La Rivista Culturale

giovedì 31 dicembre 2015

...almanacchi per l'anno nuovo?

Illusioni di felicità per un anno venturo.
Certezze che i 365 giorni che volgono al termine stanno tramontando con un sole pieno inghiottito dalla linea dell'orizzonte. Un tramonto che lascia senza fiato, appagante e intenso.
Incognite che, instancabilmente, macchiano il domani, lo contaminano prima ancora che si realizzi, a volte colorandolo di speranze, altre sporcandolo di incertezze.
Un'agenda nuova, elegante, al riposo dentro una borsa per il nuovo lavoro. Agenda nuda, vergine di impegni, al contrario di me in questi giorni di ritorno, di ri-abbraccio, ri-tutto.
Percepire una nostalgia di casa, di mare, di vita appena cominciata che immaginavo piena e bellissima ma non così tanto.
La consapevolezza che mancheranno, ancora, persone, affetti, situazioni.
Ma poi ripenso a quel cielo immenso che domina il mare e la natura (che, a sua volta, domina la terra di quell'isola), gli stormi di uccelli che danzano bucherellando le nuvole e ci strappano sorrisi di meraviglia.
Fenicotteri rosa, gabbiani canterini. Strade mai battute che diventano una routine, quotidianità da scoprire con entusiasmo, senza fretta.
"Che scelta importante hai fatto!", mi ripetono molti amici. Io distendo le labbra in un sorriso, e non so mai cosa rispondere. Perché non si è trattato di lasciare tutto e seguire il cuore, la mia vita in Sardegna è molto di più. Si tratta di un battesimo di vita raddoppiata che, in questi cinque anni, aspettava di prendere forma, una conseguenza naturale, il parto dopo la gestazione. E rinascere in due è un miracolo che mi incanta, ogni giorno. Indipendentemente dalla mia nuova isola, da quel luogo vicino al mare che, naturalmente chiamo casa.
Leopardi si interrogava sulla felicità umana nel suo dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere. Io vivo con la consapevolezza che, calendari o meno, la vita è lo spettacolo più imprevedibile a cui possiamo essere al contempo spettatori e protagonisti. E quindi, su il sipario e buon anno nuovo a tutti.

sabato 19 dicembre 2015

Elenchi: tempo di imparare.

Nel pc la lista di film (e serie tv) per le sere sul divano.
Una lista di libri appesa ai tappi di sughero di una bacheca (graditissimo regalo per noi e la nostra casetta). Accanto, un elenco di attività ed escursioni che vogliamo effettuare in questa terra ancora nuova, per noi.Il frigo, perennemente addobbato da una lista della spesa continuamente modificata.
Liste di cose da preparare per la scuola, di oggetti da non dimenticare, da mettere in valigia quando si dovrà partire per tornare "in continente". Gli elenchi mi son sempre piaciuti molto, mi danno l'idea di un ordine di cui non sono mai riuscita ad essere padrona. Freddi, calcolati, chiari. Il contrario di quando apro un file word e butto dentro la baraonda che mi frulla in testa.
Poi incontro una classe, musini di futuri uomini e bozzoli di donne che hanno energia da vendere, euforie da catturare e riconsegnare sotto forma di spiegazioni entusiaste (ed entusiastiche). Sono piccini, ma hanno un mondo imprigionato dentro. Hanno voglia di esprimersi, di darsi una forma, di costruire la propria personalità. 

