studiate in storia, altre le stanno scoprendo solo ora.
Suona l'intervallo, impossibile trattenerli oltre.
Forse preparerò un kahoot su queste informazioni che ho condiviso con loro, forse lascerò che il tutto si sedimenti e produca i frutti nella loro crescita.
So per certo che ho voluto salutarli con una frase simbolo di tutta questa lezione, pronunciata da una Donna del '900:

Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone ‘resistenza’

Liliana Segre



mercoledì 17 aprile 2019

il giorno dopo.

E so molto bene che non ci sarai.

Così inizia una poesia dedicata a un amante che non c'è più.
Ma nel mio caso, a non esserci più saranno i giorni con te, adorato Thorin.
Un compagno di avventure che ha arricchito le vite di molti, con la sua perenne e incontenibile gioia, il suo manto tricolor che lo rendeva ancora più dolce agli occhi di chiunque.

Sette anni e 9 giorni di vita.
La tua piccola eternità che hai riempito, più o meno inconsapevolmente, di feste, attenzioni, emozioni. Per noi umani, che abbiamo avuto la fortuna di starti accanto.
Un musino dolcissimo, completamente pazzi di te già dal primo incontro.

Dai tuoi primissimi passi al parco, che fatica convincerti a spostarti nell'erba di un'estate lontana, quando più che un fedele amico sembravi un peluche scappato da un negozio di giocattoli.
Yahoo alla nascita, Thorin Scudo di Quercia a casa con noi.
Un nome importante, imponente. Come sembravi ad alcuni, mentre per i più restavi sempre un incontenibile giocherellone.
La prima passeggiata al guinzaglio è stata una conquista, tu che trotterellavi felice, incantandoci con i polpastrelli rosa delle zampe e uno sguardo che non avresti cambiato mai.

Poi subito in montagna, a saltare tra le rocce, a esplorare sentieri e guadare ruscelli. Un pastore bernese che trascorre la sua prima vacanza in Corsica, traghettando "coraggiosamente" (...ecco, questo è sempre stato un tuo punto debole... non eri decisamente un Braveheart) verso un'isola per scoprire quanto odiassi il mare.

Con lo scatto sotto l'ombrellone avevamo vinto un soggiorno tra i monti, che ci siamo goduti insieme a te e due paia di ciaspole.
Quanto amavi la neve... ti ci saresti rotolato sempre, immerso con tutto il tuo pelo!



Quanti pezzi di mondo, scoperti insieme a te.










Ne abbiamo passate tante, cucciolone. Non sei mai stato "solo un cane", come in fondo non lo è nessun animale domestico, agli occhi del proprio padrone. Hai incantato tutti quelli che incontravi, chi ti accarezzava per strada era incredulo di fronte alla tua vera età.
"Sembra così giovane!" ripetevano tutti. Quanti complimenti che hai ricevuto, quante mani pronte a coccolarti. Tu ti lasciavi fare, distratto soltanto se ti passava accanto un altro pelosone, con cui dovevi per forza giocare.

Spero tu abbia percepito il nostro immenso amore.
Ora sei lì, che continui a guardarmi dallo schermo in standby del mio telefono, con quell'espressione dolce e tontolona al tempo stesso.

Spero tu abbia vissuto al meglio. Anche se eravamo lontani dalle tue montagne, le passeggiate non te le abbiamo mai fatte mancare, fino all'ultimo hai macinato tutti i chilometri che hai potuto.

Ti abbiamo sempre un po' viziato, ma mai come in questo ultimo periodo, quando purtroppo non potevi apprezzare appieno tutti gli extra che ti stavamo regalando.


Il rumore della stufa riempie un silenzio a cui non sono abituata.  E tu non sei più lì davanti, sdraiato sul tuo telo a dormicchiare.

Gli angoli si sono svuotati di tutto ciò che era tuo. Fa male non trovare più le ciotole al solito posto. Il guinzaglio messo via. Non dover più spostare i cuscini del divano per impedirti di salire, mentre noi siamo al lavoro.

