La Rivista Culturale

mercoledì 22 dicembre 2010

"lo spettacolo d'arte varia, di uno innamorato di te."

È già ricordo, ancora fresco e soffice, neve appena posata a terra.
Fiocchi a sommarsi gli uni agli altri, uniformandosi in patina bianca, manto candido, distesa di purezza incontaminata.
Al suo disgelo, ecco una nuova buca sulla strada, il ghiaccio ha spaccato il cemento e lì lascia un solco.
Un suo ricordo.
Neve e Bellezza.
A che profondità scava, fin dove può arrivare dentro, la Bellezza?
Quella che si manifesta in un risveglio avvinghiato a un altro corpo, che a forza di reiterarla, non si esaurisce, non si stropiccia neppure un po'.

Appunto con tutta la calma che mi offre quella coperta calda e quel tempo che non scalpita per passare troppo veloce, appunto per bene la delicatezza di un dito che segna un immaginario percorso sul mio viso.
Sorriso di bambina con gli occhi appena chiusi, a cui viene regalato il bacio della buonanotte da una mamma premurosa.
Sorriso di piccola donna con gli occhi ancora chiusi, a cui il "Buongiorno" si presenta vestito d'amore.
Un amore da spogliare, piano piano, fino a scoprire in ogni suo strato, per poi rimboccargli la coperta al fine di proteggerlo. Dal freddo, dagli sbagli, da qualunque paura possa avere.

Tapparella abbassata al punto giusto, righe sottili di luce a dar forme a una stanza che non è la mia.
Notte, giorno, ancora notte e nuovo giorno. Ancora, e ancora.
Ripetere una quotidianità che irrompe nell'abitudine e sradica qualunque noia.
Sognare, farlo insieme e a occhi spalancati, crederci in quelle righe scritte su un foglio che hanno tutta la concretezza di un futuro che, vicino o lontano, si avvererà.
E avrà ancora più valore, perché sarà stato scelto. Da noi due.

Cerco delle parole, alle volte, per saper spiegare.
Quello che provo, quello che secondo me è importante, che farebbe piacere conoscere anche a chi mi sta a un soffio di vita, a chi ci è dentro, alla mia vita.
Non sono veloce a sfogliare il dizionario delle mie emozioni, non riesco a tenere il dito sul lemma che ho trovato e a pronunciarlo subito.. mi scappa il segno, si confondono le definizioni, taccio.
Ho imparato un trucco.
Niente ricerca ossessiva di quelle parole scivolose, vivo di quei silenzi che prendono il loro posto, silenzi ordinati, estesi, che non scappano. Che si lasciano vivere da due persone.
Lascio il microfono agli occhi, veri teatranti di certe situazioni.
Con un battito appena sono in grado di manifestare la più incontenibile delle gioie, racchiudono dei veri orgasmi, loro, che strepitano dello stesso piacere di quando invece è il resto del corpo, a fare l'amore.

E così, mentre tutto questo accade, inalandone il muto piacere, si scrive il diario della mia memoria.
Ed ecco il ricordo, meno fresco ma comunque soffice, neve che diventerà ghiaccio e si scioglierà in acqua purissima
Nuovo solco della medesima Bellezza, scavato insieme sulla mia strada, dentro di me.

giovedì 16 dicembre 2010

Loro e gli altri. Ahi serva Italia.


Voci soffocate, manganelli che gridano.
Rabbia giovane, mondo vecchio.

Loro sostengono la necessità di ricorrere a metodi nuovi per farsi ascoltare, dopo un anno di lezioni in piazza, cortei e pacifiche richieste.
Ma arriva un giorno che si chiama 14 dicembre.
Lacrimogeni, scontri, incendi.
E poi loro, i giovani, fuori in piazza.

Gli altri, quelli dentro, protetti nella bambagia parlamentare, quelli che invece a quanto pare, hanno il diritto di prendersi a cazzotti, quando gli insulti finiscono.
Incapaci o privi della voglia di interrogarsi sul perché là fuori, a pochi metri dalla culla di palazzo Chigi, un'onda di ferocia infiamma le strade, paralizzando u
na città.
Perché.
Domande troppo scomode per quei seggiolini confortevoli.
Sfugge il senso delle cose, resta e cresce l'odio, alimentato dall' incapacità, quella degli altri, che dovrebbero provare a rispondere, per impedire che quell'onda ingigantisca e si tramuti in uno tsunami, come il 14 dicembre.
Violenza ignorante, paralizzante.

Urla, accuse, sceneggiate.
E c'è, negli altri, chi continua a negare con fermezza e fierezza la catastrofe generale.
Attori di uno spettacolo tragicomico, solito copione senza battute finali.

Disoccupazione, precarietà, insicurezza.
Loro chiedono ascolto.
Gli altri hanno orecchie solo per sentire l'eco della propria voce.

E un quasi duemilaeundici spettrale, come prospettiva.
Colorato dalla fluorescenza dei lacrimogeni o dal blu dei caschi di chi compie il proprio lavoro, anche se forse, nemmeno vorrebbe trovarsi lì, in quella folla arrabbiata che ha tutti i diritti di protestare - e soprattutto, di essere ascoltata-, ma non di agire con violenza e vandalismo sfrenato.
Dispiace sentirsi dire " Mi auguro andrai a vivere da un'altra
parte appena potrai..".
Parole di una mamma preoccupata per questo futuro che non è degno di chiamarsi tale, per chi nutre speranze che, per il momento, sembrano evanescenti come le promesse che non mantengono quasi mai, gli altri.


"Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!"

Dante Alighieri, Purgatorio, Canto VI, 76-78

sabato 11 dicembre 2010

Dea Musica, la Scintilla in un mondo di Plastica.


C'è uno spazio, tra le note. Non ha estensione, nè forma.
Eppure c'è.
Una sorta di buco nero, inghiotti-tutto.
Luce,aria,tempo.
Pensieri.
Non si percepisce ascoltando una canzone, che fila via liscia, nella sua esatta sequenza di voce-melodia-accordi-ritmo.
Eppure c'è.
E sapete una cosa? Quell'aspirapensieri nascosto tra i rivoli della musica, a un certo punto, rigetta tutto.
Ogni frangente che si era ingurgitato con avidità, ogni sussulto d'anima, ogni brivido lungo il corpo, me lo restituisce quella stessa musica, al nuovo ascolto.


La vita è costellata da Momenti. Ogni secondo che scocca lo è, ma lo è solo con la m minuscola.
Io sto parlando di Momenti.
Quelli che uno sceglie.
Quelli che è vertigine anche solo avvicinarsi col pensiero.
E farfalle nello stomaco, e sorrisi beati.
E dannata malinconia, delle volte.
Loro sono così, accadono, svaniscono, e si ripresentano per durare ancora, senza una scadenza.
Come le Nuvole di De Andrè.
Vanno..
vengono..
ritornano..
e magari si fermano tanti giorni,
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai




Ognuno usa i trucchi che ha, per marchiarli, quei Momenti.
Io li incido. Mi fingo scultrice.
Prendo un blocco di marmo - il sottofondo di una canzone

vergine, integro, senza che altre mani l'abbiano anche solo sfiorato prima - fino ad ora mai ascoltata con il cuore, solo con le orecchie, come fosse un rumore, nulla più

lo modello con le mie mani, con gli strumenti di cui dispongo - imprimo colori, sfumature, odori, parole, sguardi e silenzi, la tatuo con ciò che sto vivendo

ne ricavo una statua che eternamente mi ricorderà e mi riporterà con la mente alla fatica,alla gioia,alle sensazioni vissute mentre le davo forma - ecco la canzone che mi traghetterà su quella terra lontana, facendomi approdare esattamente a quel Momento.


A volte basta un violino, capace di accarezzarmi il viso con la stessa delicatezza di una mano che mi ama.
L'assolo di una chitarra le cui corde mi solleticano e magari, graffiano un po'.
L'intensità di un pianoforte che mi avvolge come una coperta calda, premurosa e morbida.
E poi la voce, che prima imprime le parole sulle note e poi, subito, nella mia pancia.

Io sono presuntuosa, mi aspetto che per tutti sia così. Così naturale.

Vorrei una colonna sonora della mia vita, semino note e ricavo ricordi.
E mi piace questa agricoltura musicale, ci metto tutta la passione che ho.
Ma mi sento così stupida, a volte. Così vanamente emotiva, infantile.
Una tossica che impazzisce se non assume la sua dose.
La considero davvero una specie di droga, che inietto in vena senza preoccuparmi, convinta non possa arrivare l'astinenza. Tenendomi ancorata a tutto l'amore che nutro per lei.
Da quando ho appreso la meraviglia della Musica, della sua ricchezza, del suo potenziale infinito, non posso più farne a meno. "Dea, dea musica, la mia cura e compagna fantastica." [cit. Piero Pelù]

venerdì 3 dicembre 2010

da un balcone vedi

"Come eravamo piccoli..."
E ci scappa un sorriso, assieme alla nuvoletta d'aria che esce dalla bocca.
Fa freschino, è decisamente Dicembre, non ci sono dubbi.

Ci sono mattine in cui mi sveglio e sono proprio contenta di quello che sto per fare.
Tipo oggi.
Citofonata lunga perché figurarsi, il proprietario di quel balcone dorme ancora, all'alba delle 9 del mattino. Entrare in una casa dopo tanto tempo, portare un buongiorno frizzantino e qualche brioches piena di crema.
Masticando quei dolci inevitabilmente finiamo per masticare anche ricordi.
E ci ritroviamo proprio lì fuori, su un balcone così grande da abbracciarlo tutto, l'appartamento all'ultimo piano.

"Come eravamo piccoli..."
nuvoletta di fumo e via dicendo..Dicembre, non ci sono dubbi.

Lascio che mi entri dentro tutto quel bianco di cielo e di case coperte di neve, mentre faccio scivolare fuori banali considerazioni sul tempo che passa.
Anni fa, vite fa ormai, a calpestare le stesse piastrelle, a farsi entrare negli occhi lo stesso paesaggio, magari meno bianco e meno mattiniero.
Infatti erano le notti, per lo più.
Passate insieme agli amici, quelli che hai quando i 16,17,18,19 anni ti cadono addosso come il più leggero dei vestiti. Che ti copriva, comunque, e ti calzava proprio bene a quell'età.
Una casa piena di vita che non andava mai a dormire, se non quando la notte si schiariva e gli occhi erano troppo stanchi per guardare un altro film.
Giovani vampiri notturni, con il sangue che li avrebbe nutriti che scorreva nelle vene di bottiglie colorate.
Risvegli appannati, balconi da asciugare (..non so come ma una volta qualcuno ha finito per allagarlo..) cibo sparso per casa, cuscini ovunque..il tipico casino casalingo di un gruppo di adolescenti.
Nei nostri vestiti perfetti.