Vivaci e in balia di noi grandi, noi guide, noi ancore nel loro oceano adolescenziale. Noi che poi, a un certo punto, ci sentiamo tanto piccoli, ancora più piccoli di tutti quei bachi da seta pronti a sbocciare: succede quando incontriamo qualcuno che, anche se ha solo tredici anni, ha un mondo dentro che nessun altro, nemmeno un adulto, riesce a comprendere. Non per la confusione che vi governa, anzi! Il suo mondo si regge su un'incredibile ordine, una sorta di catalogo in continuo ampliamento, in cui nozioni, concetti, parole nuove si combinano e prendono una posizione definitiva. Questo bambino grande, come molti altri bambini grandi, vive delle difficoltà sconosciute ai suoi coetanei, la sua rapidità nell'eseguire gli esercizi assegnati dai vari prof entra in collisione con una semplice battuta non capita, un doppio senso che non riesce ad essere compreso, che non rientra nel campo, tanto sicuro, della logica e della razionalità. E allora questi tredici anni in un corpo che ha voglia di crescere fanno fatica, si allungano di qualche centimetro, continuano a memorizzare spiegazioni, fermate dell'autobus, nomi di stelle, ma devono compiere uno sforzo sovrumano per ridere a una battuta del compagno di classe. Ecco che tornano gli elenchi, le cose messe per iscritto e ordinate con cura, con un senso. Un'ancora indispensabile, per quel bambino grande, un di più superfluo, per gli altri.In questo Natale nuovo, vissuto al di qua del mare, inizierò forse un nuovo elenco, che avrà il titolo di un prezioso libro (altro regalo, impregnato di bene e saggezza): tempo di imparare.
Perchè, soprattutto quando si ha la penna rossa in mano, si ha il dovere di dare, prima di tutto, un giudizio a se stessi.

giovedì 1 ottobre 2015

Le nuvole, qui, sono più veloci.

alba dalla finestra, 1

Maestrale, grecale, libeccio, scirocco..
Sono tanti, ancora più di quelli che ho elencato, i nomi dei venti che soffiano in Sardegna.
E li sto imparando, piano piano, a riconoscere.
In questi giorni era stata diramata l'allerta meteo, nubifragi violenti si sono abbattuti sulle coste e nell'entroterra. Adesso basta, pare si voglia prendere una lunga pausa dalla rabbia, il nostro cielo.
I cipressi, a pochi metri da me, che sto al riparo nella mia nuova casetta, si muovono a destra e sinistra, oscillano, sembra stiano in piedi solo per miracolo e che basti un soffio (ancora) più forte per tirarli giù.
 Mentre dietro le nuvole si tingono di sfumature di tramonto, e io mi ci perdo in quei colori.
Questo cielo è incredibile, ve lo giuro.
Non ho mai perso tanto tempo col naso puntato all'insù, verso l'azzurro che quando è senza nuvole, è veramente di un azzurro esplosivo. Intenso. Vero.

Spesso invece il cielo è trafficato, e lo ingombrano cirri, cumulonembi, altocumuli e chiazze di ogni forma e dimensione. La pioggia la portano raramente, su questa terra arida per lo più.
Ma viaggiano veloci, hanno fretta di occupare tutti i centimetri di immenso, e non sostano molto sopra i tetti delle case, sopra il mare piatto, sopra le dolci colline che qui, molti, chiamano montagne.
Noi che veniamo dal nord, dal "continente", dobbiamo addomesticarci a tanta novità. Non solo atmosferica, chiaramente. Ma intanto, ogni giorno, mi lascio incantare da un'alba che non è mai la stessa, l'alba che mi sorride con sorprese sempre diverse, oltre il vetro grande della cucina.

Adesso i colori si fanno più sgargianti. Il verde brilla, specialmente dopo aver ricevuto tanta acqua da un cielo particolarmente avaro nel regalare pioggia, e il mare diventa blu e poi turchese, per assumere finalmente il mio colore preferito, un argento quasi opaco che la mia iride non conosceva.
Il mare che ha il colore di quando si dorme e si fanno bei sogni.

Intanto, qui fuori, è sceso il buio, ma intravedo ancora i cipressi che danzano. Tra qualche istante il vetro si oscurerà del tutto, e potrò percepirli solo attraverso il loro potente fruscio..

Imparerò a distinguere i venti, a chiamare le nuvole col loro nome e a seguirle nei loro lunghi viaggi, carovane solitarie che hanno fretta di andare.

Io, in tutto questo turbinio di novità, ho solo tanta voglia di restare.


