La Rivista Culturale

venerdì 15 novembre 2013

Tutti dicono " i love (you) "

i love... chocolate.
i love... shopping.
i love... that film!

...oh yes, i also love you.

Insomma, cari i miei inglesi (e francesi, con tutti quegli "j'aime" a sproposito), sembra che, almeno sulla lingua, siamo noi italiani a darvi qualche lezione.
Nell'enorme entropia italica, le cui basi vennero date quel paio di migliaia di anni addietro dai nostri avi romani, ci sono un mucchio di schifezze. Lo sappiamo tutti, ognuno di noi è costantemente amareggiato, deluso, disorientato, e perché no, pure incazzato a causa di disagi di ogni tipo che sembrano trovare l'humus perfetto qui nello Stivale e non altrove... ebbene, concittadini, vi do una buona notizia: abbiamo ancora un patrimonio meraviglioso.
Aspettate, non mi sto riferendo a tutte quelle bellocce pompate da silicone e riflettori tv (anche perché per la maggior parte di loro si tratta di importazione...).
E nemmeno a "pasta&pizza", perché sembra dilagare la fazione "pro sushi" e la pizza si è ridotta alle occasioni in cui la si può sbafare "illimitata e a prezzo stracciato".

Mi riferisco a quello che più di ogni altro ci rende "Italians".

Il genio di Dante (alias "l'incubo di 150 generazioni studentesche" - cit Nonciclopedia), la gobba (volevo dire, la penna) di Leopardi, il celebre "risciacquo dei panni nell'Arno" del buon Manzoni ("Bella lavanderina" ante litteram)... per arrivare ai Faletti megalomani  ("Io uccido", "Io sono Dio"... senza però dimenticare una delle più celebri battute d'esordio del suo Vito Catozzo  "Che se io saprei che mio figlio mi diventerebbe un orecchione, porco il mondo che c'ho sotto i piedi, vivo ce lo faccio mangiare il certificato di nascita.") e alle varie associazioni a delinquere (i lettori) di Volo-Baricco...
Tutti questi signorotti (mi scuso per aver tralasciato le signore e signorine) che hanno avuto la briga e l'ingegno (o la fortuna, vedesi gli ultimi nomi citati...) di finire pubblicati su un libro... cos'hanno in comune tra loro e con voi, miei cari lettori?


Beh, è molto semplice. Sanno distinguere TI AMO da MI PIACE.

Poco fa mi sono imbattuta in un sito di traduzione dal francese e il pulsantino blu che abitualmente è adibito al "like" facebookiano aveva impresso un marchio 100%francese: j'aime.
Ora, tra "amo lo stato del mio amico X che dichiara al mondo di aver cucinato gnocchi al ragù" e il "ti amo" che pronuncio al mio ragazzo dopo che mi ha cucinato lui un piatto di gnocchi al ragù, credo ce ne passi...
E lo stesso vale per quei gasatoni degli anglofoni!

"Have you ever seen the movie Percey Jackson?"
"oh yeeeeeeaahh... I LOVE IT!"
(messo apposta un esempio così strampalato, per rendere maggiormente l'idea che c'è al mondo qualche essere umano in grado di formulare questa proposizione esageratamente entusiastica.)

Insomma, cari italiani e care italiane, di una cosa possiamo e dobbiamo essere fieri: la nostra lingua!

La capacità di discernere le diverse gradazioni di un sentimento(o oggetto) credo sia direttamente proporzionale al grado di conoscenza di un popolo di quel sentimento (o oggetto).
Qualche esempio:
Negli stati del nord ci sono popolazioni che hanno più di venti termini per definire ciò che noi, comunemente, chiamiamo neve.
Al contrario, nella giungla africana, uno dei popoli che lì vi risiede, non ha un termine per esprimere il concetto di verde, perché per loro è un dato di fatto in cui sono costantemente immersi.

Oggi, in un mondo di difficoltà e prevaricazioni, abbiamo ancora qualche libertà: una di queste è usare al meglio la nostra lingua. Valorizziamola, cerchiamo di essere curiosi, non ripetitivi... altrimenti finiremo con l'ennesima sottomissione nei confronti di chi, per altri aspetti, è già un paio di culture più progredito di noi.