"Com'eravamo piccoli..."

Li avevo conosciuti solo qualche anno prima, all'oratorio feriale della mia quarta ginnasio.
Mi sono piaciuti tutti quanti.
Ma poi sono arrivati i 19 anni, i 20 e ora i 21.
Anche se abbiamo smesso con quelle notti, il loro ricordo
non mi procura nessuno strappo, al nuovo vestito che ora indosso. Perché inevitabilmente l'ho cambiato.
Quelle notti le ho trasformate in una tasca, nella quale poter frugare per trovare persone che, a distanza di tutti questi anni, ancora ci sono.
Per una colazione e una chiacchierata.
Per sentirci un po' più grandi, appoggiati al muretto di quel balcone.

sabato 27 novembre 2010

Sì, viaggiare.

[Stoccolma_Svezia]

Prendi un aereoplano, usa le tue gambe, sali su un autobus.
Respira arie nuove, assaggia storie sconosciute.
Nutri gli occhi con paesaggi che potrai rigustare solo tramite fotografie.
Ascolta silenzi ricoperti di neve.
Imprimi ogni sensazione in qualunque parte, dentro di te, sulle pagine di un quaderno, che fa comunque parte di quello che sei. Sei parole, scritte per non dimenticare.
Instancabile desiderio di visitare città, mischiare i propri sguardi incuriositi con quelli che non parlano la tua stessa lingua, ma che sono capaci di arricchire di un pizzico di calore e colore il gelido bianco che ti circonda.
Strade percorse alla ricerca di un arrivo senza fretta, pavimenti che si lasciano calpestare e che sembrano condurti loro, verso una meta.
Il mare intorno, sempre, il mare della Svezia che non è azzurro come la sua bandiera.
Paese-arcobaleno, arricchito da colori artificiali perché la natura è ingrata con lui, in questo freddo inverno.


..Dolcemente viaggiare,
rallentare per poi accelerare,
con un ritmo fluente di vita nel cuore,
gentilmente senza strappi al motore.
[Lucio Battisti]

Come in un quadro, imprimere uno scorcio di mondo lontano migliaia di kilometri dalla tua vita.
Nonostante tutta quella neve e il clima ostile e il buio che calava presto, provare una sensazione di calore, nel riportare la mente a quei tre giorni svedesi.
Tack Stockholm, per aver regalato la tua bellezza a due piccoli esploratori con tanta voglia di viaggiare.




sabato 6 novembre 2010

e poi?


Di getto, porta ordine in quel caos mentale che ti frulla in testa e sputa fuori quello che dentro non riesce a starci più.
Fallo di getto.
Un gesto improvviso, uno schiaffo ai tuoi pensieri.
Non cercare di capire da dove proviene quel forte impulso a scrivere, rispondi semplicemente a una domanda: E poi?
Non lasciare che sfugga l'attimo di pienezza che si è impossessato di te.
Forse si tratta del Daimon di cui parlavano i filosofi greci.
Sai soltanto che lo stimolo di quelle due paroline, quattro lettere accostate e separate da uno spazio, terminanti con un punto interrogativo, quello stimolo ti basta per frugarti dentro e ricostruire, fuori.
E io non potrei scrivere, senza la spinta di quell'«e poi?», che mi fornisce un binocolo per guardar lontano e un microscopio, col quale osservare da vicino.

Apro il mio compagno di viaggio, un quadernino azzurro che accoglie pazientemente i frutti di tutti i miei "e poi?".
Oggi un assaggio di casualità.



Corro in avanti alla stessa velocità con la quale starei immobile.

Tanto vale star fermi, penso.

Invece no.

Perché anche se non mi sposto fisicamente, in quella che dovrebbe essere una corsa, almeno i miei occhi si spingono oltre. Oltre il qui.

Almeno con gli occhi ci arrivo a sfiorarlo, il futuro.

Se resto qui no, non sfioro nulla, nemmeno con gli occhi, non vedo altro.

C'è la tua sagoma a oscurarmi la vista.

Per liberarmi da te, dovrò quindi cominciare dallo sguardo.

Non posso cancellarti con un battito di ciglia, chiuderei le palpebre per un attimo, ma ritroverei la stessa persona, passato quell'istante.

Il mio scopo è non notarti più.

Finire per confonderti col resto del paesaggio.

Perché c'è anche un mondo, attorno a te. Un mondo che è tutto racchiuso in te, per adesso.

Ho deciso, per i miei occhi ti trasformerai.

Forse sarai un albero.

Un salice.

Sì, un salice che si allunga verso il basso.

L'incarnazione naturale più melanconica che si possa manifestare.

Ecco la forma sotto la quale ti presenterai a me, quando sarò in

grado di correre in avanti col peso del corpo e del cuore.

E quel giorno sarò talmente entusiasta che vorrò superare tutto.

