La Rivista Culturale

lunedì 23 marzo 2015

Una dispensa molto piena

Apparecchio sempre la sera prima, per la colazione.
Un'abitudine che ho ereditato dai miei genitori.
Svegliarsi, e trovare la tazza al suo posto, sopra al piattino e accanto al cucchiaio. Davanti, biscotti e brioches. Cereali, a volte. Il bicchiere per il succo che basta togliere dal frigorifero.
Questo implica chiaramente che la tavola venga imbandita con un certo anticipo, e mi ritrovo quindi spesso a concludere la mia giornata con tazze e dolciumi tra le mani, per sistemarli sulle tovagliette di legno blu.
Solo stasera, però, ho sentito un'empatia nuova. Mentre allungavo la mano nel terzo ripiano della dispensa, dritta verso i plum cake ripieni di crema al latte (un tocca sana per il risveglio!), ho lasciato che i miei occhi rotolassero lungo tutta la mensola. Ci ho trovato i Galletti, le fette biscottate, un vasetto di marmellata ancora sigillato e delle patatine.
Ora, ci ho provato tante volte a cominciare la giornata con il salato, ma a meno che non mi fosse imposto causa vacanza estera, non ce l'ho mai fatta a infilare in bocca cibi che non contenessero una sufficiente quantità di zucchero e affini. E quelle "Amica chips" infil(tr)ate in quel tripudio di glucosio stonavano un bel po'.
Ho scosso la testa, preso il sacchetto, e sistemato un ripiano più sotto, dove è giusto che stesse. Assieme a dadi, cracker e gallette di riso.
Ma poi mi sono bloccata, un attimo prima di chiudere l'antina.
Quante volte mi è capitato di sentirmi così, fuori posto come quel sacchetto di patatine?
Non molte, in realtà. Diciamo che tendenzialmente sono una che "dove la metti, sta". Mi sono sempre considerata una molto alla mano, senza troppi problemi se circondata da estranei o in un contesto nuovo. Al che ho scansato quel pensiero dalla testa perché si stava già facendo strada un altro tipo di immagine, o meglio, stavo osservando da un diverso punto di vista quel sacchettino di salato in mezzo ai dolci. Guardando meglio, mi sono resa conto che c'erano altre confezioni fuori posto, alimenti appoggiati velocemente e senza troppa attenzione (mea culpa, lo ammetto) dopo la spesa del lunedì.
Lì sì che mi ci sono ritrovata.
In quella colorata confusione, in quel mix di gusti diversi.
Così è la mia vita di oggi, di qualche mese fa a qualche mese che verrà. Mensole piene, solo un po' disordinate. Confezioni ancora chiuse che offrono tanto, ma quello che contengono è da preparare. Da cucinare. A volte solo da aprire e mangiare. Dipende. E ogni ora della mia giornata è esattamente così.
Le ora a scuola, dove si torna per imparare ancora, poco importa da che parte della cattedra ci si sieda. Un risotto difficile da preparare, ma da sfoggiare come piatto forte nelle migliori cene.
L'ora del treno con il viaggio in compagnia. La dolcezza di una torta fatta in casa.
Le ore di lezione all'università, che inondi il quaderno di appunti che poi "cucinerai" per assaporare meglio, ma anche i momenti in cui l'attenzione crolla e hai solo bisogno di scartare una barretta (la tua "merenda") e darle un morso, per provare quel pizzico di gioia che il cibo ti dà.
Le ore in si viaggia con la mente oltre il mare per essere lì con lui, almeno coi pensieri, le ore "pasta scotta", che si cucinano troppo i sogni e alla fine si deve masticare il doppio per mandarle giù.
Le ore "tisana", in cui tutto svanisce assieme alla voce che scalda il cuore, la lontananza viene lenita da una telefonata lunga, lunghissima, come i sorsi di qualcuno che è lontano ma è proprio quel qualcuno insieme a cui vuoi cucinare il tuo piatto migliore. Una voce, la sua voce, che è come una spezia che dà grinta ai piatti, altrimenti insapori. Un ingrediente che non si può vedere, ma che fa la differenza.
Questa è la mia vita, per un pezzo, quello di oggi.
Ma anche la mia dispensa è così.
E questa sera mi sento molto in empatia, con le sue mensole in allegro disordine.