La Rivista Culturale

domenica 1 settembre 2013

Petali rossi per semafori verdi

Il senso di colpa.
La frustrazione per una condizione tanto simile allo schiavismo.
La pietà.
Alla fine, però, a prevalere è l'indifferenza.
Quante volte vorrei tirare giù il finestrino e dargli un euro.
Ma poi, si finisce subito a pensare "beh, ma mica gli cambio la vita, con 1 euro..." e quindi, come sempre, viene ignorato.
Parlo di quel ragazzo dalle fattezze indiane che aspetta, ogni sera, che il semaforo diventi rosso.
Tra quanti solcano la strada ogni giorno, questi poveri venditori di rose sono gli unici ad aspettare che si formino le code.
Le macchine in sosta sono le loro "prede", o meglio dire, la loro "Paga quotidiana".
Non so come funziona il mercato dei venditori di rose ai bordi delle strade.
So che è una delle troppe realtà tristi da cui siamo circondati e, nonostante questo, non avvertiamo quasi  la presenza.
Fuori dal centro commerciale trovi l'africano che ti tende il cappellino salutandoti.
In centro a Milano ti inseguono per rifilarti un libro di storie per bambini, un braccialetto di corda color arcobaleno, un accendino che nemmeno ti serve.
Il marocchino che citofona a casa ogni domenica, e sa che gli arriverà qualcosa, che sia un paio di scarpe usate o qualche moneta.
Ai semafori, invece, i fiori.
Le mimose per l'8 marzo e le rose per tutto l'anno.
Il dispiacere e l'imbarazzo per una situazione che non dovrebbe essere permessa, ai giorni nostri e in un Paese come il nostro.
Ma quanto può durare una riflessione del genere? Quanto realmente poco tempo spendiamo a pensare a come poter migliorare il mondo? Il tempo di un semaforo rosso.
Poi scatta il verde, l'omino delle rose ci saluta, e ci sentiamo subito più sollevati.



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