La Rivista Culturale

mercoledì 18 marzo 2020

Si sta. Come nel mese di marzo. Ognuno a casa propria. A fare videolezioni.

Lo stesso senso di precarietà che aveva Ungaretti, buttato là dentro ad una trincea del Carso.
Non siamo in guerra (anche se dopo i saccheggi ai supermarket delle scorse settimane e l'atmosfera da coprifuoco che aleggia nell'aria, potrebbe sembrare).
Siamo in attesa del ritorno alla normalità.
Aspettiamo di poter tornare alla nostra routine quotidiana, non vediamo l'ora di poter ricominciare a lamentarci del poco tempo che avremo per rilassarci sul divano a guardare quella serie tv che non riusciamo mai a finire, di quel segnalibro che non si sposta da pagina 57, di quella telefonata che siamo sempre costretti a rimandare per mancanza di tempo.

Ecco, quello che ora non ci manca è proprio il tempo.
Le lancette, per alcuni, sembrano non muoversi mai, non scandiscono mattina, pomeriggio e sera, mentre ad altri il giorno non basta mai, per portare a termine tutto quello che si erano prefissati al risveglio.
Io invece...beh, quasi non ho la percezione delle ore che passano, a causa del mio completo assorbimento dalla nuova gestione della didattica, i nuovi progetti, le videolezioni della tele-didattica (il prefisso più abusato di questo periodo!).
Ho sempre avuto qualche problema nell'organizzarmi, una delle mie pecche è proprio la logistica: ho in mente cento cose e ne faccio centocinquanta in contemporanea! Trovo quindi questo lasso di tempo, il tempo dell'attesa, molto stimolante per migliorarmi sotto quell'aspetto. Voglio imparare a darmi dei ritmi da rispettare, senza disperdere energie e minuti in cento rivoli di attività e pensieri differenti.

Smanettare su una tastiera, registrare la propria voce che commenta un power point, intraprendere conversazioni in webcam sperando che i ragazzi partecipino sono tutte nuove abitudini a cui ci si deve abituare in fretta. Ahimè, i tempi in cui per far notare qualcosa bastava esprimersi attraverso qualche smorfia di disapprovazione in stile teatrale per farsi capire al volo, oppure incoraggiare qualcuno appoggiando una mano su una spalla - o meglio, date le mie mani notoriamente gelide, sul coppino, con la mia mossa "cattura-attenzione"- sono un bel ricordo per il momento. Anche ai ragazzi manca la routine, alcuni lo ammettono, altri sono più restii. Ma non è un caso se tra una videolezione e l'altra mi viene chiesto (un po' ridendo e un po' no) "possiamo fare l'intervallo?". E allora giù a creare "elenchi scaccianoia" che contengono titoli di librifilmserietvedocumentari, consigliare attività ricreative, cercare di essere loro vicini anche se filtrati da uno schermo.

Tra arcobaleni di speranza, compiti di realtà, saluti virtuali, quello che sto cercando di comunicare è che è necessario usare questo tempo in maniera diversa dal semplice aspettare.
Ungaretti lo sapeva che la guerra un bel giorno sarebbe finita. Nel frattempo, però, ha scritto quelle poesie su foglietti di fortuna che hanno permesso anche a noi di capire, cento anni dopo, il suo essere nel mondo.
Un invito a ognuno di noi: investiamo questo tempo nella ricerca del nostro "essere" in questo mondo. Riempiamo le stanze delle nostre case di questo senso, perché quando usciremo, arricchiremo tutte le persone che ci incontreranno.





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