Gli oggetti, in primis.
Quando poi li ritrovi, un po' per caso, un po' perché non li volevi cercare più.
Dei cd di uno scatolone impolverato da strati di tempo che si è addormentato, dei film e delle canzoni che, davvero, non ricordavi proprio più facessero parte della tua vita. Forse perché, nel frattempo, l'hai cambiata, e non riconosci più quella che eri un tempo.
Le fotografie.
Non sono veri e propri oggetti, sono più che altro... frammenti corporei di passato. Alcune di esse scattate per custodire quel momento, per fissarlo volutamente nella propria memoria futura, mentre altre, la maggior parte forse, non avevano quell'intento, le immagini, i volti, i paesaggi, venivano catturati dall'obiettivo solo per ciò che, in quel preciso momento, offrivano.
Gli elenchi.
Di esperienze da vivere, libri da leggere, di film da guardare. Durante l'intero anno vengono accuratamente catalogati su fogli, appesi su bacheche o riposti nel silenzio dei cassetti... e non sempre ci si ricorda di loro. Così è necessario che un anno finisca per ricordarci che abbiamo ancora tanto da imparare, provare, assorbire.
I diari.
Trasudano sentimenti e frammenti di emozioni che, rileggendo le stesse righe scritte da te, sembri non riconoscere più. Sfogli le date, i singoli momenti che impregnano pagine e pagine di quel quadernino durato per così tanto, che hai voglia di cambiare. Forse perché in fondo, quella che vuole essere diversa, sei proprio tu.
Le persone.
A volte si perdono, per trascuratezza emotiva o per distrazione. Quando ne ritrovi qualcuna, e riscopri che quell'affiatamento che vi teneva unite resiste ancora, capisci che continuerà a far parte, per sempre, di te.
I ricordi.
La peggiore delle "cose che si perdono". Quelli che ti possono martellare dentro per mesi, che non si affievoliscono mai e che poi, un giorno, anche solo per uno, non ti fanno compagnia. E capisci che forse sì, si è più leggeri senza un passato alle spalle, ma altrettanto poveri. Dopo che li hai persi per un po', magari tornano, e quando si ripresentano, strisciando in silenzio, come solo loro sanno fare, capisci che quel peso ti è servito a diventare la persona che sei.
E così ho la consapevolezza che ogni momento nascosto nella mia memoria mi terrà compagnia anche quando crederò di averlo dimenticato... come le persone, le frasi di un diario, i baci nelle fotografie...
La Rivista Culturale
venerdì 28 dicembre 2012
venerdì 7 dicembre 2012
Presunzione
Il sole di dicembre.
Trovatemi un esempio di presunzione più calzante.
Certo, se escludete le volte in cui ne siete i più candidi emblemi voi stessi. Ecco, presuntuosamente, mi escludo subito da questa mischia.
Mi fingo neve, la bianca e soffice neve.
Che è normale, ce la si aspetta, a dicembre.
La si attende con una certa emozione, anche.
Ma il sole, il sole che ti spacca gli occhi a inizio dicembre no che non te lo aspettavi.
Non scalda. Non fa sbocciare le piante. Non intacca la melanina della pelle.
Sta lì. appeso al nulla, e brilla. Presuntuoso.
Poi, a un certo punto, con un buon preavviso mediatico, sparisce, e nessuno se ne lamenta, perché sta lasciando il posto alla cara neve.
Lei sì che è una brava amante. Ti avvisa, arriva nel momento più consono, quando ormai il freddo non ti lascia scampo. Precipita in silenzio, dolcemente. Si deposita per quello strato che puoi sopportare, senza sostarti addosso un attimo di più. Puoi anche decidere di mandarla via a piacere, basta un po' di sale. A lei brucerà un po', ma asseconderà la tua volontà. Vedi, che amore addomesticato?
Ma io tifo ancora una volta per il sole.
Che ignora il suo "dovere" di scaldarci, prendendoci in giro, trattandoci a suo piacimento e dandoci quasi fastidio, perché nessuno si porta addosso gli occhiali da sole, a dicembre. Ma sicuramente qualcuno c'è. Il premuroso, il previdente, quello sempre attrezzato.
