La Rivista Culturale

giovedì 19 gennaio 2012

Appennellare l'ancora. O la propria vita.

L'ho sentito per radio, ieri mattina. Un termine nuovo, settoriale. Da marinaio. 
Appennellare. Significa sospendere l'ancora a pelo d'acqua, prima di gettarla in mare.
L'ho subito coniugato in un'altra accezione, l'ho applicato a tutte quelle vite che si lasciano appennellare.
Fuori dal proprio corpo, alla ricerca di un qualcosa di più di quel che si ha.
Ma che dentro, composte, tra la carne, le ossa e il sangue, non ci vogliono stare.
Sono talmente prorompenti che, quando hanno un'occasione, esplodono.
Così nascono i poeti, gli artisti magari incompresi, gli eroi.
Ogni giorno la Terra ne conosce più d'uno. 
Noi, nelle nostre case, possiamo scoprirne di rado, in base a quanto tempo i telegiornali hanno voglia di dedicare al servizio. Che ci informa dell'ingegno di un giovane talento, della qualità fuori dal comune di un atleta.
Di un musicista che muore per salvare un bambino.
Così si torna al significato più tecnico di questo termine. Quello che riguarda l'ambito marinaresco.
Un batterista che cede il posto sulla scialuppa a uno sconosciuto. Fa notizia, certo, ma è solo un'eco che si espande dal boato della triste vicenda di qualche giorno fa.
Una nave da crociera che si schianta improvvisamente su uno scoglio forse imprevisto, forse non avvistato. 
Qualche vita è affondata assieme al Concordia, con la rabbia di chi rimane e il suono del mare quando si trasforma in nemico, nel cuore.
Giuseppe Girolamo ha lasciato la sua vita fuori dal corpo di cui era proprietario. L'ha esposta al rischio più terribile, in cambio della salvezza di un altro. Di un bambino. Di uno sconosciuto. 
Non scrivo per giudicare, per puntare il dito contro.
Riempio queste righe per puntare il dito verso.
Verso un esempio di puro bene.
E allora, impariamo anche noi. A non trattenerci nella nostra ristrettezza. A lasciarci penzolare anche un po' fuori, alle intemperie, prima di decidere che la nostra vita è immensa e basta a se stessa. 
A essere, anche noi, àncore per qualcuno.




domenica 6 novembre 2011

Grazia e Natura. Dal cielo in giù.

 C'è stato un periodo, qualche tempo fa, in cui tra le sei e le sette di sera perdevo gli occhi nel cielo.
Coi suoi minuti di tramonto spruzzava nel telo di aria che avvolge la terra un colore intenso, quasi artificiale..rosa di vita lo definirei, per la sua freschezza, per il suo brillare carico di dolcezza.
Non abbagliava, ma non era nemmeno malinconico.
Uscivo dalla porta di casa, e, voltandomi a sinistra, facevo un inchino al contrario, dal basso all'alto, una deferenza nei confronti di chi non smette di regalare visioni al confine col magico.

Da qualche giorno, invece, nessun elogio sale più al cielo.
Anzi, lo si disprezza per l'acqua che ci getta addosso impietosamente, liquido trasparente dalla potenza distruttrice, che fa esplodere la disperazione in chi sta sotto le nuvole e non riconosce più la sua casa, la strada che percorre ogni giorno a piedi, la sua città.
Ma che colpa ne ha, quel cielo che mi fa tanto appassionare per quanto è puro, per gli spettacoli che ci offre gratuitamente, che ogni tanto, come accade anche a noi uomini, si sfoga con lacrime che noi malediciamo.

Castigo per chi osa sfidare un ambiente non fatto su misura per palazzi a ridosso del mare e delle montagne. L'uomo lo sa, ma finché non è protagonista di un dramma, preferisce fingere di non esserne a conoscenza. Così scarica la responsabilità a un meteo ingiusto, a una tempesta che è buona solo a provocare danni, a chi di colpe non ne ha.