Non mi fermerò davanti alla gioia di essere tristi.

Perchè tale è la malinconia.

Sarai uno splendido salice piangente che non catturerà la mia attenzione.

Perché allora non ti riconoscerò, non sarà per indifferenza.

Non mi soffermerò ad osservare la dolce curva dei rami, a sfiorare il manto erboso.

Sarò concentrata a percepire i miei muscoli in moto dopo tanta staticità, il sudore che scivolerà dalla fronte e che appena si incaglierà tra le mie labbra scambierò per lacrime.

Sarà mondo e tu nel mondo.

Non più il mondo in te.

Perché se sapessi ora, intrappolata nella mia immobilità, che tu sei quel salice, riunirei le mie energie per un solo, perfetto slancio, capace di condurmi a te. E sotto le tue fronde restare, infinitamente, immobile.




Dedicato alle Muse che restano, e a quelle che, a volte, se ne vogliono andare.


lunedì 13 settembre 2010

il vuoto che trabocca

Folata di vento indeciso tra lo sbiadirsi di un'estate e lo sbocciare del policromo autunno.
Foglie che si adagiano al pavimento, e nella loro caduta lo sanno, muoiono per lasciare lo spazio necessario al nuovo freddo.
Una cornice di un quadro che ritrae un paesaggio, improvvisamente riempito di vuoti.
Quelli dei rami privati di quella foglia che si è arresa all'insicurezza del vento, suggerendogli di spirare con un po' di forza in più.
Una vita che osserva questo dipinto e se ne sente parte. Anche in lei dimorano i vuoti.
Quelli fatti di una distanza che non si misura in kilometri ma in "giorni che mancano".
Eppure, per qualche incredibile miracolo, questi buchi non ingigantiscono si restringono, semplicemente, traboccano.
Come bicchieri trasparenti, con l'acqua fino all'orlo.
Illusoriamente privi di contenuto, se li si guarda da lontano.
La mano che decide di afferrare il bicchiere si accorge dell'inganno, ed eccola bagnarsi di un'acqua che, per chi l'avesse assaggiata qualche stagione fa, non aveva lo stesso sapore.
E li ha sempre avuti dentro di , la piccola vita, quei vuoti prima più salati, ora addolciti e placati.
A rimanere ramo secco e nudo, bicchiere vuoto, c'è da farsi un gran male.
Si è senza protezione, la vita ora lo sa.
Per i graffi che si era procurata quando lasciava evaporare l'acqua e a restare sul fondo erano solo grossi granelli di sale.
Per il gelo che ricopriva una corteccia incapace di sopravvivere a un nuovo inverno.
Osserva lo strep-tease dell'albero che le dà il buongiorno, ogni mattina, e il tappeto di giallo e arancione che si arricchisce ogni foglia di più.
Mentre dall'orlo dei bicchieri dentro di , trabocca una musica di elettricità..

Electricity through her body
That one thing that can make one happy
Like electricity through your body
That one thing that can make you happy
And you don’t need to have more...
[Elisa,Electricity]




lunedì 30 agosto 2010

non resta che..


..finire un'estate per iniziare una nuova stagione.
Ma non sarà fredda e appassita..pregusto una specie di Pasqua infinita, giorno dopo giorno uova da spaccare e sorprese che affioreranno, a scaldarmi insieme al fuoco di un caminetto.
Parlo già di autunno, come fanno da un po' le vetrine dei negozi di abbigliamento, pronte ad esporre i loro manichini ricoperti da ponchi e sciarpone.
Mentre il sole fuori non si stanca di esaurire il suo compito e sprigionare le ultime energie per regalarci piccole lamentele su "quanto fa caldo.."
Ma so bene che si tratta delle ultime gocce, che si andranno a diluire insieme ai dolci ricordi di questi ultimi mesi.
Se mi volto appena appena, scorgo ancora qualche ulivo cresciuto su colline aride, case bianche costruite sul mare, barche che attraccano ai porti mentre il cielo si macchia dei colori del tramonto. E se mando giù la saliva, avverto il pizzichio del sale dello Ionio, con un profumo di salsedine che mi si appiccica addosso insieme alla sabbia di Torre Pali.
Nelle mie orecchie rieccheggiano ancora le risate condivise, lo scroscio delle onde, le parole appena imparate da una bambina capace di i
ntrattenerci e intenerirci giorno e notte.
Riascolto tutto questo insieme alle canzoni, sempre pronte a tenerci compagnia nei tragitti in auto, per quelle strade così strette e malandate, cantando Lemon Tree mentre la coda ci inghiotte nella sua immobilità e gustando quel po' di Guccini che conosco.Ma soprattutto condividere, condividere continuamente esperienze, immagini entrate negli occhi e nel cuore e rimaste intrappolate, auguri di buonanotte, risvegli..
"It's Summertime and the living is easy", per citare un verso di Nick Drake.