alba dalla finestra, 2

lunedì 20 luglio 2015

Gratitudine

L'ultima volta, mesi fa, ho scritto di dispense e di pienezza.
Faceva piuttosto fresco, se non ricordo male, in quei giorni di marzo.
Adesso invece è caldo che soffoca e fa lamentare e arricchisce troppi servizi di telegiornale.
E non posso più scrivere di dispense perché, ora come ora, ci manca.
Parlo al plurale, parlo per due.
Raddoppio i verbi, le sensazioni, i sogni. Lo scontrino della spesa, le soddisfazioni a fine giornata.
Sembro il prof D'Avenia in "Cose che nessuno sa". Ma è così, è esattamente così la vita di coppia.
E pensare che l'ho solo assaggiata, un appetitoso antipasto.
Mentre a breve mi aspetta il pranzo completo, con tutti i condimenti necessari.
Ma, come dicevo, manca ancora la dispensa.
E le tende.
E il minipimer per frullare il minestrone, anche se oramai, a pezzi, non è poi neanche tanto male.
E manco io, in quella casa. In quella NOSTRA casa.
Io che per ora sto qui a salutare gli amici di una vita o di qualche anno. A godermi la Brianza nei suoi pregi e i suoi difetti, che mi appaiono più smorzati ora che sto per darle un arrivederci.
Mi godo una vacanza diversa, senza il mare ma con tanto affetto.
Dopo i mesi sui libri e al pc, a creare progettazioni (che però prima si chiamavano UDA), a sostenere esami (perché non sono bastati 5 anni di università), a conoscere nuove persone (che mi hanno fatto capire che no, effettivamente non sono bastati quei 5 anni, perché dovevo vivere questi 5 mesi di Bicocca per scoprire colleghi che hanno lasciato un'impronta - forse l'alone di una bottiglia di birra appoggiata sul tavolino -, dentro di me).
Incrociare il mio cammino con professori che ti fanno dire "Ehy, ma questo è veramente il lavoro più bello del mondo, guarda come ti fa diventare!".
Mi sono imbattuta in una differenza etimologica. Gratitudine e Riconoscenza.
"Servigio per servigio è riconoscenza. Sentimento per sentimento è gratitudine."
Io, oggi, dopo quello che ho vissuto, non posso che sentirmi grata.
Se il mio futuro è per due, ora, immersa nel mio presente, senza girare la testa posso ancora scorgere il recente passato e dire grazie.
Ai compagni di un'avventura che si è da poco conclusa, tra brindisi, consulenze telefoniche, rassicurazioni, chiacchiere e promesse di rivederci ancora.
A certi docenti che ci hanno rischiarato la via, con la loro competenza (ma anche conoscenza e abilità...), con il loro sorriso rincuorante.
All'amicissima, quella che scopri e che non vuoi che la distanza ti porti via (ma sai già che non sarà così, come testimoniano le decine di note audio che, quotidianamente, rallegrano whatsapp).
Agli amici che una volta erano "del mio ragazzo", e che ora sono proprio anche miei. E sono grata (a qualcuno, al Caso, alla Vita...) per aver stretto loro la mano, 5 anni fa, e per sapere di poter ocntare su un loro abbraccio in qualunque momento, oggi.
All'amica che mi ha scelta come "maid of honor", e che sa che può sempre contare su di me.
Alla nipotina acquisita più fescia e più strepitosa che si possa desiderare, e che spero si ricordi della zia Giudi anche se c'è un mare di mezzo, come imparerà presto alla scuola che sta per cominciare.
A quegli adolescenti incontrati in un oratorio, più di dieci anni fa, che ancora oggi hanno voglia di mischiare la loro vita con la mia, anche solo per una colazione o una granita dopocena.
Agli amici che partono, tornano ma in ogni caso restano, sempre, nel cuore.
Alla prof che non è mai stata solo una prof, anche ai tempi del Marie Curie, ma ha dentro quel di più che la fa essere proprio speciale.
Alla IV e alla V BTC del mio tirocinio, per avermi accolta e per avermi fatto sentire ancora quasi una di loro, nonostante fossi seduta dall'altra parte della cattedra.
Alla mia tutor, che non si è mai limitata semplicemente a rivestire il suo ruolo.
Ai compagni di tutte le scuole che ho frequentato nella mia vita, quelli che posso chiamare amici nel vero senso del termine, perché la radice di questa parola contiene la stessa del verbo "amare".
Alla mia famiglia, che sono la mia incredibile mater, il mio pater filosofo e la mia nonnina che si è pure aggiudicata il premio come "Grandma of the month". E anche al mio nonnino, a cui va sempre un mio pensiero, per le cose belle che mi accadono e vorrei aver condiviso con lui. Perché era una di quelle persone a cui non potevi augurare che ogni felicità.
Al mio amore, che non ha bisogno di "perché", ma che è la mia costante, anche da lontano.