Ma la natura non potrà mai darsi limiti, la natura è irruenza, è cataclisma incessante, anche nei suoi minimi cambiamenti. Ne risente l'intero ecosistema.
Noi ci rendiamo conto solo delle sue più imoponenti modificazioni, ma se c'è una cosa che ci insegnano da subito, a scuola, è che il plancton, per quanto minuscolo sia, è fondamentale per la sopravvivenza di inte re specie marine.


"Ci sono due modi per affrontare la vita: lo stato di natura e lo stato di grazia."

In "Tree of Life", film che lascia perplessi i più, si ha un elogio delle due potenze che governano il mondo: Grazia e Natura.
Per l'uomo è facile seguire la pulsione più forte, quella che atavicamente ha sede in lui e ne guida le gesta che garantiscono la sua sopravvivenza.

Poi però esistono sentimenti più sottili degli impulsi, bisogni che trascolorano in "di più" coi quali dare arricchire la propria vita, che alcuni chiamano arte, altri amore, altri ancora "filosofia".

Io, che amo il sole quanto più illumina e riscalda, vorrei imparare a esercitare quel dono di cui troppo spesso si fa spreco, quel "di più" che mi permette di alzare gli occhi al cielo, e, nonostante la pioggia, ringraziare.

 ”Alla natura si comanda solo ubbidendole.” Francis Bacon






mercoledì 14 settembre 2011

Quattro Stracci.

Ti attraversa gli occhi quel lampo, gelido e penetrante, di quelli che mi si conficcano tra il cuore e un polmone.  Respiro appena, mi arrampico al poco ossigeno che mi rimane attorno, perché lo hai ingoiato tutto tu, il resto. Per gridarmi addosso tutta quella dannata verità. 

Su quanto io sia infantile. 
Ne ho bisogno, sei il mio promemoria in carne e ossa, sei la persona che mi regge lo specchio. 
È grazie a te se riesco a migliorare il peggio che ho.
Ma come faccio a parlare, se mi manca l'aria.
Taccio, inerme.
Aspetto la parola giusta, la frase a mia discolpa. Che però, non arriva. Vorrei riavvolgere il tempo di pochi minuti, controllare una reazione, cambiarmi il carattere. Con una magia. Come non può accadere, nella realtà. Perché questa è fatta da scelte concrete, attimi che ti passano tra le mani e devi essere tu veloce a serrare i pugni per intrappolare le manciate di secondi. Per non pentirti poi, per non aver bisogno di correre a cercare la parola giusta, la frase a tua discolpa. 
E mi sento colpevole, per il non sapermi controllare. Per le emozioni che mi sorprendono con la loro puntualità inaspettata, e mi scaraventano secondo la loro corrente. Non sono brava a nuotare in questo mare, non sono abile a improvvisare, a mettere punti fermi, boe per stare a galla. 
E, appesantita, sprofondo.

Poi quel lampo ti è sparito.
E sei andato via, insieme a quel po' di delusione che accompagna sempre la fine di un litigio.
E ora che mi è rimasto solo l'eco delle tue parole, cosa me ne faccio di tutto quest'ossigeno che mi entra dentro, se non posso più sentirmi soffocare davanti a te?

[...]
La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla, 
ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla; 
io, se Dio vuole, non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre, 
tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte, 
poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla: 
le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte 
ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla! 

Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me, 
ma non c'è un alibi, non c'è un rimedio, se guardo bene no, non c'è un perchè; 
nata di marzo, nata balzana, casta che sogna d' esser puttana, 
quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori 
ed hai annullato tutti fuori che te, 
ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri, 
persa a cercar per sempre quello che non c'è, 
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri 
persa a cercar per sempre quello che non c'è, 
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri 
persa a cercar per sempre quello che non c'è...
[Quattro stracci_F. Guccini]

the pride_William John


“Chiunque può arrabbiarsi, questo è facile. 
Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, e al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:
 questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile”. Aristotele



mercoledì 7 settembre 2011

uno stralcio di racconto ripescato dal tempo..

"Fammi la magia dell'inchiostro blu." Tono senza richieste, al tabacco.
Il mio editore mi è di fronte, schiacciandomi coi suoi occhi color ebano.