L'ho vissuto così il mio Summertime, con una spensieratezza che tornerà a farmi compagnia anche quando la quotidianità di una routine che sembro aver dimenticato cercherà di appesantirmi.
Non resta che assorbire gli ultimi raggi di estate, tirando dritto se dalle vetrine strillano che l'inverno è alle porte e bisogna prepararsi facendo i primi acquisti.
Anche se non c'è più il mare da percorrere in lungo e in largo nè un bacio del buongiorno che stava quasi diventando dolce vizio.
Terrò semplicemente una sveglia con la voce di Chris Martin e il suo Scienziato ad accarezzarmi gli occhi prima di aprirli..così, per qualche istante, crederò di svegliarmi ancora in un giorno qualunque di queste tre settimane..




giovedì 5 agosto 2010

passeggeri distratti


"Treno in transito. Non superare la linea gialla."
Scansione metallica, altoparlante senza volto a ripetere ancora una volta l'avviso ai viaggiatori distratti.
Margherita non si accorge quasi della sfilata di vagoni che la affianca all'improvviso, nella sua corsa lungo il binario 8.
Sta dirigendosi alcune banchine più in là, dove il suo Futuro sta per mettersi in moto e se non si sbriga partirà lasciandola a terra, sul binario sbagliato.
Sul binario dove i treni sono solo "in transito".
Percorre il sottopasso incurante delle mollette che spiccano un breve volo, si sganciano dall'acconciatura castana e precipitano sul cemento calpestato in continuazione da piedi frettolosi. Probabilmente qualcuno le schiaccerà, troppo affannato nella sua corsa verso un treno in partenza.
Margherita corre, spostando appena le grosse ciocche ora libere di caderle sul viso, meschine complici dell'irraggiungibilità del suo Futuro.
I muscoli bruciano per la corsa e per il sole, improperi a fare eco nella sua testa per la costante mancanza di puntualità. Anche oggi, che l'appuntamento è quello a cui non puoi mancare.
Quello che non ti dà l'opportunità, ma la certezza di un cambiamento radicale.
Radicale.
Le avrebbe strappate tutte le radici che la tengono ancorata al suo paese senza "domani", e alla sua vita protratta verso un infinito "ieri".
Scala in salita, finalmente lo spiraglio si fa concreto.
Stringe a sè la Louis Vuitton e un'ondata di cuoio prende la rincorsa e si intrufola nel naso,
"Ecco, poi non lamentarti che non ti faccio mai regali originali... in tutti i sensi!"
Ondata di ricordi a infrangersi sugli scogli del cuore.
Respinge quello spettro improvviso di passato che vorrebbe scaraventare giù da quei gradini, insieme alle mollette ormai perse per sempre.
Lo sforzo compiuto nell'ultima rampa sembra essere quello decisivo, le permette di raggiungere la prima carrozza, il suo Futuro è ancora lì che la sta aspettando.
Sorride Margherita tra le gocce di sudore che le imperlano la fronte, ora completamente spettinata.
La porta resta aperta ancora qualche secondo e Margherita, la borsa di cuoio, e la voglia di partire balzano finalmente sul treno.
Aspetta a cercare un posto per il suo viaggio, pregusta in piedi socchiudendo appena gli occhi, le coincidenze che, stavolta no, non potrà permettersi di prendere al pelo, le diverse stazioni in cui il suo Futuro sui binari riposerà, i viaggiatori che le terranno una silenziosa compagnia.
Avverte un fischio segnalatore di una partenza, ma i vagoni di pensieri deragliano improvvisamente.
Occhi spalancati e increduli.
Rimane ferma e incapace di agire, mentre dalla banchina accanto il su
o treno lascia il primo binario, lo lascia quasi a rallentatore, come a voler fare un dispetto alle coincidenze che non conosceranno mai l'impazienza di quella ragazza. La frenesia del suo voler sradicarsi l'ha portata a un treno più in là.
Ora, per quanto completamente allibita, può solo decidere se tornare a far rapprendere l'acido lattico liberato nella corsa oppure percorrere quella carrozza sbagliata alla ricerca di un sedile vuoto che accolga quella viaggiatrice distratta, che fruga nella borsa alla ricerca di chissà quale oggetto prima riposto con tanta cura e ora disperso in disordine, come la proprietaria.
Non ha segni da aspettare, non crede in nessun destino.
Dovrebbe essercene almeno uno, di destino, per decidere di crederci.
Ha scelto Margherita. La sua bocca ha deciso di accettare la sfida, formando un archetto all'insù. Labbra che si dischiudono in un sorriso, quasi complice di quella piccola disavventura.

Una giovane donna percorre il corridoio di questo treno male illuminato.
Lancia occhiate a destra e a sinistra, lentamente, lo fa senza mutare mai un'espressione di insolita felicità, quasi curiosità infantile.
Dal pugno chiuso scende un manico di Louis Vuitton.
Poso la penna e torno a guardarla un'ultima volta prima che scompaia dalla mia vista.
Lei è la mia Margherita, lei e il suo sguardo straripante di speranza.
Non la conosco nè saprò mai il suo vero nome, ma ha tenuto compagnia al mio viaggio, regalandomi la possibilità di inventare una storia che possa indossare senza difetti o strappi. Una storia che le calza a pennello.
Mia eroina anonima, ti auguro un Futuro come quello che ho immaginato per te.
Hai tutta l'aria di desiderarlo anche tu.