Li invidio, spesso, ma ora no.
Più di tutti invidio il sole che scalfisce da lontano, senza essere coinvolto, solo spettatore.
Che ci prende quasi in giro e si diverte nel vederci socchiudere gli occhi mentre giriamo per strada.
Amore che non si addomestica, forte sempre, anche solo con se stesso.
Amore che non è più bisogno.
"a volte certo capita anche a me di non avere voce per parlare o per cantare
ma in fondo mi conosco, sbaglio tutti i tempi
non era questo forse il migliore per i miei silenzi...
e lo capisco bene mentre io ti guardo arrivare da un cielo terso e limpido
che non nasconde alcun rumore
perdendomi negli angoli del tuo splendore."
Trovatemi un esempio di presunzione più calzante.
Certo, se escludete le volte in cui ne siete i più candidi emblemi voi stessi. Ecco, presuntuosamente, mi escludo subito da questa mischia.
Mi fingo neve, la bianca e soffice neve.
Che è normale, ce la si aspetta, a dicembre.
La si attende con una certa emozione, anche.
Ma il sole, il sole che ti spacca gli occhi a inizio dicembre no che non te lo aspettavi.
Non scalda. Non fa sbocciare le piante. Non intacca la melanina della pelle.
Sta lì. appeso al nulla, e brilla. Presuntuoso.
Poi, a un certo punto, con un buon preavviso mediatico, sparisce, e nessuno se ne lamenta, perché sta lasciando il posto alla cara neve.
Lei sì che è una brava amante. Ti avvisa, arriva nel momento più consono, quando ormai il freddo non ti lascia scampo. Precipita in silenzio, dolcemente. Si deposita per quello strato che puoi sopportare, senza sostarti addosso un attimo di più. Puoi anche decidere di mandarla via a piacere, basta un po' di sale. A lei brucerà un po', ma asseconderà la tua volontà. Vedi, che amore addomesticato?
Ma io tifo ancora una volta per il sole.
Che ignora il suo "dovere" di scaldarci, prendendoci in giro, trattandoci a suo piacimento e dandoci quasi fastidio, perché nessuno si porta addosso gli occhiali da sole, a dicembre. Ma sicuramente qualcuno c'è. Il premuroso, il previdente, quello sempre attrezzato.
Li invidio, spesso, ma ora no.
Più di tutti invidio il sole che scalfisce da lontano, senza essere coinvolto, solo spettatore.
Che ci prende quasi in giro e si diverte nel vederci socchiudere gli occhi mentre giriamo per strada.
Amore che non si addomestica, forte sempre, anche solo con se stesso.
Amore che non è più bisogno.
"a volte certo capita anche a me di non avere voce per parlare o per cantare
ma in fondo mi conosco, sbaglio tutti i tempi
non era questo forse il migliore per i miei silenzi...
e lo capisco bene mentre io ti guardo arrivare da un cielo terso e limpido
che non nasconde alcun rumore
perdendomi negli angoli del tuo splendore."
Sole_Negramaro, dall'album "Una storia semplice"
venerdì 16 novembre 2012
Elenco d'autunno.
La sciarpa attorno al collo perché sennò "prendi freddo".
Il sorriso attorno al cuore che fa da calorifero dell'anima.
L'espressione di una nonna, dopo che riceve un bacio.
I marciapiedi croccanti di foglie gialle e arancioni.
Il tempo che si restringe, col buio che arriva presto.
Le coperte pesanti addosso, la leggerezza sulla pelle.
Le attese del treno con le nuvolette di fumo sulla bocca, a scandire i minuti.
Correre in avanti col pensiero, verso i regali di Natale.
Prendere il nonno sottobraccio e intanto lui fischietta, come sempre.
I colori della frutta.
Il sole inaspettato che, quando splende, vincendo su nebbia e nuvole, rende Novembre brillante, in questa estate fredda dei morti.
Il sorriso attorno al cuore che fa da calorifero dell'anima.
L'espressione di una nonna, dopo che riceve un bacio.
I marciapiedi croccanti di foglie gialle e arancioni.