Ha espresso una richiesta, e si aspetta che io la esaudisca.
Dita -le mie dita- contratte, per afferrare la labilità di un pensiero.
Quanto le ho allenate, a catturare quelli che dai più vengono chiamati "attimi".
Uno scatto e percorrevano il tragitto che le separava dalla pagina vergine e senza peccati.
La scia si posava con eleganza impetuosa sul bianco, impietosa decorazione di parole.
A colorare l'anima senza sangue di un foglio.
Sfumarne i possibili significati, smussarne gli angoli.
Impastarsi con la sua impassibilità e infondergli un bagliore di vita
Mettevo in circolo l'inchiostro per attivarne il cuore.
"Non posso." Appena sussurrato. Appena.
Nessun organo avrebbe potuto sopravvivere senza la carica dei battiti cardiaci. Nessun corpo. Neppure quello immobile di una patina di cellulosa.
Ho una necrosi del cuore in corso, mi dispiace Franco, nessuna magia sul tuo palcoscenico.
"Dopo l'ultimo racconto mi aspettavo qualcosa di più che una dichiarazione di incapacità. Mi deludi, sai?"
E se ti dicessi che lì dentro, in quello che definisci "racconto", ci avevo riversato tutto l'inchiostro contenuto nella gabbia toracica, proprio lì, tra i due polmoni?
Ho rischiato di soffocare, vittima del mio stesso trucco da prestigiatrice folle.
So che ti aspetti una mia iniezione di liquido blu.
È inutile che aspiri con più vigore, la sigaretta non può ribellarsi alla sua fine imminente, morirà bruciando di se stessa e su questo sì, hai il potere.
Alzo lo sguardo, incontro i tuoi occhi interrogativi e inizio a spogliarmi, lentamente, strato dopo strato di anima.
"Si, sono incapace. Di provare emozioni che trasformino l'astratto in parole che siano concrete. Di guarire dalle metastasi che mi impediscono di provare quello che la gente comune sperimenta, con cadenza quotidiana. Di sezionare il mondo con l'unica arma di cui ero provvista per affrontare le insidie che uccidono, la mia penna, scudo e fionda al tempo stesso.
Prima di conoscerti non potevo fare a meno di appuntare, registrare, immortalare esistenza, per ogni frangente di eternità.
Lo facevo per svuotare il male che si radicava nei nascondigli di un corpo giovane e instancabile come il mio. Ne ero dipendente, lo so.
Ma di quella droga non sarei morta, se non volontariamente.
Mi macchiavo di colpe che non avrebbero potuto essere assolte eccetto che con una confessione.
E questa arrivava, puntuale e precisa, con le mie storie. Solo loro mi pulivano.
Però poi, grazie allo sporco mondo dell'editoria, ho scoperto che non serve purificare l'anima per ottenere un Giubileo della durata di una storia da raccontare.
Pensavo ci si salvasse scrivendo, distillando goccia a goccia gli umori cattivi, sfino a sfiorare la maniglia di un Paradiso inarrivabile ma evidente.
Allora la pagina non era più una zolla pura da fertilizzare con semi di eloquenza, era un campo da arare per raccogliere i frutti già maturi che la penna materializzava.
E il contenitore di inchiostro, il calamaio e tutte quelle righe sconnesse ma così cariche di espiazione mi rendevano perpetuamente grazia.
Sei arrivato tu e hai risucchiato tutto, con la tua avidità.
Ti deludo, ma mantengo il mio onore. Non sono la tua sigaretta, decido io quando smettere di esistere per te."
Monologo di aria e rumori. Nessuna scia di inchiostro.
Dita -le sue dita- contratte, per afferrare una risma di fogli bianchi e gettarmela addosso.
Che dolce, questa cascata di candore su di me.
Socchiudo gli occhi, lascio che piovano sottili gocce cartacee e, come l'ultima lacrima di un calamaio, sparisco. 




mercoledì 24 agosto 2011

aspettando la vacanza futura... rievoco l'Istria con la mia scrittura.. perché vorrei già tornare a Premantura!