sabato 17 luglio 2010

incipit


A metterli tutti in fila verrebbe fuori una collana di perle. O una scala.
Carichi di entusiasmo o di pathos, comunque vivi.
Sto parlando degli inizi, della loro semplicità invitante, virtuale patina bianca da decorare battendo tasti di un pc.
Ho un foglio di word zeppo di soli incipit.
Storie nel bozzolo, bachi da seta mai più coltivati, lasciati appassire in qualche cartella senza nome. Come si fa a concimare un racconto? Quale tipo di fertilizzante è necessario?
Scelgo l'immagine della scala, la collana di perle rimanda a qualcosa di prezioso, mentre il mio ammasso immaturo è un lavoro grezzo, in fieri.
E dunque, Scala. Formata da un solo gradino, sul quale salgo sapendo che non potrò raggiungere nessuna altezza.
Mi aspetto che il seguito si produca da sè.
Non mi sono mai piaciute le scale mobili, o gli ascensori, tutti quei mezzi comodi, per così dire. Raggiungere la meta con le proprie gambe lo trovo molto più.. personale.
Eppure non riesco a infondere la stessa voglia di personalizzazione in ciò che scrivo, mi limito ad allungare i miei arti inferiori al primo dei gradini che dovrei percorrere, aspettando chissà quale miracolo architettonico. Non si muove da sola, l'ho scelta io la non-scala-mobile. Resto sospesa tra qualche centimetro di terraferma e il nulla, se non mi smuovo da lì.
Bevendo un bicchiere d'acqua pieno di ghiacciolini colorati mi è stato suggerito di allenarmi, con ogni mezzo e in ogni momento. Magari andrò a ripescare qualche partenza abbandonata, nella cartella senza nome, e chissà, finalmente potrò riuscire a battezzarla con qualche titolo.
L'ultimo capitato sotto agli occhi è un eco dal passato, all'aspro sapore di un'arancia senza troppo succo. Ve ne lascio un morso.

Ho capito che genere di persona è: una di quelli che nelle foto non stanno mai in mezzo, sempre in disparte, e sorridono in modo forzato.

"smettila di maltrattarti,di vivere nell'attesa,di nutrirti della tua stessa sofferenza."

"non ci riesco."

"..."

"è difficile,ma tu non lo vuoi nè puoi capire"

"lo capisco benissimo,invece. Tu hai preso l'arancia non perchè il frutto ti piaccia, semplicemente per l'odore che ti resta sulle mani,una volta sbucciata.

Non hai mai saputo viverti il presente, ti sei sempre limitata ad aggrapparti a un o,peggio,a un . Ti senti sicura dietro alla paura, ben riparata nei tuoi castelli impossibili? Devi capire che è tutto una stupida bugia, che ti sei voluta costruire tu stessa.

Prendi quell'arancia e,per l'amor di Dio,gustatela."

martedì 6 luglio 2010

foglietti gialli.


Ma poi a uno gli scappano, le parole.
Le deve incollare subito al foglio, così, come scivolano sulla punta della lingua, quasi a volere essere pronunciate. Quasi.Capita anche che si passi la vita a comprare quaderni, di tutti i colori e grandezze, accumularli ma non saperli riempire mai.
Chi l'ha stabilito che il salto nel vuoto, dalla punta estrema di una lingua zeppa di lettere sparse in una casualità senza regole, una lingua afasica, incapace di pronunciare una fila ordinata che abbia un senso e non si riduca a pure astrazione, chi l'ha deciso che quel tragitto, quel salto nel vuoto, quel precipitare, perchè a parlare si cade, senza l'intervento di un paracadute di fortuna, si cade e ci s ipuò tagliare un labbro, scheggiare un dente, frantumare il cuore.
Chi l'ha stabilito che quel salto nel vuoto siano in grado di affrontarlo tutti?

Per ogni volta che impugnare una bic significava brandire una lama affilata, unica arma per affrontare il mondo. Senza il peso di un'armatura o l'ingombro di uno scudo.

Sezionare il mondo con mano chirurgica per poi ricucirlo in altre
forme.
Catturare una sensazione, imprimersela dentro, donandole il proprio corpo come dimora.
Raggiungere gli estremi dell'esistenza e viverli instancabilmente con le parole.
Inventare uscite di sicurezza dalla realtà, lasciandole chiuse, senza utilizzarle per davvero.
Vivere inspirando aria, trasformarla in suoni che scivolano attraverso una scia di inchiostro
Osservare quel mondo racchiuso in una sensazione, ora concentrata negli estremi di un foglio.

Per carprire l'essenza di ciò che è volatile ma perdura nel disordine di lettere sparse, tra una bocca che non dice e uno sguardo che non smette di parlare.
Per pesare la leggerezza che sono in grado di lasciarti dentro, due parole e un paio d'occhi.

lunedì 7 giugno 2010

"respirare nell'aria sale e maggese"