E grazie a te che hai letto questo post, e che mi auguro sarai arrivato fin qui con un archetto all'insù disegnato sulle labbra.





lunedì 23 marzo 2015

Una dispensa molto piena

Apparecchio sempre la sera prima, per la colazione.
Un'abitudine che ho ereditato dai miei genitori.
Svegliarsi, e trovare la tazza al suo posto, sopra al piattino e accanto al cucchiaio. Davanti, biscotti e brioches. Cereali, a volte. Il bicchiere per il succo che basta togliere dal frigorifero.
Questo implica chiaramente che la tavola venga imbandita con un certo anticipo, e mi ritrovo quindi spesso a concludere la mia giornata con tazze e dolciumi tra le mani, per sistemarli sulle tovagliette di legno blu.
Solo stasera, però, ho sentito un'empatia nuova. Mentre allungavo la mano nel terzo ripiano della dispensa, dritta verso i plum cake ripieni di crema al latte (un tocca sana per il risveglio!), ho lasciato che i miei occhi rotolassero lungo tutta la mensola. Ci ho trovato i Galletti, le fette biscottate, un vasetto di marmellata ancora sigillato e delle patatine.
Ora, ci ho provato tante volte a cominciare la giornata con il salato, ma a meno che non mi fosse imposto causa vacanza estera, non ce l'ho mai fatta a infilare in bocca cibi che non contenessero una sufficiente quantità di zucchero e affini. E quelle "Amica chips" infil(tr)ate in quel tripudio di glucosio stonavano un bel po'.
Ho scosso la testa, preso il sacchetto, e sistemato un ripiano più sotto, dove è giusto che stesse. Assieme a dadi, cracker e gallette di riso.
Ma poi mi sono bloccata, un attimo prima di chiudere l'antina.
Quante volte mi è capitato di sentirmi così, fuori posto come quel sacchetto di patatine?
Non molte, in realtà. Diciamo che tendenzialmente sono una che "dove la metti, sta". Mi sono sempre considerata una molto alla mano, senza troppi problemi se circondata da estranei o in un contesto nuovo. Al che ho scansato quel pensiero dalla testa perché si stava già facendo strada un altro tipo di immagine, o meglio, stavo osservando da un diverso punto di vista quel sacchettino di salato in mezzo ai dolci. Guardando meglio, mi sono resa conto che c'erano altre confezioni fuori posto, alimenti appoggiati velocemente e senza troppa attenzione (mea culpa, lo ammetto) dopo la spesa del lunedì.
Lì sì che mi ci sono ritrovata.
In quella colorata confusione, in quel mix di gusti diversi.
Così è la mia vita di oggi, di qualche mese fa a qualche mese che verrà. Mensole piene, solo un po' disordinate. Confezioni ancora chiuse che offrono tanto, ma quello che contengono è da preparare. Da cucinare. A volte solo da aprire e mangiare. Dipende. E ogni ora della mia giornata è esattamente così.
Le ora a scuola, dove si torna per imparare ancora, poco importa da che parte della cattedra ci si sieda. Un risotto difficile da preparare, ma da sfoggiare come piatto forte nelle migliori cene.
L'ora del treno con il viaggio in compagnia. La dolcezza di una torta fatta in casa.
Le ore di lezione all'università, che inondi il quaderno di appunti che poi "cucinerai" per assaporare meglio, ma anche i momenti in cui l'attenzione crolla e hai solo bisogno di scartare una barretta (la tua "merenda") e darle un morso, per provare quel pizzico di gioia che il cibo ti dà.
Le ore in si viaggia con la mente oltre il mare per essere lì con lui, almeno coi pensieri, le ore "pasta scotta", che si cucinano troppo i sogni e alla fine si deve masticare il doppio per mandarle giù.
Le ore "tisana", in cui tutto svanisce assieme alla voce che scalda il cuore, la lontananza viene lenita da una telefonata lunga, lunghissima, come i sorsi di qualcuno che è lontano ma è proprio quel qualcuno insieme a cui vuoi cucinare il tuo piatto migliore. Una voce, la sua voce, che è come una spezia che dà grinta ai piatti, altrimenti insapori. Un ingrediente che non si può vedere, ma che fa la differenza.
Questa è la mia vita, per un pezzo, quello di oggi.
Ma anche la mia dispensa è così.
E questa sera mi sento molto in empatia, con le sue mensole in allegro disordine.


sabato 10 gennaio 2015

Ingredienti genuini.