(per ciò, non dimenticatevi mai di dire "ti amo" a chi può apprezzarlo...)




lunedì 30 settembre 2013

30/09/1930

Nascevi per primo, in una casolare di Lendinara. Il Veneto te lo sei portato dentro per tutta la vita, stampato nel tuo dna, nella tua voce, nella tua tempra.
Primo di quattro fratelli.
Contadino, operaio, muratore.
Figlio, marito, padre.
Nonno.
I tuoi pomeriggi di infanzia a petto nudo sotto il sole, a correre col cavallo "del padrone", perché tu eri figlio di poveri. Ecco perché tutti ti chiamavano "il Moro".
Carnagione scura e sorriso in volto.
Decine di lavori diversi, alcuni improvvisati, altri di necessità.
"Ah si, tuo nonno veniva qui a scavare le fosse, nessuno lavorava bene come il Moro... entrava la mattina con la pala in mano e nel giro di qualche ora aveva scavato tutto!"
Anni di infaticabile lavoro nel cimitero in cui poi non hai voluto finire.
Tenace, fino all'ultimo secondo.
Distribuivi il giornale del partito, il tuo sempre amato partito comunista.
Così hai conosciuto la  Diva, la moglie che con te ha condiviso un enorme pezzo di vita.
Nelle foto di gioventù, quelle in bianco e nero, siete più belli di due attori.
Te lo dicevo spesso, quando mi capitavano tra le mani, "va che figo il mio nonnino". Tu ridevi.
La tua risata. Ci inondava orecchie e cuore.
E poi il vino, altro tuo immancabile compagno di vita.
I racconti delle tue "gaine" memorabili, che anche se la vita era difficile, trovavi sempre un modo per far festa.
Il tuo passo veloce, le soste fisse del dopo lavoro. Il Tallarini, bar di ritrovo e di lettura del "Corriere".
A volte ci scappava anche qualche partita a carte coi tuoi amici.
I tuoi amici che da qualche mese a questa parte ti cercano, al cimitero, e non ti trovano.

Lidi Ferraresi in tenda, poi quasi trent'anni di Bibione.
La roulotte più piccola di tutto il Villaggio. Passeggiavi sulla spiaggia, due chiacchiere coi tuoi amici svizzeri e, ovunque andassi, lasciavi il segno. Con un gesto gentile, un aiuto prestato senza voler niente in cambio.
Mani dietro la schiena e una fischiatina.
Ecco come hai affrontato la vita quando hai potuto riposarti, quando hai iniziato a goderti la pensione.
Ma nemmeno allora hai smesso di costruire.
Case per i figli. Bene per chi ti stava accanto.
Ricordi della mia infanzia che hai impresso sulla tua cinepresa di cui andavi tanto fiero.
Crescere con te.

E prima ancora i viaggi là dove trionfava il colore rosso. Russia, Cuba.
Ti accontentavi anche di Bersani, però.
La vecchiaia non ti ha tolto né forze né entusiasmo. Pietra Ligure era il rifugio per gli ultimi inverni, col suo l'appartamentino vicino al mare.
Venivamo a trovare te e la nonna e ci accoglievate con un entusiasmo difficilmente riscontrabile, nella quotidianità.

Ricordo che, certe sere, cucinavi le aringhe e il pesce fritto. Io scendevo la scala silenziosa e ti trovavo in cantina, fischiettavi.Non appena comparivo accanto a te mi chiamavi "Giulietta!"
Giulietta da bambina, Giulietta fino a 23 anni.
Impressa nel timbro della tua voce sicura che amavo.
Poi, un giorno d'estate, il "Corriere" non sei più riuscito a leggerlo al bar.

Ossigeno.
La parola più frequente e odiata degli ultimi mesi.
Bombola di ossigeno. Ossigeno che manca.
E, nonostante tutto, eri a non smettere mai di dare a noi la forza per affrontare la tua malattia.
Con la scusa di aiutarti, ti prendevo a braccetto.
In realtà, me ne accorgo solo ora, lo facevo per poterti stare più vicina, per riuscire a "prendere" da te qualche altro brandello di entusiasmo.

Radioterapia.
Chemioterapia.

Una mattina, mentre aspettavamo che ti chiamassero per la cura, ho scambiato due parole con un'altra donna, un'anziana che come te vestiva la stoffa della combattente. Mi diceva che le piaceva arrivare fino all'ospedale in macchina, nelle mattine di cielo terso. "Sai quel vialone lungo, in mezzo ai campi...ecco, quando c'è sereno si vedono in lontananza le nostre montagne...Grigna, Resegone... mi dà molta gioia poter ammirare tutto questo, prima di arrivare qui."