Ogni tanto mi volto indietro, per scoprire un paesaggio che altrimenti non entrerebbe mai, nei miei occhi di piccola turista.
Percorro questi sentieri con un sole caldo che mi batte sulle spalle, salgo qualche gradino di roccia e poi ridiscendo.
Respiro un profumo di estate in anticipo, profumo di passi stanchi ma desiderosi di proseguire.
Qualche foto per immortalare nella memoria immortale un panorama particolare.
Era molto tempo che non mi immergevo in queste profonde altitudini nella natura, e sto recuperando tutto questo tempo con la compagnia di un ragazzo e il necessario in uno zaino.
Il resto sono solo polmoni, gambe e occhi.
Tutto quello che serve per vivere una (mini)vacanza in piena libertà, senza obblighi, senza orari da rispettare. Senza il verbo "dovere".
Paesini arroccati a strapiombo sul mare, tripudi di colori sulle pareti delle case,incrociare giovani e anziani che salutano, chi in americano, chi in francese. Tutti accomunati da una gentilezza e una rilassatezza quasi estinte, nella quotidianità lombarda.
E poi, all'improvviso sorridere, un'ondata di salsedine, l'odore del mare che, complice il leggero venticello, arriva fino al naso.
Distesa azzurra senza fine apparente, a fondersi con l'orizzonte di un cielo limpido. Contrasta solo con la vividezza del verde delle montagne, merita un'altra fotografia tutta questa bellezza.
I sentieri ci portano alla meta, dietro l'altura si intravede la città di Monterosso, un lembo di sassolini la separa da quel po' di mare in cui mi tufferò, di lì a poco.

L'atmosfera che mi tiene sospesa in questo paesino ha qualcosa di magico, come fosse fuori dal tempo. Le viette strette, in salita, ad ogni angolo si legge un invito a provare i prodotti locali. Liguria prima sconosciuta, terra di mare e di montagne, vivo per due giorni con un sorriso che vorrebbe esprimere pura felicità, vivo le Cinque Terre e la gioia più grande è il poter condividere tutto questo.

Silenzi in cui la voce roca di Guccini trova un palcoscenico nella mia testa, per esibirsi...

"..Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci
e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri,
le strisce delle lumache nei loro gusci,
capire tutti gli sguardi dietro agli scuri..

e lo vorrei
perchè non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io...

Vorrei con te da solo sempre viaggiare,
scoprire quello che intorno c'è da scoprire
per raccontarti e poi farmi raccontare
il senso d' un rabbuiarsi e del tuo gioire..

..restare in silenzio al suono della tua voce
o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
dimenticando il tempo troppo veloce
o nascondere in due sciocchezze che son commosso.
Vorrei cantare il canto delle tue mani,
giocare con te un eterno gioco proibito
che l' oggi restasse oggi senza domani
o domani potesse tendere all' infinito.."


Barche che galleggiano a filo d'acqua, poesie che si scrivono nella mente, nuvole a sfumare il bagliore del cielo..
Non è solo "La via dell'Amore", andare alle Cinque Terre.. è compiere un breve tragitto attraverso la semplicità più appagante, sono minuti senza ore, ali di gabbiani a trasportare la leggerezza che quasi rischiavi di dimenticare.

giovedì 27 maggio 2010

"perchè sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla."

i papaveri catturano la mia attenzione.
Se ne stanno lì, vivaci, in moltitudine, ad arrossare distese abbandonate. Facendosi ritrarre dai pittori, da Monet e immortalare da un timido flash, sorridendomi.


"..e ti prenderanno per pazza quando guarderai la Luna e ti vedranno ridere dal nulla."

Ne passo ancora molti, di attimi di sere, a sezionare l'infinito del cielo.
A cercare uno spicchio che non compare mai, come per farmi un dispetto, nascosto dal luccichio di brillanti indifferenti, ancorati al nulla.
Stelle, le chiamano.
Punte di spilli conficcati nello stomaco dell'universo, a precipitare il 10 agosto con scie di bagliori, regalo per sognatori incalliti.

Scrivere qualcosa, ispirata da un cielo incapace di parlare, scrivere per completare quello spicchio che non c'è.

"sei la mia Poesia.
Ma non so scrivere.
sei l'ugola con la quale cantare.
Ma sono muta.
L'accordo perfetto.
Ma non è la chitarra, il mio strumento.
Sei ciò che è utile.
Ma mi circondo di superfluo.
Un caldo paio di guanti
per chi, come me,
vive d'estate.
Sei talmente tutto
che per non sentirti
dovrei possedere solo il nulla."

Parole di non poesia, parole di buchi neri da riempire.

Intanto si aprono gli ombrelli, perchè lo scroscio di un grigio liquido e arrabbiato bagna questa terra di primavera.
L'acqua precipita perfetta, a seguire un ritmo segreto, a posarsi sul mondo.
L'asfalto si scurisce, il verde dei prati si appesantisce.
Tergicristalli a pulire vetri e occhi che ne avrebbero bisogno, ogni tanto.

Oggi piove e immagino piazza Duomo deserta, coi piccioni accovacciati sotto la Galleria, a non infastidire i passanti frettolosi.
In una Milano dove si incontrano tutti i mondi possibili, dove un barbone che fruga in un cestino è una giovane ragazza che rovista senza sosta tra le scorie del proprio passato. Vittime di qualcosa gia "buttato via".
Forse quando piove anche i miserabili trovano un po' di ristoro, come quei piccioni che non volano più rasoterra.
Smettono di chiedere elemosina, si proteggono in qualche riparo di fortuna e aspettano di poter elemosinare ancora un po' di sopravvivenza.
Smettono di aprire cassetti di vestiti dell'infanzia,già indossati.
Aspettano un sole che non avranno mai. O forse una stella, una che decida di staccarsi dal punto in cui è ancorata e compiere quella scia. Quel Miracolo.