Il tempo che si restringe, col buio che arriva presto.
Le coperte pesanti addosso, la leggerezza sulla pelle.
Le attese del treno con le nuvolette di fumo sulla bocca, a scandire i minuti.
Correre in avanti col pensiero, verso i regali di Natale.
Prendere il nonno sottobraccio e intanto lui fischietta, come sempre.
I colori della frutta.
Il sole inaspettato che, quando splende, vincendo su nebbia e nuvole, rende Novembre brillante, in questa estate fredda dei morti.
domenica 14 ottobre 2012
La chiamavano Felicità.
Che, ovviamente, divido a metà.
Lo scoppiettio leggero delle bollicine di Verduzzo che scende giù nella gola, dopo un cin-cin al futuro pieno di bei sogni formato extra-large, perché moltiplicati per due.
L'anulare della mano destra, dal 16 settembre 2012.
Il letto disfatto.
I baci inattesi, sempre auspicati.
Foglietti per me, con quel po' di te.
I viaggi passati, quelli futuri. Il presente, in sosta, comunque insieme.
Una felpa larga che mi scalda più delle altre, e so io il perché.
La Buonanotte e il buongiorno. Scritti, letti, e che vogliono trasformarsi al più presto in parole pronunciate dal vivo, l'attimo prima di addormentarsi e quello subito dopo il risveglio.
Condividere tutte le giornate, da quelle zoppicanti a quelle in cui la terra sotto i piedi nemmeno la si avverte più, per la dolce spensieratezza.
La certezza di tutto quello che sei e che sei con me.
e potremmo davvero essere noi, i due protagonisti di Cupid.
...ti respiro e ti trattengo per averti per sempre
oltre il tempo di questo momento.
Arrivo in fondo ai tuoi occhi quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l’anima questa notte senza luna.
Adesso vola tra coriandoli di cielo e manciate di spuma di mare.
Adesso vola.
Le piume di stelle sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri.
Tu che sei nei miei giorni certezza, emozione.
Nell’incanto di tutti i silenzi che gridano vita
sei il canto che libera gioia, sei il rifugio, la passione.
oltre il tempo di questo momento.
Arrivo in fondo ai tuoi occhi quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l’anima questa notte senza luna.
Adesso vola tra coriandoli di cielo e manciate di spuma di mare.
Adesso vola.
Le piume di stelle sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni arrivare leggeri.
Tu che sei nei miei giorni certezza, emozione.
Nell’incanto di tutti i silenzi che gridano vita
sei il canto che libera gioia, sei il rifugio, la passione.
(Mentre dormi, Max Gazzè)
giovedì 31 maggio 2012
il mio eremo virtuale.
Ho voglia di ritornare qui. Dove posso perdermi senza il bisogno di ritrovare il filo delle parole, libera in questo spazio immobile, senza tempo. Sono passati dei mesi senza che scrivessi più, un periodo fatto di impegni concreti, di giorni da vivere "con le mani" più che "con le parole". Ma ora, con il sottofondo di un ticchettio che rende percepibile il tempo che passa, lascio che le mie dita diano corpo (seppure virtualmente) ai pensieri che mi si mescolano dentro.
Ho viaggiato molto, ho vissuto esperienze particolari e indelebili che si sono impresse sulla pelle e al di sotto di essa più di quanto lo possa fare un qualunque tatuaggio. Ho amato e continuo a farlo, prendo fogli e scrivo liste di desideri da realizzare, un giorno. Sogno mettendo sui verbi tanti accenti, "farò", "sarò", "avrò"...e il mio presente assume un senso nuovo se rivestito dell'abito imperfetto del futuro.
Sto leggendo un libro intriso di una forte spiritualità, un libro "àncora", di quelli che te li consiglia qualcuno di speciale e già dal titolo te ne innamori. Lo ha scritto una donna forte, che ha fatto della solitudine uno stile di vita. Ma riempie le pagine descrivendo quanto sia differente l'isolamento dalla volontà di allontanarsi dal mondo, senza però astrarvisi. Scrive di preghiera, di fede, di semplicità con cui vivere insieme alla natura. Io leggo, e la invidio. Per la sua costanza, per la sua scelta seria e portatrice di felicità. Adriana Zarri è nata a San Lazzaro di Savena, come Guccini. Chissà se si sono mai conosciuti. Di sicuro apprezzati sì.