Metastasi.
Anni dacché avevi smessi di fumare. Ma non importa, non importa più adesso.
Adesso che lotti contro un male che non sembri voler nemmeno accettare, dentro di te. Fai di tutto per scacciarlo dai tuoi polmoni, e lui invece si insinua nel cervello, nelle ossa.

Pomeriggi insieme. Dai nonno, raccontami la tua storia che poi ci scrivo un libro.
La tua risata. Sempre, la tua risata.
Fino alla stanza dell'hospice. Nemmeno lì riuscivi ad accettare quel deperimento. Quegli zigomi troppo in fuori. Ma tu scherzavi, guardavi il tg, festeggiavi insieme al tuo Pierluigi la vittoria - passeggera, ma al momento giusto - del partito per cui hai sempre tifato.

Lunedì.
"Vuoi un gelato, nonno?"
Era un lunedì di marzo, cornetto algida per me e coppetta all'amarena per te.
Nonno e nipote come fossimo tornati indietro nel tempo. Come non avessimo pensieri. E forse tu non ne avevi più davvero.

Le gambe fragili, ossa come di vetro.
Fatica lo sguardo a sostare su di te.
Un misto di rabbia e disperazione ci assale, tutti.
Tu continui la tua lotta silenziosa e sorridente.

Martedì
Il silenzio della morfina.
Impotenza.

Ti accorgi della mia presenza. Ti tengo la mano, ora così sottile, quasi come la mia.
Mi mordo il labbro e ti accarezzo la fronte.
Poi parli. Pronunci tre parole, quasi le ultime. Parole attaccate al poco ossigeno che riesce a entrare in quella bocca spalancata, che ha fame d'aria e di vita.
"Ti voglio bene".
Gli occhi che tornano, per quell'attimo, a brillare.
I miei si inzuppano.

Mercoledì.
"Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov'è? Ma che morte? Non c'era più paura perché non c'era più morte.
Invece della morte, la luce.
– Dunque è così! – disse d'un tratto ad alta voce. – Che gioia!
Tutto questo non fu che un attimo per lui, ma il senso di quell'attimo ormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia durò ancora due ore. Qualcosa gorgogliava nel suo petto; il suo corpo macerato si scuoteva. Poi il gorgòglio e il rantolo si fecero sempre più rari.
– È finito! – disse qualcuno.
Egli udì questa parola e se la ripeté nell'anima. «Finita la morte, – si disse. – Non c'è più, la morte».
Trasse il fiato, si fermò a mezzo, s'irrigidì e morì." - (La morte di Ivan Il'ic, Tolstoj)


Troppi, i fiori sulla bara, non saresti stato d'accordo.
Ne meritavi ancora di più, invece.
Il prete ti ha ricordato per quello che eri. Una persona gioiosa.
Un uomo che non ha mai avuto il pudore di salutare.
"Fatevi una mangiata in mio ricordo, poi..."
E così è, adorato nonno. Cercando la forza di sorridere nel ricordarti, al ritorno dal crematorio di Sondrio, in un ristorante vuoto.

Io invece piango ancora adesso, piango per la malinconia di non averti qui.
Piango al matrimonio se la nipote in abito bianco balla abbracciata a suo nonno.
Ballerei persino bandiera rossa se solo potessi riaverti qui.
Mi consolo nel sognarti, qualche volta.

L'urna di legno ha compiuto sei mesi.
Oggi avresti festeggiato gli 83 anni.




"Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. 
E qualcuno- un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume-  immaginarlo inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio." (Baricco, Oceano Mare)



domenica 1 settembre 2013

Petali rossi per semafori verdi

Il senso di colpa.
La frustrazione per una condizione tanto simile allo schiavismo.
La pietà.
Alla fine, però, a prevalere è l'indifferenza.
Quante volte vorrei tirare giù il finestrino e dargli un euro.
Ma poi, si finisce subito a pensare "beh, ma mica gli cambio la vita, con 1 euro..." e quindi, come sempre, viene ignorato.
Parlo di quel ragazzo dalle fattezze indiane che aspetta, ogni sera, che il semaforo diventi rosso.
Tra quanti solcano la strada ogni giorno, questi poveri venditori di rose sono gli unici ad aspettare che si formino le code.
Le macchine in sosta sono le loro "prede", o meglio dire, la loro "Paga quotidiana".
Non so come funziona il mercato dei venditori di rose ai bordi delle strade.
So che è una delle troppe realtà tristi da cui siamo circondati e, nonostante questo, non avvertiamo quasi  la presenza.
Fuori dal centro commerciale trovi l'africano che ti tende il cappellino salutandoti.
In centro a Milano ti inseguono per rifilarti un libro di storie per bambini, un braccialetto di corda color arcobaleno, un accendino che nemmeno ti serve.
Il marocchino che citofona a casa ogni domenica, e sa che gli arriverà qualcosa, che sia un paio di scarpe usate o qualche moneta.
Ai semafori, invece, i fiori.
Le mimose per l'8 marzo e le rose per tutto l'anno.
Il dispiacere e l'imbarazzo per una situazione che non dovrebbe essere permessa, ai giorni nostri e in un Paese come il nostro.
Ma quanto può durare una riflessione del genere? Quanto realmente poco tempo spendiamo a pensare a come poter migliorare il mondo? Il tempo di un semaforo rosso.
Poi scatta il verde, l'omino delle rose ci saluta, e ci sentiamo subito più sollevati.