Così le strade si riempiono di pozzanghere che riflettono la realtà, ma al contrario, immagini concrete ribaltate.
Mondo riflesso in acqua sporca.
Mondo che ci macchia e ci infanga, che evapora e ridiscende in nuove buche del terreno.
Mondo che accade con la pioggia, con il sereno e con lo spicchio di una luna che mi farà sempre ridere, dal nulla.

venerdì 21 maggio 2010

. a line in the Dirt .


a mia volta mi fido del mondo, non ti dico le botte che prendo..
non c'è modo di starsene fuori da ciò che lo rende tremendo e stupendo..
la canzone è rimasta nel vento, le sorprese che fa il firmamento..
...per il cielo è un po' presto,
per l'inferno non c'è posto,
per qualcuno è solo buio pesto!
A mia volta non smetto di andare
anche se non si sa ancora dove..
a mia volta invecchio alla svelta
perché non rinuncio a una certa illusione!
..una faccia che sembra destino
ed un vecchio che torna bambino
e traguardi che sono partenze
e un tramonto che sembra mattino!
C'è una linea sottile.. fra la voglia e il piacere..
fra la noia e il bicchiere..
c’è una linea sottile fra aspettare e scoppiare..
cosa pensi di fare?
Da che parte vuoi stare?

-Ligabue, La Linea Sottile-


non sono solo muri o barriere a dividere.
Bastano linee, fili senza spessore, che coloriamo con le scelte e le indecisioni.
Sottilissime e taglienti, queste linee che non sorreggono nessun acrobata, per quanto abile.
Nonostante a volte ci si convinca che quel solco divida due terreni che appaiono una sinonimia, mentre in realtà le due superfici sono zolle di mondi lontanissimi.
Non è "tanto è lo stesso", scegliere l'aldilà o l'aldiqua della linea.
è un atto di responsabilità.
Mettendo in gioco, anche se "gioco" non è, tutto quello che fa parte di te, dalle piccole incertezze ai grandi punti fermi.
Decidere un "prima" e un "dopo", gustandosi quel frangente di "mezzo" che, proprio perchè effimero, dura un battito di ciglia. O una notte intera.
Parlo di chi, come me, ha tentato più volte il mestiere dell'equilibrista.
Che emozioni, a stare sospesI senza suolo su cui inciampare.
Senza trappole in cui cadere.
Con la luna sempre più vicina.
Poi il filo ondeggiava e tutto quello che l'attimo prima sembrava unico piacere esplodeva in millemila scintille che si disperdevano senza direzione.
All'improvviso nessuna luna, nessuna vertigine.
Allora mi mettevo alla ricerca di qualcuno che sapesse quello di cui non-parlavo, che come me poteva aver assistito a quella deflagrazione, lo cercavo intrappolato in una voce di qualche canzone.
Lì dentro ne ho trovata tanta, di compagnia. Di consigli e carezze.
Mi proteggevano in una delle due terre che la linea separava con tanta precisione.

Bastavano quei minuti di musica per sapere dove mi trovassi.
Non raccolgo più le scintille oggi, un oggi che non corrisponde a nessuna data, piuttosto a un luogo.
Oggi la guardo, quella linea sottile, la individuo con chiarezza e con un sorriso, perchè credo proprio di aver scelto il mio posto.


"I drew a line into the dirt
And dared her to step right across it
And she did."

"Ho disegnato una linea nella polvere,
l'ho sfidata ad attraversarla,
e lei l'ha fatto."

-a line in the dirt, Eels-


mercoledì 19 maggio 2010

Madame, poche parole.

Una base musicale a dare un ritmo ai pensieri sconnessi.
Devo solo seguirla, stare al tempo con le note, per non far scappare qualche schizzo di queste inconsistenti creature del mio pezzo di anima che pulsa, che qualcuno chiama cuore.
Imparare a rallentare, nelle pause, quei vuoti di suono che fanno apprezzare ancora di più la ripresa, lenta, in crescendo, di una melodia.

Ma in fondo, è solo Vita.

Quella che ti si schianta addosso in un giorno di sole, a colpirti insieme ai raggi che finalmente scaldano e non si limitano al solo strato di pelle.
Che per qualcuno, in quello stesso giorno di sole, ha il sapore del sale, amare cascate da occhi appesantiti per una delusione.
Che è una voce e il suo tepore che anticipa l'estate.
Che.. "tra un po' nascerà il sole e nuova luce porterà, quello che già io so."

E intanto i piedi camminano, sempre avanti, a creare una strada sotto di loro.
Restano le impronte di un passaggio, tracciano i sentieri.
Monito per i viandanti smarriti.
Questo percorso l'ho disegnato io, spingendo un muscolo dopo l'altro, con la fatica di chi sa voltarsi indietro per controllare il punto da cui è partito.
Con l'attenzione al prossimo passo da appoggiare a terra.
Sono esploratore e guida al tempo stesso, covo in me la meta finale e cullo la memoria della mia nascita.
La suola consumata dalla familiarità del legno di una scala a chiocciola, dall'asfalto indifferente, dai fili di un prato che conserva lo stesso fango ma anche le stesse margherite.
Scricchiola il palco, l'attrice chiede di far calare il sipario in anticipo, per questo spettacolo. Gustatevi i titoli di coda, gustatevi la poesia di Dave Matthews.