Un market e due vie che si incrociano. Lampioni accesi a spegnere le stelle che invece si vorrebbero ammirare. I grilli nascosti a cantare e l'abbaio incessante dei cani. Questa è Vinkuran, in un giorno qualsiasi d'estate.
Poi però ci siamo (stati) anche noi.
A percorrere quelle due vie cercando stelle cadenti in un cielo dello stesso colore del mare dove non si tocca. Lamentandoci degli insetti  e ingaggiando vere e proprie lotte anti-zanzare malefiche che si intrufolavano nella nostra "casa del mare".
Sembrava sempre festa, con tutte quelle luci accese, gli asciugamani stesi sui balconi a colorare il bianco dell'appartamento Jelena, le voci alte di tutti gli "zii" della piccola Giorgina, risate che si trasformavano in grida di gioia per la squadra che vinceva a Tabù alternate a grida di disperazione e imprecazione durante le interminabili partite al Due.
"Parli come pingu!" e giù a ridere ancora, canticchiando la canzone dell'indiano e del cowboy Arturo.
Un vero e proprio diario di bordo non c'è stato, ma mi piace ricordare in un piccolo spazio ancora fresco e al sapore di quel po' di salsedine che mi sono portata a casa, tutto il bello che abbiamo vissuto in quindici giorni istriani.
Perché il tempo delle vacanze è una molla che si arrotola nella spensieratezza per poi distendersi quando il mare non c'è più.
Inutile soffermarsi sull'entusiasmo pre-partenza, dopo varie prove valigie e lunghi saluti a chi restava a casa, messi in viaggio da un temporale che ci ha accompagnati per molti km di autostrada lasciando finalmente il posto alla notte di nuvole che si diradavano mentre attraversavamo gli ultimi tratti di Italia. Superando abilmente la dogana slovena grazie alle dettagliatissime istruzioni raggiungiamo dopo quasi 8 ore Pula, cittadina che si presenta ancora deserta nel momento del nostro arrivo.
Le pance brontolano, ma consapevoli delle strane abitudini croate riguardo alla colazione, temiamo di non poter soddisfare la nostra fame con un bel cappuccio & brioches.. e invece, il proprietario del bar a cui decidiamo di appellarci corre a rifornirsi di brioches giganti in non si sa quale panificio vicino, tornando con vassoi carichi di cibarie per tutti (il poveretto era un vecchino tremolante e magrissimo, una specie di anteprima del Frigerio tra qualche anno...)
Assonnati ma rifocillati, facciamo quindi rotta per Vinkuran, a pochi minuti da lì. Eccoci finalmente nel cuore pulsante della vita del nostro paesello, ovvero il parco giochi, dal momento che la desolazione vige  sovrana ovunque. Dopo varie ricerche riusciamo a trovare i nostri appartamenti e le padrone di casa molto ospitali ci offrono pure del succo (che ahimè non riscuote affatto successo a causa del suo improbabile colore giallo fluorescente... a quanto pare ha apprezzato solo la Giorgia.)
Sistemati nelle rispettive camere/cucine/soggiorni corriamo a cambiare le Krugne (così soprannominate da Ste) e carichi di materassini a prova di sasso, ci accampiamo nella prima delle numerose spiagge del nostro soggiorno.
Dopodiché è un susseguirsi di giornate piene di bagni in un mare roccioso e pieno di ricci e pesci, alla scoperta di isolotti abitati da mucche e tori nel bel mezzo dell'Adriatico, pagaiando su un kayak che se ne andava per i fatti suoi e pedalando su pedalò per ricercare spiagge isolate.. Nel frattempo però non tutto va come previsto perché una delle tappe del nostro viaggio non viene raggiunta per una serie di sfortunati eventi.. e così niente parchi di Plitvice, niente orsi nè laghi dall'acqua blu.. In compenso trascorriamo qualche ora all'autogrill in attesa dell'omino dell'assistenza che più che sputare saliva nel motore della Opel di Kappa non ha fatto.. in compenso ci siamo tirati avanti con lo scopo della vacanza, ovvero la coreografia della hit dell'estate croata.. "Danza con Giuso!".. Prima o poi gireremo anche il fantomatico video..