martedì 23 luglio 2013

Wall&Life. It means love, you know?

Citazione di Radiofreccia, film cult della mia adolescenza.
Nei film non ci sono tempi morti.
Balle. Ce ne sono, eccome.
Quei film che cominciano prospettandoti una trama interessante, avvincente... invece, col passare dei minuti, si rivelano dei mattoni inguardabili per la lentezza con cui procede la storia.
Nella vita, piuttosto, i tempi morti non esistono.
Ogni istante che accade è conseguenza e premessa di scelte, opzioni, destini che si avvereranno o hanno già preso vita. Ma non muoiono.
Anche nel momento più rallentato che una persona possa affrontare nel corso della sua giornata, anche durante l'attesa che precede il sonno... è tutto un fluire di pensieri, paure, sensazioni.
Che magari evaporano appena si depositano sul sottile strato della nostra percezione, o magari si radicano per concretarsi in azioni.
Il carattere viene costantemente plasmato, come un muro di una casa che se ne sta lì, negli anni, a reggere l'edificio in cui è posto. Qualcuno lo ha costruito, quel muro, qualcuno lo ha posto in quel punto esatto.
Poi, sono arrivati altri muri, e quell'insieme di pareti arriva a formare una casa.
Famiglia.
Ma quel preciso muro ha una storia sua, un colore suo.
Ci pittureranno sopra altre mani, si formeranno crepe, magari qualche insetto deciderà di farci un nido.
Capiterà che un terremoto lo scalfisca.
E allora? Allora il muro continua a stare lì, ad accumulare il tempo. A rinforzarsi ad ogni scossa, se è un muro che ha voglia di stare in piedi e soprattutto, se ha capito che le pareti che gli stanno accanto vogliono vederlo eretto e cercano di assorbire quel po' di scosse che il terremoto ha provocato, per privare l'altro muro del dolore. Perché senza quel muro vengono meno di molto più di una mano di pittura. Senza quel muro accanto, senza quel prolungamento di vita, si sentono povere.
Uno non sceglie di essere muro, ma decidere come reagire alle scosse che ne minano le fondamenta.
E, per quanto un secondo o dieci anni possano essere vissuti come "tempo morto", in realtà, sono depositi di vita. Bisogna solo scegliere come riempirla, perché vuota non può esistere. Mai.

venerdì 24 maggio 2013

Soci@l Singles

il romanzo è uno solo, si intitola Soci@l Singles, ma le penne sono sei.
L'amore ai tempi dei social network è una realtà ancora nuova, da esplorare.
Le parole delle storie narrate proveranno a dar voce a situazioni in cui molti di noi (chi si considera immune dai tentacoli nascosti tra mail, Facebook e communities di ogni tipo?!) si riconosceranno...

per maggiori informazioni: http://www.collettivoidra.com/



COLLETTIVO IDRA

SOCI@L SINGLES

Romanzo

Soci@l Singles è il titolo che racchiude tre “atti unici”, tre storie di una stessa cornice, destinate a prendere pieghe diverse e inaspettate.
Carlo, Sabrina, Mauro, Caterina, Piero e Jennifer sono sei personaggi che parlano la stessa lingua: sei “social singles”. In apparenza così distanti, intenti a rincorrere la propria vita, eppure virtualmente vicini… minimo comun denominatore: il mondo dei social network, il deus ex machina che farà scattare la scintilla.
Più che di empatia, nel loro caso si tratta di singletudine. Malattia, questa, difficile da curare anche per il geniale Mark Zuckerberg & soci.
Quando i protagonisti si siedono davanti alla tastiera dei loro pc, o prendono in mano uno smartphone e mandano una e-mail, un tweet, postano uno stato su Facebook o si scambiano recensioni letterarie su aNobii, è come se un avatar prendesse il loro posto.
In questo flusso digitale a banda larga, talvolta capita anche d'innamorarsi e infatti nessuno di loro sfugge a questa regola. Ma sarà vero amore?  

