La Rivista Culturale

martedì 6 luglio 2010

foglietti gialli.


Ma poi a uno gli scappano, le parole.
Le deve incollare subito al foglio, così, come scivolano sulla punta della lingua, quasi a volere essere pronunciate. Quasi.Capita anche che si passi la vita a comprare quaderni, di tutti i colori e grandezze, accumularli ma non saperli riempire mai.
Chi l'ha stabilito che il salto nel vuoto, dalla punta estrema di una lingua zeppa di lettere sparse in una casualità senza regole, una lingua afasica, incapace di pronunciare una fila ordinata che abbia un senso e non si riduca a pure astrazione, chi l'ha deciso che quel tragitto, quel salto nel vuoto, quel precipitare, perchè a parlare si cade, senza l'intervento di un paracadute di fortuna, si cade e ci s ipuò tagliare un labbro, scheggiare un dente, frantumare il cuore.
Chi l'ha stabilito che quel salto nel vuoto siano in grado di affrontarlo tutti?

Per ogni volta che impugnare una bic significava brandire una lama affilata, unica arma per affrontare il mondo. Senza il peso di un'armatura o l'ingombro di uno scudo.

Sezionare il mondo con mano chirurgica per poi ricucirlo in altre
forme.
Catturare una sensazione, imprimersela dentro, donandole il proprio corpo come dimora.
Raggiungere gli estremi dell'esistenza e viverli instancabilmente con le parole.
Inventare uscite di sicurezza dalla realtà, lasciandole chiuse, senza utilizzarle per davvero.
Vivere inspirando aria, trasformarla in suoni che scivolano attraverso una scia di inchiostro
Osservare quel mondo racchiuso in una sensazione, ora concentrata negli estremi di un foglio.

Per carprire l'essenza di ciò che è volatile ma perdura nel disordine di lettere sparse, tra una bocca che non dice e uno sguardo che non smette di parlare.
Per pesare la leggerezza che sono in grado di lasciarti dentro, due parole e un paio d'occhi.

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