La Rivista Culturale

sabato 6 novembre 2010

e poi?


Di getto, porta ordine in quel caos mentale che ti frulla in testa e sputa fuori quello che dentro non riesce a starci più.
Fallo di getto.
Un gesto improvviso, uno schiaffo ai tuoi pensieri.
Non cercare di capire da dove proviene quel forte impulso a scrivere, rispondi semplicemente a una domanda: E poi?
Non lasciare che sfugga l'attimo di pienezza che si è impossessato di te.
Forse si tratta del Daimon di cui parlavano i filosofi greci.
Sai soltanto che lo stimolo di quelle due paroline, quattro lettere accostate e separate da uno spazio, terminanti con un punto interrogativo, quello stimolo ti basta per frugarti dentro e ricostruire, fuori.
E io non potrei scrivere, senza la spinta di quell'«e poi?», che mi fornisce un binocolo per guardar lontano e un microscopio, col quale osservare da vicino.

Apro il mio compagno di viaggio, un quadernino azzurro che accoglie pazientemente i frutti di tutti i miei "e poi?".
Oggi un assaggio di casualità.



Corro in avanti alla stessa velocità con la quale starei immobile.

Tanto vale star fermi, penso.

Invece no.

Perché anche se non mi sposto fisicamente, in quella che dovrebbe essere una corsa, almeno i miei occhi si spingono oltre. Oltre il qui.

Almeno con gli occhi ci arrivo a sfiorarlo, il futuro.

Se resto qui no, non sfioro nulla, nemmeno con gli occhi, non vedo altro.

C'è la tua sagoma a oscurarmi la vista.

Per liberarmi da te, dovrò quindi cominciare dallo sguardo.

Non posso cancellarti con un battito di ciglia, chiuderei le palpebre per un attimo, ma ritroverei la stessa persona, passato quell'istante.

Il mio scopo è non notarti più.

Finire per confonderti col resto del paesaggio.

Perché c'è anche un mondo, attorno a te. Un mondo che è tutto racchiuso in te, per adesso.

Ho deciso, per i miei occhi ti trasformerai.

Forse sarai un albero.

Un salice.

Sì, un salice che si allunga verso il basso.

L'incarnazione naturale più melanconica che si possa manifestare.

Ecco la forma sotto la quale ti presenterai a me, quando sarò in

grado di correre in avanti col peso del corpo e del cuore.

E quel giorno sarò talmente entusiasta che vorrò superare tutto.

Non mi fermerò davanti alla gioia di essere tristi.

Perchè tale è la malinconia.

Sarai uno splendido salice piangente che non catturerà la mia attenzione.

Perché allora non ti riconoscerò, non sarà per indifferenza.

Non mi soffermerò ad osservare la dolce curva dei rami, a sfiorare il manto erboso.

Sarò concentrata a percepire i miei muscoli in moto dopo tanta staticità, il sudore che scivolerà dalla fronte e che appena si incaglierà tra le mie labbra scambierò per lacrime.

Sarà mondo e tu nel mondo.

Non più il mondo in te.

Perché se sapessi ora, intrappolata nella mia immobilità, che tu sei quel salice, riunirei le mie energie per un solo, perfetto slancio, capace di condurmi a te. E sotto le tue fronde restare, infinitamente, immobile.




Dedicato alle Muse che restano, e a quelle che, a volte, se ne vogliono andare.


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