  
   SINOSSI
Piero, attivista pro-Palestina e Jennifer, studentessa al quinto anno di liceo, sono due giovani che s’incontrano, si conoscono, si piacciono… attraverso Facebook.
Carlo invece, fotografo alle prese con servizi matrimoniali e sexy calendari, riceve una
e-mail non desiderata dalla sconosciuta Sabrina, aspirante scrittrice, e tra i due, come in una favola moderna, scatta la scintilla.
Mauro e Caterina, pubblicitario lui e commessa nel negozio di famiglia lei, hanno in comune la passione per i libri che condividono su aNobii e, recensione dopo recensione, finiscono per aprirsi l’uno all’altra.
Per le tre coppie “virtuali” è l’inizio di un periodo idilliaco, finché…

  


   AUTORI:

Marco Apolloni nel ruolo di Piero.
Tennista-filosofo o filosofo-tennista, fate voi. Ha partecipato ai romanzi cooperativi Lavoricidi e Lavoricidi italiani, e con il suo nome sono usciti due saggi:CineFilosofando e La religione in Jean Jacques Rousseau. Si occupa di cinema e cultura per le riviste L'Aperitivo Illustrato e Impegno Sociale. È autore de Il circolo dei nichilisti, romanzo meno nichilistico di quanto farebbe pensare il titolo. Dicono di lui... che è l'anti Moccia. In realtà però è pro se stesso.

Silvia Del Beccaro nel ruolo di Jennifer
Giornalista pubblicista, capo-redattrice di Impegno Sociale e L'Empireo. Nata sotto il segno – ma non nell’Era – dell’Acquario. Dicono di lei... creativa e originale nella vita, agguerrita ed energica sul ring. Si è aggiudicata il Premio Internazionale di Poesia e Letteratura Nuove Lettere 2010 con il saggio Metamorfosi del combattimento. È co-autrice del romanzo collettivo Lavoricidi. Da grande sarà una sceneggiatrice! Almeno spera.

Jonathan Arpetti nel ruolo di Carlo
La sua passione bianconera gli è valsa la vittoria nel concorso letterario per autori esordienti al salone del libro di Torino 2010, organizzato da Radio 24, con il libro I Love Ju. (Romanzo d’amore sulla Juventus). In realtà aveva già esordito con Fino alla fine del mondo, romanzo da cui è stata tratta la rappresentazione teatrale Rifrazioni. È anche autore e promotore dei romanzi collettivi Affetti collaterali, Lavoricidi e Lavoricidi italiani. Il suo sogno è scrivere per il cinema.

Francesca Riccioni nel ruolo di Sabrina
Tendenzialmente nomade e appassionata di fotografia, moda e social network. Ingenuamente convinta che con passione, volontà e impegno si possa conquistare tutto (o quasi). Adora mettersi in gioco e stravolgere (troppo) spesso la propria vita. È co-autrice dei romanzi collettivi Affetti collaterali, Lavoricidi e Lavoricidi italiani.

Paolo Musano nel ruolo di Mauro
Psicologo dall'animo poetico. Si definisce da sempre un umanista tecnomane. È convinto che i social network, usati in maniera intelligente, possano generare serendipity, cioè conoscenze e scoperte inaspettate. Nel 2006 è uno dei vincitori del concorso Cinquecento e Lode. Collabora con la rivista di letteratura La Resistenza della Poesia.

Christina B. Assouad nel ruolo di Caterina
Christina B. Assouad nasce a Denver (U.S.A.) in un mese di giugno. Traduttrice e appassionata delle parole scritte, lette e pronunciate. Ama il cioccolato solo se la sua purezza supera il 70%.
Con il suo primo romanzo Biscotti ai mirtilli ha fatto parlare di sé. Si diletta a riempire pagine bianche con parole più o meno colorate. È una delle penne di Lavoricidi e Lavoricidi italiani.

lunedì 29 aprile 2013

i sommersi e i salvati

Un titolo presuntuoso per questo  post, lo so.
Non parlerò né di campi di concentramento né di esperienze al limite, ma di semplice vita vissuta.
Avverto subito che sarà un post un po'... egoista.