Le ore diurne volavano via tra la ricerca di una caletta nuova nel parco di Premantura e le interminabili spese ai supermercati, divertendoci a giocare a una "pallanuoto fai da te" e trattenendo il fiato mentre i nostri coraggiosi uomini si lanciavano da scogliere di 12 metri (alias 3 metriBusna)..
Finché io e Gary, sulla scia di un gioco proposto dalla Ste, passiamo metà vacanza a parlarci in rime che finiscono in "-ura", a partire dalla ormai celeberrima "voglio andare a Premantura a comprare la verdura"..
Il secondo sabato Marty e Teto ci salutano per raggiungere l'isola di Pag, e così Bu non può prendersi la rivincita alle "lotte del buongiorno" in cui finiva (quasi) sempre con l'essere schienato dal suo avversario Teto.. Via una coppia e ne arriva subito un'altra..Dani e Cri, che come accoglienza ricevono un raggelante silenzio per non aver portato in salvo l'antico vaso... niente spesa e quindi niente Montenegro.. a loro cediamo la suite del piano di sopra per trasferirci nel nuovo alloggio che adibiamo a bazar.. il nostro divano letto verrà poi monopolizzato dalla Giorgia che nel frattempo si è innamorata dei granchi raffigurati in un quadro nella nostra "zona notte" (non riesco proprio a chiamarla camera...) e della bici che la sua zia più atletica (che ovviamente sarei io..) le ha insegnato a fare.. Mentre la povera Mamma Oby deve badare ai capricci del bimbo Luca del don Orione..
Ma non ho ancora rievocato le nostre ore buie... diciamo che la serata tipo inizia dopo cena, ovvero verso le 22.30/23... con la Giorgina più arzilla di tutti quanti, gli uomini pronti e armati di Jagermeister posizionano i carriarmati sul tabellone di Risiko mentre noi donzelle ci dedichiamo allo smaltamento unghie (dopo la classica gita ai cassonetti delle due netturbine, Sò&me) ..in alternativa la Ste propone una serie di giochi che riscuotono notevole successo, in particolare "il terzo uomo", in cui gli elementi fondamentale sono i dadi, il numero 3 e soprattutto l'alcol.. e le discussioni che seguono una partita di Scruples o le clessidre che segnano il tempo per le parole da indovinare a Tabù... fino a interromperci tutti su una domanda come dire.. fuori luogo.. che diventerà l'emblema della vacanza...
"ma dove m..... . ....?!?!?"
Ma ci sono anche le uscite a Pula e finalmente, Rovigno.. cittadina decisamente caratteristica, una specie di piccola Venezia piena di vita e viuzze che si arrampicano su fino alla chiesa.. e i piedi di noi donnine piangono.. ma finalmente vediamo qualcosa di diverso dal nostro terrazzo pieno di bottiglie e cookies..
Nel giorno di Ferragosto ci siamo dati a un'escursione in barca, guidati da un taxi boat il cui conducente si è dimostrato subito molto simpatico definendoci "Italiani..Lampedusa! ahahah" forse giusto perché eravamo carichi come dei profughi mentre sbarcavamo sull'isoletta di Levan.. che, a parte la misera strisciolina di sabbia, e il calcio balilla umano, non era un granché.. però posso dire di aver circumnavigato un'isola a nuoto, dato che io e il mio moroso ci siamo lanciati nell'impresa.. (la vera difficoltà consisteva nel non essere punti dai millemila ricci di mare che albergavano sulle rocce a filo d'acqua..)
... questo il resoconto molto stringato di 15 giorni istriani, ora non ci resta che finire gli ultimi kg di pasta avanzata e ultimare le decorazioni del mio cappello che pian piano si riempirà di conchiglie.. (per la prossima estate sarà pronto..).. e soprattutto scambiare le foto per riguardarci in quei giorni spensierati, mentre l'abbronzatura a poco a poco se ne va nonostante il caldo di questo agosto non ci abbandoni ancora..