Non voglio cadere troppo nella malinconia, sto lottando contro un'onda di ricordi che però mi sommergerà comunque.
Mancherai alle dita, che non si perderanno più nel tuo folto pelo, immerse in carezze che potevano durare anche per sempre, fosse stato per te. Mancherai alle orecchie, nostalgia dei tuoi movimenti all'interno di casa. Mancherai agli occhi, che si divertivano a seguirti mentre ti rotolavi nell'erba del giardino ma poi al primo rumore proveniente dalla cucina, scattavi in piedi e ti ritrovavamo a creare aloni di vapore col tuo bellissimo naso sul vetro della portafinestra. A farci sorridere e convincerci ad aprirti per tornare a coccolarti, ancora.

Mancherai ai risvegli, il tuo stiracchiarti insieme a noi, con la coda sempre ritta e attiva, a darci il buongiorno. Con le nostre abitudini che non saranno più nostre, del dopocena insieme a vedere la tv, tu incastrato magistralmente tra il divano e il tavolino a prenderti tutte le coccole che potevi. A chiedercene altre, con la zampa.
Tu che ti infilavi con il muso sotto alla spalla, mentre stavo seduta al tavolo a scrivere al pc. Tu che potresti ricomparire qui, giusto per un attimo, a chiedermi tutte le attenzioni che spero di averti dato finché mi è stato concesso.

Un pezzo di noi. Sei stato un pezzo di noi e lo sarai per sempre.

Abbiamo condiviso tanto, tutto quello che ci è stato possibile. Ma non è mai abbastanza. Ne vorrei ancora di momenti con te, ma tutto qui attorno mi grida addosso che è impossibile e io sono straziata.

...questa è la vita e la vita cambia
A volte può spogliare e lasciare solo la rabbia.
L'amore è come un fiore nel deserto
io cammino, io lo cerco

ma se mi guardo intorno adesso vedo solo sabbia
io vedo soltanto sabbia
il sole lo odio, brucia l'ustione che ho nel cuore
e non so dove ma me ne vado
vago senza direzione
c'è una parte di me che muore
ad ogni passo fin che non collasso
e cado vicino a un fiore.


Non c'è consolazione, c'è il vuoto. Un vuoto pieno di ricordi che fanno un male di cui ora non riesco a farne a meno. Ti regalerei un parco pieno di neve fresca su cui rotolarti, se potessi.
Non riesco, non sono capace, di dirti addio.




Allora arrivederci, amore nostro.


domenica 24 marzo 2019

Hic manebimus optime _ ovvero la mia gita con le terze medie

Sì lo so, non si dice gita, ma viaggio di istruzione. Pensate un po' che a me è scappato addirittura fuori il termine "vacanza", mentre lasciavamo l'hotel che ci ha ospitati per i nostri tre giorni trentini..
Io ero un mix di ansia, adrenalina, aspettative, dubbi, le ore prima della partenza.
Mi figuravo scenari catastrofici, situazioni assurde in cui saremmo incappati e che mi avrebbero fatto pentire di aver organizzato questa spedizione sul continente... e invece.

Invece non avrei potuto chiedere di meglio.

La Nave Puglia, al Vittoriale
Sono tornata adolescente pure io in certi momenti, come quando prima di cena ce ne siamo stati lì, io e alcuni alunni a chiacchierare e ridere (con veri e propri attacchi di ridarola) nel corridoio soffice di moquette dell'albergo, o qualche ora dopo, mentre camminavamo verso un lago (che per altro causa buio e problematiche con Google Maps non abbiamo mai trovato) e le mie fanciulle hanno rievocato alcune scene del pomeriggio roveretano (una parola su tutte: "Giulyyyy!!" - loro capiranno- ).

cromoProf + alunna @Muse
Ma poi ci sono state anche le confidenze inaspettate, le parole al chiaro di luna per tranquillizzare e quelle alla luce al neon per riappacificare, gli abbracci spontanei, i sorrisi al risveglio muniti di profonde occhiaie di felicità, le infinite scale e i "prof quando si mangia??!", i panini smezzati con loro, le fotografie, le loro battute brillanti... Ho rivissuto una gita di terza media che un po' la mia memoria aveva cancellato ma sono sicura non fosse stata così appagante.
Campana della Pace, Rovereto
Ho cercato di far sì che si godessero appieno ogni scorcio visto, ogni attimo, che fosse di relax, di scoperta o di svago. Li ho osservati mentre ridevano felici, mentre cantavano le loro canzoni che per forza di cose diventano un po' anche mie, li ho scrutati con gli occhi chiusi e dolcissimi, accovacciati sul sedile di un pullman che correva su chilometri di spensieratezza.
Sentire le loro espressioni di stupore mentre con l'indice indicavano le cime innevate delle Dolomiti, o catturavano l'azzurro intenso di un lago che non si aspettavano così bello... Piccolissime gioie di purezza che vorrei conservassero nel cuore.