"Contare per qualcuno", lo ammetto, non è una grande espressione. Eppure non riesco a trovare una formula linguistica più pertinente, se penso a chi mi sta più o meno vicino.
Con qualcuno (vedi alla voce "mamma") c'è una sorta di simbiosi, ma quella è frutto di una più che ventennale esperienza di vita condivisa, fin da piccola. La famiglia, quell'insieme di radici attorcigliate che stanno alla base del mio albero in crescita. Radici che sbucano dal terreno per far parte della mia vita attuale, che servono a farmi camminare con gli occhi ben aperti e a rendersi punto di riferimento.
Poi, le "acquisizioni". E qui parte l'elenco di sommersi e salvati.
Salvo l'amore, quello coltivato, orto rustico che mi darà di che nutrire l'anima e il corpo, per tutta l'esistenza che mi sarà concessa, spero.
Salvo gli amici che non passano, nonostante lo facciano gli anni.
Salvo qualche voce isolata che ritorna a parlare con me, anche se da molto tempo sembrava aver intrapreso un cammino differente.
Salvo chi si prende cura, chi non manca di rendermi partecipe della sua vita.
Salvo chi mi chiede un consiglio o lo spazio di uno sfogo.
Salvo chi mi invita a vederci per un caffè.
Salvo i mittenti di mail piene di affetto sincero.
Salvo chi mi invita per un teatro in settimana.
Salvo l'amica - quasi decennale - che vedo per una colazione e finiamo per trascorrere l'intera mattina insieme.
Salvo chi crede in me.

Non mi metterò a trascrivere l'elenco opposto, non punto il dito contro nessuno.
A favore, però sì.
Perché chi riempie i miei 23 anni con la sua presenza si merita un grazie, e chi è parte di quella lista di "salvati" lo sa.
Chi non c'è, in fondo, non credo se ne farà un cruccio.


venerdì 19 aprile 2013

soltanto parole.


Parole desiderio,
che ci vuol coraggio solo a pensarle.
Parole da scomporre,
da analizzare per un esame in università.
Parole che creano,
demiurghe di storie per altri. A volte invece, solo per me.
Parole cemento,
che si depositano sul cuore e ci costruiscono una casa per essere custodite in eterno.
Parole omeopatiche,
per lenire senza invadere.
Parole scarabeo,
da creare sul tabellone e vincere la partita.
Parole sgambetto,
che ti atterrano mentre cammini dritta per la tua strada, gli occhi li hai lasciati al cielo.
Parole amiche,
quelle sempre nuove, nonostante gli anni.
Parole musicali,
che tra le note nascondono un'anima.
Parole dell'amore,
le più belle di tutte,
Parole per me,
da te.


mercoledì 3 aprile 2013

smiling heritage.

Col rumore della carta plastificata di un uovo che si apre, alla ricerca della sorpresa.
Così inizia questo mese di primavera, con del cioccolato che si scioglie in bocca e i ricordi che fanno sciogliere gli occhi.
Lacrime per una vita che non c'è più.
Una preghiera che rimane in gola, o che resta appesa al crocifisso, durante l'omelia.
Poi la pioggia, che lava via il vuoto, per quel giorno di pienezza. Di abbracci, di occhi tristi e dispiaciuti.

Aprile che sboccia con una bella sorpresa, il mio libro pubblicato.
Il bene di chi mi è vicino anche a kilometri e mesi di distanza.
L'amore sempre addosso, sempre dentro di me, carburante dei miei giorni.
I progetti che perdono la forma dei sogni e assumono la consistenza della realtà.
Ma anche il ricordo onnipresente della risata di quel nonno che non ha mollato il suo dialetto veneto nemmeno per un secondo, fino alla fine.
La voglia di andare avanti sfoggiando sempre quel sorriso che ci ha lasciato come eredità.

Benvenuta primavera.
Arrivederci nonno.




sabato 16 marzo 2013

Questo Amore.