e per finire, le perle della vacanza..

"Io non ci sto a questo gioco al massacro!"
"calma...!Stai calma...!"
"ma dove minchia è....?!?!"
"Una macchina rossa!!!" (seguita da botte e pizzicotti al malcapitato di turno da parte mia e della Stefy..)
giocando a Tabù..turno dell'Ale..definizione.."il salto della..." Gariboldi:"Asta!" -.-
sempre Tabù.."...mmh..lo è Kappa!"...silenzio..insulti..insulti..alla fine era "genio"..
"Parli come pingu!"
"Puerile" e "Serendipità"
"Combattiamo la cellulite!!!" (Bu e Giorgina che prendono a bottigliate le gambe di noi donne..)


Pula,tramonto

martedì 26 luglio 2011

a pedalare si impara che...

"Knockin' on Heaven's door" suonava da lontano, in un concerto in playback esibito sopra un palco in piazza.
Il mio orecchio sinistro seguiva il ritmo della canzone, quello destro, invece, teneva un altro tempo.
I battiti di un cuore coperto da una felpa.
Perché la sera, tra le montagne, scende sempre un po' di freddo, giù dagli angoli delle stelle, assieme al buio.
Io me ne stavo lì, intrappolata in uno di quegli abbracci che solo due corpi innamorati sanno creare. 
Quegli incastri perfetti.
Il profumo di frittelle e di festa riempiva l'aria, mentre dal sacchetto stretto tra le dita, saliva silenzioso un odore di nuovo.
Le pagine di un libro ancora vergine d'occhi, un libro che non è un romanzo, ma un insieme di piccoli racconti, gli stessi che amo scrivere, perché nella loro brevità possono riuscire a racchiudere esattamente quella scheggia di sensazione che altrimenti si confonderebbe col resto del legno della mia corteccia.
Colpita già dal titolo. "Il contrario di uno", di Erri De Luca.
E quindi stavo lì, gambe stanche per i km divorati dai pedali di una giornata diversa, di quelle che programmi da mesi e che fino all'ultimo non puoi sapere come andrà.
Noi, quattro ragazzi nella loro estate, a godersi una breve vacanza, piccola come la tenda in cui abbiamo dormito, buona come le fresche brioches alla marmellata che ci davano il buongiorno, indimenticabile come quei paesaggi ammirati dall'interno, mentre li attraversavamo sfrecciando sulle nostre biciclette nelle discese che ci accompagnavano a Lienz.
Abbiamo percorso molte strade pedalando,e ho avuto l'occasione di riflettere un poco su quanto una semplice gita in mountain bike possa insegnare.
A pedalare si impara che tu hai il tuo sentiero, con le indicazioni e la via da seguire che si allunga davanti ai tuoi occhi, pedalata dopo pedalata. 
Ma non è l'unica. Puoi improvvisare, puoi sbagliarti e trovare un'altra strada, forse più lunga, forse meno semplice. Puoi perderti e puoi ritrovarti. 
Ma almeno la crei tu, una strada che sia la tua, non i segnali.
Si impara che arrivi al punto in cui hai una salita da affrontare e allora puoi decidere tu. 
Se stare in sella, scalare le marce e darti una spinta per farlo da sola. Per riuscirci con le tue forze e andarne fiera.
Oppure cedere alla fatica e trascinare su la tua vita assieme alla bici, dandoti per vinta. 
Per arrenderti alle tue debolezze, e alzare le spalle, pensando "vabbè, non importa". E andarne meno fiera.
Impari che hai bisogni di guardare sempre dritto se non vuoi perdere l'equilibrio facilmente, perché per voltarti indietro devi essere già brava, devi avere la certezza che non cadrai, se proprio vuoi concederti una sbirciatina alle tue spalle.
E cercare con gli occhi il paesaggio che ormai hai già superato, gli scorci di vissuto che ti sei seminata dietro. 
Il tuo passato.
A pedalare si impara che le gambe bruciano e la gola diventa secca, soprattutto se il sole c'è e ti picchia in testa, ma non puoi permetterti sempre di viziare il tuo corpo. 
Si impara anche a dire no, pedalando. Vivendo.
Impari a prestare attenzione a tutto quello che ti circonda, anche se si tratta di semplice natura.
E, infine, ti accorgi.
Perché non è vero che tutte le parti fondamentali della vita si imparano.
Alcune le scopri vivendole e basta.
E allora, in quei casi, succede che ti accorgi.
Che sei da sola a spingere su quei pedali, per proseguire.
Ma tutto cambia, se qualcuno compare al tuo fianco.
Anche solo per rincorrerti nelle discese, o incitarti nelle salite.
Sai che c'è, e non hai bisogno di scrutare l'orizzonte per verificarne la presenza. 
Ti è accanto, costantemente.
E km dopo km ti fa persino dimenticare di quel dolore alle gambe, perché l'unico valore è quel sentiero da percorrere.
Insieme.


venerdì 8 luglio 2011

"Certi hanno una luce attorno che illumina anche le altre persone."