anfiteatro del Vittoriale, Gardone Riviera
Un'esperienza piena, densa, adrenalinica che è andata a consolidare un rapporto che già sapevamo intenso, ma che ora ha quel di più.
E mentre ero al MUSE, un meraviglioso museo di scienze naturali che consiglio a chiunque, due alunni mi trascinano per un corridoio a suon di "prof venga un po' a vedere chi c'è al piano di sotto! Una nostra conoscenza... venga, venga!" e se la ridono sotto i baffi perché avevano riconosciuto il manichino di Chaplin (tempo fa feci vedere loro un pezzo di "Modern Times"...ed ora eccoli lì a regalarmi un feedback inaspettato, indicando quell'attore buffo).
MUSE di Trento
Oppure il giorno prima, mentre le gambe percorrevano la trincea di Matassone, mi si avvicina un altro alunno e, nel bel mezzo della spiegazione sulla vita di trincea della guida che tanto si vantava di spiegare la "parte umana della storia, perché a scuola si imparano solo le date!", questo alunno mi sussurra: "Beh prof, questa guida parla, parla... ma sono tutte cose che ci ha già spiegato lei!".

Cose banali, apparentemente, ma che sono il regalo più grande per una prof.

Le mie parole saltellano avanti e indietro in questi giorni, a caccia di quei momenti che rimarranno scolpiti per sempre nel giardino dei ricordi più belli. Non in un cassetto di ricordi, perché quelli bisogna aprirli, si rischia di buttarci dentro di tutto e di più e accumulare senza più sapere cosa si è riposto sul fondo.

panorama dal Vittoriale 
 No, io li conservo in un grande prato, magari vista lago, come il panorama che si stagliava davanti a noi dall'anfiteatro del Vittoriale. Una foto su tutte, quei capelli  rosso acceso da sirena che esprimono la personalità di quella alunna dolcissima, ma che a volte si dimentica di esserlo.

"Dai restiamo ancora un altro giorno!" mi implorano dai sedili del bus, mentre il sole tramonta e l'aeroporto si fa più vicino. E pensare che erano partiti quasi col muso, perché loro al contrario di altre scuole, sarebbero rimasti in Italia... 


Già li ho ringraziati, per aver dimostrato di essere ragazzi in gamba, di potermi fidare di loro, anche se ci sono stati momenti di confronto costruttivo, di qualche "no" che serve a farli crescere, anche se crea in loro un dispiacere momentaneo...
Ora che siamo tornati, dopo aver recuperato decine di ore di sonno arretrato, si torna alla normalità. Con il tempo che corre veloce, con i mesi che sembrano scorrere tra le nostre dita come granelli di sabbia. Oltre al celebre "Memento Audere Semper" dannunziano, c'è un'altra frase che il Vate aveva inscritto, nella sua dimora del Vittoriale: "Hic manebimus optime". Qui staremo benissimo.
E così è stato, in questi giorni tra Trentino e Lombardia.
E così sarà, con voi nel mio cuore, dove voi starete sempre benissimo.
NOI.


















giovedì 7 marzo 2019

"Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso."

La stufa ha emesso il suo "bip", che mi avvisa del fatto che basta, è ora di andare a dormire, il fuoco è ormai spento.
Io però non lo so.
Non lo so se ho sonno, se ho voglia di sdraiarmi e chiudere gli occhi.
Perché mi turbinano in testa pensieri, parole, emozioni, che sto provando a buttare fuori saltellando con le dita su questa tastiera.
Sono stati giorni pesanti, giorni in cui l'umore è stato sottoterra, riaffiorava appena grazie a una frase buffa pronunciata da un alunno, grazie a un'attenzione in più di chi mi è accanto e ha imparato come me a non lesinare un abbraccio quando ci si può stringere, una carezza quando la si può posare sulla guancia.