Un titolo semplice, che rimanda al  poeta d'amore per antonomasia, Jacques Prévert.
A dei versi incisi nella carne di chiunque provi quell'esatto sentimento. Gli altri, non lo possono capire.
Perché Jacques non si riferisce agli amori in generale, lui ne ha in mente uno, preciso, delineato.
Gli amori, tutti gli altri, sembrano assomigliarsi.
Sono banalmente tenuti in vita dai gesti riciclati della normalità un tempo accesa dalla fiamma. Da frasi buttate a caso, sulla bocca dell'altro.
Amori amari, avari, aridi.
Fiammelle nella notte, producono una buona luce ma un calore senza forze. Che si spegne, chissà quando. Ma si spegne.
Amori che fanno paura, totalizzanti, amori-dipendenza. Amori eroina, che l'attimo prima voli oltre il cielo, per schiantarti al di sotto della terra quando l'effetto finisce. Che finisce, chissà quando.
Ma finisce.
Amori quotidiani, lisci, senza increspature né scosse.
Amori carta dei giornali, buoni per un giorno, ma già vecchi quello dopo.
Amori proibiti, fugaci, platonici, volgari, banali, insani.
E poi c'è lui.
Questo Amore.
Bello come il giorno e cattivo come il tempo
quando il tempo è cattivo.
Rassicurante come un cuscino dopo una giornata stanca.
Complice come fosse il frutto di un'esperienza eterna.
Che non si spegne, né finisce.
Perché alimentato dalle parole, innaffiato dai baci, preservato con ogni cura.
Come un fiore, come quel fiore.
Questo amore tutto intero
ancora così vivo
e tutto soleggiato
è tuo
è mio 
è stato quel che è stato
questa cosa sempre nuova
e che non è mai cambiata.

(gerbera arancione : allegria, soddisfazione.)

sabato 2 marzo 2013

come quei piccioni in fila...

Disposti ordinatamente, qualche battito d'ali appena, appesi come mollette al contrario per panni invisibili stesi al sole.
Piccioni o un'altra razza di uccelli, chi lo sa.
Da dove sono io, dalla strada che calpesto, non li riconosco.
Meritano una foto, per la loro tranquilla stasi.
Chissà come sarebbe se spiccassero il volo tutti insieme, all'unisono.
A mezz'aria, come certe persone indecise, come chi il volo non lo sa spiccare perché gli manca il paio d'ali, e se anche ce lo avesse, non saprebbe che farsene.
In fondo, basta poco. Due pali, qualche riga di fili della corrente, e quegli animali ne sono attirati. Breve sosta prima dell'ennesima planata.
Una battuta di una commedia italiana si domandava:
"Ma, secondo te, gli uccelli sanno che noi non sappiamo volare o pensano che non ne abbiamo voglia?"


Io non mi sento un paio d'ali nascoste tra le spalle. Se ho qualche aspirazione la inseguo camminando, non correndo a capofitto verso di lei. Così non inciampo mentre seguo la strada, mi lascio distrarre dal paesaggio che incontro durante il percorso magari, e chi può dirlo, può darsi modifichi la rotta scegliendo un sentiero diverso. Ma sono sicura che il futuro non sta nel cielo, e quegli uccelli disposti in silenzio, composti, lo sanno.
Loro lo attraversano volando, io, come tutti gli umani bipedi, lo percorro attraverso le tappe e i saliscendi della vita.
Solo che, nel frattempo, loro stanno lì, a godersi il panorama.
In fila.

domenica 3 febbraio 2013

"e io vivo proprio nel mezzo...nella terra degli uomini."


Un post dedicato a uno di quei momenti che accadono, nella loro perfezione assurda.
In una pausa della vita in cui tutto va, seguendo la sua illogica strada, come sempre, senza farci troppo caso.
Io che guido con la comodità del cambio automatico, mani al volante, occhi parcheggiati sul rosso del semaforo.
Mentre d'un tratto, a squarciare i pensieri che hanno il sapore delle nuvole grigie, un lampo di musica mi illumina. Un sottofondo di chitarra accompagna una voce rassicurante, che mi attraversa senza fretta, facendosi assaporare.
Sorridere a quelle parole, di un sorriso che sfuma in opaca malinconia, per quello che fa riemergere, quello in cui sei già immersa da qualche tempo. Nella vita che invecchia e tra poco muore, un "poco" che non decide nessuno, e allora si cerca di rendere quell'indefinita brevità il più leggera possibile, per quel "forzuto che si accascia"...
Ma poi è vero che "c'è sempre un gran sole a sorprenderci", a dar luce, spaccando quelle nuvole grige...
Così continuo a guidare, dopo che è scattato il verde, lasciandomi invadere dalle strofe che mi pervadono con l'intensità che solo la musica e poco altro riesce a fare. Spengo la macchina mentre la canzone sfuma, mi segno il titolo e la mia giornata continua, con le preoccupazioni piccole e quelle che hanno il diritto di non esserlo...
Mentre il giorno dopo, con il cielo che si spegne là fuori e il freddo che mi intasa le ossa, provo a scaldarmi con la stessa canzone, per cercare lo stesso benessere assaggiato solo ieri, perché un piccolo inciampo mi ha fatta vacillare e forse è stata la mia ombra a farmi uno sgambetto, lungo una strada che non sembra avere buche...

