La Rivista Culturale

sabato 4 aprile 2020

Le parole che salvano, ma a volte non bastano.

Scambiate al telefono, volatili e veloci, capaci di raggiungere orecchie e cuori distanti chilometri e divise da un mare. O un oceano.
Appese al sole di aprile, che forse ha deciso di scaldare i giardini, le frasi da un muretto all'altro, che scavalcano il cemento e rimbalzano in un ping pong con la vicina di casa appassionata di libri e sorrisi.
Parole dentro le mura, con la persona con cui ci si sveglia, ci si addormenta e si condivide un pasto. O dieci anni di vita.
Appuntate su post-it, a far da promemoria in giorni apparentemente tutti uguali, scanditi da ritmi difficili da digerire.
Parole che emergono dalle pagine di un libro che si sceglie per avere un po' di compagnia, quel tipo di compagnia che solo il profumo di carta stampata è in grado di fornire, perché capace di arricchire di esperienze e vite mai vissute, la propria singolare esistenza.
Scritte velocemente su una tastiera, inviate insieme a un'emoticon, per dare un tono semiserio o scanzonato a quel messaggio lì.
Parole che ci salvano, in questo periodo a cui manca la carne di un corpo da abbracciare, un viso da accarezzare, la meraviglia di uno sguardo a pochi centimetri dal proprio viso con cui ridere o al quale confidarsi.

Uno schermo separa, in condizioni di normalità, perché altro non è se non un muro illuminato, su cui puoi avere il mondo a portata di un click, quando invece ci siamo resi conto che il mondo che ci interessa davvero è quello reale, che possiamo toccare, con cui possiamo sporcarci le mani e inzupparci gli occhi di lacrime e sentire con tutti e cinque i nostri sensi.

Però, in questa rielaborazione delle nostre vite, in questo enorme peso (ma anche leggerezza) dato dalle parole, l'augurio è che si dia valore a quelle che per qualcuno erano banalità. Vedere negli occhi un mio alunno mentre mi parla, ora, questo non è più una banalità, è una specie di desiderio. Sì perché le videolezioni sono fatte di parole, parole che ogni insegnante spera non rimangano sterili, ma funzionino come un aratro a versoio, capaci di scavare dentro, anche a distanza. E queste videolezioni sono tutto tranne che vere. Sento le loro voci, alcuni, solo alcuni, fanno capolino dallo schermo, armati di cuffie, di sorrisi, di buona volontà. Ma a me mancano anche gli altri, quelli che forse ancora non hanno capito quanto bene può fare ripristinare, anche solo per un minuto al giorno, un contatto visivo con quegli occhi, di cui stavo imparando a ricavare, silenziose, le loro parole.

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