In questo maggio piovoso è esplosa la natura, i fiori sbocciati anzitempo, le foglie rinvigorite a pesare sui rami impreparati a tale tripudio di vita. E i terremoti improvvisi, esplosi insieme a una bomba. Vite che finiscono, interrotte da qualche carica di esplosivo. Nulla di nuovo per i telegiornali che ritornano a urlarci addosso nomi, a sbandierare volti, a invitarci a puntare dita "contro". Così ci disabituiamo a puntare dita "verso".
Posso dire concluso questo post di spezzoni di pensieri, posso tornare tra le parole già scritte, a cercare un po' di spazio in quell'eremo, che non è un guscio di lumaca.
Ho viaggiato molto, ho vissuto esperienze particolari e indelebili che si sono impresse sulla pelle e al di sotto di essa più di quanto lo possa fare un qualunque tatuaggio. Ho amato e continuo a farlo, prendo fogli e scrivo liste di desideri da realizzare, un giorno. Sogno mettendo sui verbi tanti accenti, "farò", "sarò", "avrò"...e il mio presente assume un senso nuovo se rivestito dell'abito imperfetto del futuro.
Sto leggendo un libro intriso di una forte spiritualità, un libro "àncora", di quelli che te li consiglia qualcuno di speciale e già dal titolo te ne innamori. Lo ha scritto una donna forte, che ha fatto della solitudine uno stile di vita. Ma riempie le pagine descrivendo quanto sia differente l'isolamento dalla volontà di allontanarsi dal mondo, senza però astrarvisi. Scrive di preghiera, di fede, di semplicità con cui vivere insieme alla natura. Io leggo, e la invidio. Per la sua costanza, per la sua scelta seria e portatrice di felicità. Adriana Zarri è nata a San Lazzaro di Savena, come Guccini. Chissà se si sono mai conosciuti. Di sicuro apprezzati sì.
In questo maggio piovoso è esplosa la natura, i fiori sbocciati anzitempo, le foglie rinvigorite a pesare sui rami impreparati a tale tripudio di vita. E i terremoti improvvisi, esplosi insieme a una bomba. Vite che finiscono, interrotte da qualche carica di esplosivo. Nulla di nuovo per i telegiornali che ritornano a urlarci addosso nomi, a sbandierare volti, a invitarci a puntare dita "contro". Così ci disabituiamo a puntare dita "verso".
Posso dire concluso questo post di spezzoni di pensieri, posso tornare tra le parole già scritte, a cercare un po' di spazio in quell'eremo, che non è un guscio di lumaca.
Adriana Zarri, 1919-2010
venerdì 17 febbraio 2012
"Ti lascio andare"
Quando le parole diventano catene.
La conversazione agli sgoccioli, gli interlocutori alle loro battute finali e uno dei due, a un certo punto, se ne salta fuori con questa supponenza sottilmente celata da un tono affabile, e dice "Dai, ti lascio andare."
Come una clemenza concessa, una liberazione regalata.
Una persona mens sana dovrebbe avere una qualche reazione, no?
Era per caso prigioniera?
No.
Era, semplicemente, protagonista di un incontro verbale.
Ma l'altro ha sentito la necessità di assumersi la "responsabilità" della "proclamazione" di una fine ufficiale, uscendosene con una frase davvero infelice e, pensandoci bene, priva di senso reale - a meno che non stesse trattenendo con la forza l'interlocutore -.
Parole buttate lì, pour parler. Fino a non farci nemmeno più caso.
Fino a quando un pomeriggio di qualche stagione fa, la tua ex professoressa di lettere ti dà lo spunto per una riflessione e tu le prometti un post su questo argomento.
Perché lei è una persona pura.
Lei ha quella delicatezza nel sentire e nel dire ( in tutte le sfumature di significati di questi due termini ) che sfugge a molti.