E si forma la lacrima....Dove suona la musica....E il futuro si srotola...e l'amore si fa....

La prendo come bussola, per amplificare la forza che il freddo nelle ossa sta spegnendo, in questo giorno in cui mi sento persa dentro di me, come un'ombra che la leggerezza di un palloncino si sta portando via, lontano dalla terra degli uomini.

domenica 20 gennaio 2013

Iridescenza

Com'è?
Com'è quella sensazione di elettricità benefica, che va ad accendere ogni luce nel proprio corpo?
Nessun corto circuito, perché le lampadine che brillano dentro resistono il tempo esatto per gustare quell'emozione, senza che bruci.

Felicità? Banale. Ma dicono si chiami così.
Scorci, squarci, scatti.
Di vita, di ricordi, di momenti.

Come la sera fatta di parole, di silenzi calibrati, di mani che si intrecciano con la tenerezza mai accantonata.
Come le poltrone di un cinema, a ospitare gli spettatori di storie create per divertire, inorridire, entusiasmare.
Come il sorriso che si schiude ma che poi non si chiude.
Come le confidenze, un po' per gli amici, un po' per l'Amore.
E i messaggi scritti che sono massaggi per il cuore.
Come l'infinito in una mamma, come l'instancabile costanza di un papà.
E la risata sciogli-neve di un nonno buono.

Brillano gli occhi perché dentro la luce è accesa.

E sono tutti quei "come" elencati a far risplendere di meravigliosa iridescenza.



mercoledì 2 gennaio 2013

Rough Heart. [Cuore ruvido]

La mano si allungava verso di lui, ma si ritraeva, delusa, non appena ne sfiorava la superficie.
Quel cuore era ruvido.
I pugni chiusi accarezzati in precedenza si lasciavano addomesticare dalle sue mani premurose, ma quel cuore no.
Pulsavano col battito accelerato, al minimo tocco delle dita di lei, dita delicate e lunghe, da pianista.
Anche se lei, nella vita, la musica la sentiva, non la suonava.
E intendo proprio dire che la sentiva, non che la ascoltava.
Poi, nei momenti in cui non c'era una musica, accarezzava cuori.
Ne aveva conosciuti di ogni tipo.
Timidi, che non si mostravano mai del tutto per imbarazzo o pudicizia.
Ma, con la pazienza e la tenacia, lei li incantava, li scioglieva, li liberava dal loro imbarazzo.
Altri invece, cuori presuntuosi e sicuri di sé. Battevano impavidi, al ritmo frenetico di chi crede troppo in se stesso, di chi si basta.
Fino all'attimo prima dell'incontro con le dita di lei, per lo meno.
L'attimo dopo, deceleravano, seguivano il tempo dettato dalle carezze dolci di una mano gentile.
Solo un cuore, precedentemente, aveva fatto titubare le dita di quella mano nata per diffondere amore.
Era un organo che apparteneva già a qualche altra mano, altre dita premurose lo proteggevano.
Era un cuore già al sicuro, che avrebbe anche potuto essere forzato e intrappolato tra il pollice e il mignolo di lei. Ma quelle dita volevano regalare libertà e felicità, non sofferenza.

Infine, si era incagliata in quell'interrogativo chiuso nella cavità toracica più protetta che lei avesse mai visto.
I primi approcci non l'avevano scoraggiata, anzi, le avevano infuso un desiderio maggiore di avvicinarsi al nocciolo delle emozioni, anche se il possessore di quel cuore non sembrava provarne.

Un giorno, finalmente, si era decisa.
La mano si era allungata alla sua massima estensione, sfidando la paura di un contatto ignoto.
I polpastrelli avevano provato un brivido, però.
Il cuore aveva cessato per un attimo il suo battito regolare, trattenuto il respiro, diventato scorza.
Quella superficie era ruvida.
Le dita si erano bloccate, spiazzate di fronte a quella sorta di crosta.
La Macchia Rossa non voleva dita addosso, non voleva dita dolci come quelle.
Rough heart, cuore ruvido.
In realtà, in profondità, quel cuore aveva solo un gran bisogno di essere abbracciato.
Lo aveva iscritto dentro di sé e lei non se ne sarebbe andata mai, fino a che con entrambe le mani, non lo avessero avvolto, riempiendolo d'amore.
rough.
roUGH.
HUG.