Nella vita, in questi primi 29 anni e un po', ho incontrato davvero un sacco di persone, mi sono imbattuta in storie altrui che si sono mescolate con la mia.
Sento una naturale propensione nel relazionarmi con gli altri, nell'instaurare un rapporto che in certi casi si trasforma in bella amicizia, anche se a distanza. Perché il mare di mezzo c'è, presumibilmente ancora per poco, ma c'è stato in questi 4 anni di vita da isolana.
Messaggi audio scambiati per raccontarsi come si sta, quello che di bello e di meno piacevole accade.

Poi però arriva una telefonata, totalmente inaspettata, e per fortuna che avevo un divano su cui sedermi quando ricevo quella notizia.
Incredulità, amarezza, rabbia, dolore.  Ma come si può misurare un sentimento?  Ne ho provati tanti, mescolati, in pochi istanti. Per tutto il giorno, la notte, il giorno seguente, un tarlo, un chiodo fisso.
Un'empatia profonda con chi è rimasto qui, ma la sua persona se ne è andata.

Perché noi siamo rimasti a portare a termine, o comunque avanti di un pezzetto, quello che stiamo costruendo, a volte senza renderci nemmeno conto dell'enorme occasione che abbiamo, quotidianamente, mentre qualcuno, all'improvviso, non c'è più.
E quando lo vieni a sapere ti schianti a terra, inevitabilmente riaffiorano i ricordi di momenti condivisi, forse non molti ma non è questo che importa. Agganci con la memoria quello che ti compare nella mente, che, ti rendi conto, è tutto ciò che ti resterà per sempre di quella persona.

E il giorno dopo, sei in classe, in piedi davanti ai tuoi alunni a spiegare quanto la vita sia precaria, effimera.

Si sta
come d'autunno
sugli alberi
le foglie

Sentite gli enjambement? Spezzano il ritmo.
E intanto è la mia voce a incrinarsi, ancora un po'.
Pensi e ripensi.
Ungaretti tuona, un terremoto mi pervade. Primavera ormai esplosa fuori dalle finestre, ma un autunno triste dentro di me, che penso a lei. Che penso a lui che sarà qui per tutto il tempo che resta. Senza lei. Senza il loro "noi".

Assistere alla sofferenza da lontano, impotenti. Ma forse no, un po' di potere me lo dà, questa orribile situazione.

Mi dà la consapevolezza del valore dell'ogni.
Ogni gesto.
Ogni sguardo.
Ogni occasione.
Ogni carezza che non devo trattenere per il mio cagnolone che è sempre più affaticato e nella passeggiata serale mi fa rimpiangere tutte le volte in cui mi trainava con i suoi quasi 40 kg.
Non me le voglio perdere le attenzioni, finché posso dedicargliele. Non si merita che io sprechi il tempo che posso concedergli finché gli sarà dato modo di godere del mio amore.

Un invito, forse banale, sicuramente sconclusionato perché stasera va così, dopo mesi di silenzio dato che le parole le ho riversate tutte sulle persone con cui potevo interagire dal vivo, dimenticandomi di questo posto di cui ogni tanto ho bisogno.
L'invito a dare peso alle normalissime meraviglie della vita, un peso apparente, dato che porta leggerezza a noi stessi.
Percepire le situazioni che si presentano a noi, nella quotidianità, o che facciamo accadere, vivendole come se fosse l'unica occasione per affrontarle.
Non un "carpe diem" generico e superficiale, ma l'augurio di un'intima consapevolezza di quanto un lasso di tempo così breve come una vita, possa sprigionare bene. Perché alla fine, è quello che conta davvero.

Il bene che dai è tuo per la vita, ciò che tieni è perduto per sempre.

Sulle note di una malinconica, disperatamente perfetta, pesante e capace di alleggerire l'anima di chi ha perso qualcuno, con le sue note dolcissime, Everglow.
Forse ora andrò a letto.
Comincia a fare freddo, qui. O forse sono i brividi di queste note che si inchiodano dentro la pelle.