Mancano sette minuti e poi il biiip biiip del forno mi riporterà alla realtà.
Approfitto del tempo rimanente per la cottura della torta e mi infilo tra le pagine virtuali di questo blog che ancora non ha ricevuto il "benvenuto" nel 2015.
E la spinta a riaprirlo mi viene proprio dalla torta che sta indurendosi, a 170°, dietro di me.
Penso che ci ho messo poco più di un attimo, a prepararla. Mi è bastato aggiungere tre uova, la giusta dose di burro e via. La busta dell'impasto era bell'e pronta nella sua scatolina marcata Cameo.
Avendola già provata so che alla fine verrà buona, certo, quel "non so che" di vagamente chimico non glielo levi mica, ma fa comunque piacere mangiarla.
E così penso a quante cose, ogni giorno, sono facili come la preparazione di questa torta.
Cose in cui non devi metterti a dosare farina, lievito, zucchero... in cui ti basta allungare la mano verso lo scaffale della corsia "dolci" di un qualunque supermarket e in venti minuti di forno puoi gustarti il tuo dessert.
Vanno di moda, queste cose "facili". Poco tempo, buon risultato. Dai Quattro salti in padella alle amicizie di circostanza. Dalle storie che si reggono sulle due gambe che si chiamano "abitudine" e "stanchezza", alle scelte da prendere, che più semplici sono, meno sbattimenti conseguono.
Facili come i commenti spaventosamente ignoranti sulle stragi di Parigi.
Facili come le notizie comunicate da telegiornali che paiono più strumenti di propaganda anti islamica, notizie farcite con glasse già pronte, servite per quelle bocche ingorde solo di dolci di scarsa qualità, purché servano a riempire la pancia.
Io, tante di queste cose facili, le trovo nauseanti.
E delle volte mi capita di rendermi conto di cedere al pensiero "più facile", "più veloce", di convenzione. Altre volte combatto per rendermi costruttiva, voglio avere il sapore, magari meno zuccherino, di un dolce artigianale, alle cui spalle stanno ore di preparazione, difficoltà a reperire gli ingredienti, passione nell'impasto. Sì, una cosa simile a quello che vuole trasmettere la pubblicità della Mulino Bianco di Banderas. Senza allusioni "alla Crozza", ovviamente.
Comunque, fatto sta che il biiip c'è stato da un pezzo e io ho sforato i miei sette minuti.
La Gamberale, nel suo Per dieci minuti (libro leggero "apri-mente", a mio parere), invita a guardare il mondo da una diversa prospettiva, facendo, per dieci minuti al giorno, qualcosa di diverso, di inconsueto, di "non-da-noi". E banalmente dico che, cavoli, a farlo per davvero, quante cose che ognuno di noi scoprirebbe di più di sé e del mondo.
A me sono bastati meno di dieci minuti per rivedere una persona, oggi.
In quei meno-di-dieci-minuti di chiacchiere veloci, incontrate per caso in una corsia del supermercato (non quella dei dolci, però), abbiamo deciso che ci saremmo riviste, e le due ore a ricostruire i nostri ultimi (quasi)dieci anni di oggi sono volate.
E così penso che questa è stata una cosa semplice, sì, ma una cosa fatta di ingredienti genuini. Perché poteva finire lì, in quei due metri quadri di "ciao, ti trovo bene", tra i surgelati e il latte. Invece abbiamo voluto dedicare del tempo all'altra. E questa è una piccolissima meraviglia del quotidiano, che può essere vista con le lenti miopi del "si vabbè, e allora?" o con un fantastico microscopio, che fa apprezzare ogni singolo dettaglio.
Vado a togliere il Cuorcremoso dalla tortiera, spero si raffreddi per tempo.
Fatevi tutti un regalo, per questo 2015. Provate a stupirvi. Voi stessi, non gli altri. Non siate dei semplici "versa e inforna".
Non pretendete di diventare dolci di alta pasticceria, ma sceglietevi gli ingredienti meno "già pronti per l'uso", dedicatevi del tempo per dosare le giuste quantità di zucchero, farina, e lievito, quelle su misura per voi, non già confezionate da altri.