Da quell'incontro mi sono ripromessa di non usarla mai, questa espressione che imbruttisce l'anima macchiandola di alterigia.
Meglio, molto meglio, congedarsi con un sorriso.
E magari, all'opposto della tracotanza sopracitata, una dichiarazione di modestia, ricordando l'etimologia del banalissimo "ciao" = "sono il tuo servo".
:) Ciao, a tutti,
La conversazione agli sgoccioli, gli interlocutori alle loro battute finali e uno dei due, a un certo punto, se ne salta fuori con questa supponenza sottilmente celata da un tono affabile, e dice "Dai, ti lascio andare."
Come una clemenza concessa, una liberazione regalata.
Una persona mens sana dovrebbe avere una qualche reazione, no?
Era per caso prigioniera?
No.
Era, semplicemente, protagonista di un incontro verbale.
Ma l'altro ha sentito la necessità di assumersi la "responsabilità" della "proclamazione" di una fine ufficiale, uscendosene con una frase davvero infelice e, pensandoci bene, priva di senso reale - a meno che non stesse trattenendo con la forza l'interlocutore -.
Parole buttate lì, pour parler. Fino a non farci nemmeno più caso.
Fino a quando un pomeriggio di qualche stagione fa, la tua ex professoressa di lettere ti dà lo spunto per una riflessione e tu le prometti un post su questo argomento.
Perché lei è una persona pura.
Lei ha quella delicatezza nel sentire e nel dire ( in tutte le sfumature di significati di questi due termini ) che sfugge a molti.
Da quell'incontro mi sono ripromessa di non usarla mai, questa espressione che imbruttisce l'anima macchiandola di alterigia.
Meglio, molto meglio, congedarsi con un sorriso.
E magari, all'opposto della tracotanza sopracitata, una dichiarazione di modestia, ricordando l'etimologia del banalissimo "ciao" = "sono il tuo servo".
:) Ciao, a tutti,
giovedì 19 gennaio 2012
Appennellare l'ancora. O la propria vita.
L'ho sentito per radio, ieri mattina. Un termine nuovo, settoriale. Da marinaio.
Appennellare. Significa sospendere l'ancora a pelo d'acqua, prima di gettarla in mare.
L'ho subito coniugato in un'altra accezione, l'ho applicato a tutte quelle vite che si lasciano appennellare.
Fuori dal proprio corpo, alla ricerca di un qualcosa di più di quel che si ha.
Ma che dentro, composte, tra la carne, le ossa e il sangue, non ci vogliono stare.
Sono talmente prorompenti che, quando hanno un'occasione, esplodono.
Così nascono i poeti, gli artisti magari incompresi, gli eroi.
Ogni giorno la Terra ne conosce più d'uno.
Noi, nelle nostre case, possiamo scoprirne di rado, in base a quanto tempo i telegiornali hanno voglia di dedicare al servizio. Che ci informa dell'ingegno di un giovane talento, della qualità fuori dal comune di un atleta.
Di un musicista che muore per salvare un bambino.
Così si torna al significato più tecnico di questo termine. Quello che riguarda l'ambito marinaresco.
Un batterista che cede il posto sulla scialuppa a uno sconosciuto. Fa notizia, certo, ma è solo un'eco che si espande dal boato della triste vicenda di qualche giorno fa.
Una nave da crociera che si schianta improvvisamente su uno scoglio forse imprevisto, forse non avvistato.
Qualche vita è affondata assieme al Concordia, con la rabbia di chi rimane e il suono del mare quando si trasforma in nemico, nel cuore.
Giuseppe Girolamo ha lasciato la sua vita fuori dal corpo di cui era proprietario. L'ha esposta al rischio più terribile, in cambio della salvezza di un altro. Di un bambino. Di uno sconosciuto.
Non scrivo per giudicare, per puntare il dito contro.
Riempio queste righe per puntare il dito verso.
Verso un esempio di puro bene.
E allora, impariamo anche noi. A non trattenerci nella nostra ristrettezza. A lasciarci penzolare anche un po' fuori, alle intemperie, prima di decidere che la nostra vita è immensa e basta a se stessa.
A essere, anche noi, àncore per qualcuno.
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