Qualche tempo fa ho visto un film, "Precious", una storia di riscatto, che come ogni storia di riscatto comincia mettendo in scena una vera e propria tragedia (famigliare, in questo caso..)
La giovane ragazza-madre (Precious, appunto) piena di problemi che assieme all'obesità fisica, le rendono la vita ancora più pesante, abusata dal padre, maltrattata dalla madre e priva di amicizie.
Una catastrofe.
Poi ecco la Fata Turchina che appare.
Niente bacchetta magica in questa favola, solo un gessetto bianco. È una professoressa in gamba, una prima vera amica per Precious. Grazie alla tenacia e all'affetto gratuito di questa donna l'adolescente sarà in grado di formulare un pensiero semplice, ma abbagliante per la sua verità.


"Certi hanno una luce attorno che illumina anche le altre persone. 
Penso che forse alcuni di loro stavano in un tunnel e in quel tunnel forse l'unica luce che avevano stava dentro di loro. 
E Poi, anche tanto tempo dopo che sono usciti dal tunnel continuano a splendere per tutti gli altri."


Così oggi, mesi dopo quel film, incontro di nuovo quelle parole, e le faccio mie.
Siccome le cose belle sono sempre associate all'idea di luce, che è chiara, pura, e ci permette di vedere oltre, ho deciso di allargare il pensiero di Precious e viverlo in prima persona, sulla base della mia esperienza.


Mi è capitata questa vita, quella in cui per ora ho quasi ventidue anni e un bel passato alle spalle.
Mi sono capitate piccole avventure, grandi banalità, ricordi che mi rendono fiera di me e altri di cui arrossisco ancor oggi.
Ma non basta tutto questo per rendere una vita tale.
Perché in un percorso che non si limiti ad essere una mera esistenza si dà il caso che capiti pure dell'altro.
E questo altro sono i Diamanti.
Chiamo diamanti coloro che sono dotati di una facoltà molto speciale:
quella di far brillare la persona a cui scelgono di dedicarsi.
Sono incolori e trasparenti, e ci danno l'opportunità di vederci, vederci dal dentro, dal posto che riserviamo loro e lasciamo che da lì diffondano la propria bellezza.
Filtriamo il mondo in un modo nuovo, se abbiamo la fortuna di aver incontrato un Diamante.
Sembra importarci solo della bellezza, non quella superficiale, ma quella che emerge scavando a fondo, in ogni cosa che viviamo. 
Anche perché non è mica detto che noi per trovare quel Diamante non abbiamo fatto fatica. 
Alle volte ci accorgiamo di averlo accanto senza nemmeno il bisogno di cercarlo, perché ci è stato regalato. Dal Cielo, da qualche Dio, o da un Destino sorridente.
Quando il diamante è una madre, o un padre.
Altre volte bisogna scavare nel fango a mani nude, a cuore pronto. Pronto a lasciarsi accecare non appena il primo bagliore lo colpirà, una volta che il Diamante verrà dissotterrato. Allora, con le dita graffiate per la faticosa ricerca, non ci importerà più del tempo passato a cercare quel piccolo miracolo.
E nel nostro vocabolario decideremo di chiamarlo "amore". 


Poi ci sono le volte in cui capita che magari ingoiamo vetro, perché sbadatamente lo confondiamo.
Ma il vetro non splende.
Il vetro si graffia, si scheggia. Ci graffia. Ci scheggia.
E alla fine, rischiamo persino di farci del male.
I Diamante invece non ci ingannano, non ci taglieranno mai.
Saranno sempre al nostro fianco e allo stesso tempo un passo più in là, pronti a prendere al volo il nostro cuore, se mai dovesse inciampare in qualche buca della vita.