La Rivista Culturale

domenica 3 aprile 2022

La semantica di un genitore


 La semantica di un genitore.

Quante volte te lo chiedono, in modo puramente bonario, ma quante volte. E io noto e sono in difficoltà con la risposta, perché non riesco a cristallizzare in un sì o in un no. Perché non è la domanda giusta.

Quanti "è bravo?" domandano le persone, quando hai un figlio. In quel punto di domanda racchiudono "dorme? Mangia? Ti stressa?" Come se un neonato sia in grado consapevolmente di assecondare le varie "richieste" della sua mamma. Come se potesse decidere di essere in un modo o in un altro, quando si tratta di una Vita in divenire, che ha così tanto da apprendere e da donare, in ogni sfumatura del suo comportamento.

 Certo che tutti desidererebbero un cucciolo che si fa le sue ore notturne, che mangia con piacere e che vive le sue giornate rilassato. Queste caratteristiche le ha, Zeno, e mi sento fortunata, eccome se mi sento fortunata! Ma non ce la faccio a dire "è bravo". Perché il suo contrario sarebbe un aggettivo che non si può attribuire a nessun bambino.

 Sicuramente l'essere insegnante mi condiziona: non ci sono studenti 'bravi' o 'da 10'. Ci sono studenti che si impegnano, diligenti, scrupolosi. Ma banalizzare la gamma infinita di possibilità di una persona in 'bravo'... No, proprio no. Nemmeno, anzi, soprattutto se si tratta di una persona in miniatura. Sicuramente sembreranno parole esagerate le mie, ma troppe volte sento ripetere questo aggettivo... E la nostra cultura lo ha caricato, anzi, svuotato di senso. 

A volte mi trattengo, perché viene spontaneo anche a me elogiarlo quando fa qualcosa bene. Allora cerco di correggere il tiro e dirgli "molto bene!" "Giusto!". E non è affatto facile, lo ammetto. L'etichetta di "bravo" sarà qualcosa con cui ognuno sembra dover convivere già per tutta l'esistenza. Ma ci può stare solo se si intende "bravo a...". Fare qualcosa, nel suo lavoro.

Devo proprio definire mio figlio? Un patatone. Un bambino che sembra amare le risate (ma che, in quanto bambino, esprime anche in urla e pianti la stanchezza, le frustrazioni, le incomprensioni. E meno male, altrimenti come faremmo a capirci?!). 

Grazie, insomma, Zeno, per regalarmi queste riflessioni magari pedanti, ma necessarie.