La Rivista Culturale

martedì 26 luglio 2011

a pedalare si impara che...

"Knockin' on Heaven's door" suonava da lontano, in un concerto in playback esibito sopra un palco in piazza.
Il mio orecchio sinistro seguiva il ritmo della canzone, quello destro, invece, teneva un altro tempo.
I battiti di un cuore coperto da una felpa.
Perché la sera, tra le montagne, scende sempre un po' di freddo, giù dagli angoli delle stelle, assieme al buio.
Io me ne stavo lì, intrappolata in uno di quegli abbracci che solo due corpi innamorati sanno creare. 
Quegli incastri perfetti.
Il profumo di frittelle e di festa riempiva l'aria, mentre dal sacchetto stretto tra le dita, saliva silenzioso un odore di nuovo.
Le pagine di un libro ancora vergine d'occhi, un libro che non è un romanzo, ma un insieme di piccoli racconti, gli stessi che amo scrivere, perché nella loro brevità possono riuscire a racchiudere esattamente quella scheggia di sensazione che altrimenti si confonderebbe col resto del legno della mia corteccia.
Colpita già dal titolo. "Il contrario di uno", di Erri De Luca.
E quindi stavo lì, gambe stanche per i km divorati dai pedali di una giornata diversa, di quelle che programmi da mesi e che fino all'ultimo non puoi sapere come andrà.
Noi, quattro ragazzi nella loro estate, a godersi una breve vacanza, piccola come la tenda in cui abbiamo dormito, buona come le fresche brioches alla marmellata che ci davano il buongiorno, indimenticabile come quei paesaggi ammirati dall'interno, mentre li attraversavamo sfrecciando sulle nostre biciclette nelle discese che ci accompagnavano a Lienz.
Abbiamo percorso molte strade pedalando,e ho avuto l'occasione di riflettere un poco su quanto una semplice gita in mountain bike possa insegnare.
A pedalare si impara che tu hai il tuo sentiero, con le indicazioni e la via da seguire che si allunga davanti ai tuoi occhi, pedalata dopo pedalata. 
Ma non è l'unica. Puoi improvvisare, puoi sbagliarti e trovare un'altra strada, forse più lunga, forse meno semplice. Puoi perderti e puoi ritrovarti. 
Ma almeno la crei tu, una strada che sia la tua, non i segnali.
Si impara che arrivi al punto in cui hai una salita da affrontare e allora puoi decidere tu. 
Se stare in sella, scalare le marce e darti una spinta per farlo da sola. Per riuscirci con le tue forze e andarne fiera.
Oppure cedere alla fatica e trascinare su la tua vita assieme alla bici, dandoti per vinta. 
Per arrenderti alle tue debolezze, e alzare le spalle, pensando "vabbè, non importa". E andarne meno fiera.
Impari che hai bisogni di guardare sempre dritto se non vuoi perdere l'equilibrio facilmente, perché per voltarti indietro devi essere già brava, devi avere la certezza che non cadrai, se proprio vuoi concederti una sbirciatina alle tue spalle.
E cercare con gli occhi il paesaggio che ormai hai già superato, gli scorci di vissuto che ti sei seminata dietro. 
Il tuo passato.
A pedalare si impara che le gambe bruciano e la gola diventa secca, soprattutto se il sole c'è e ti picchia in testa, ma non puoi permetterti sempre di viziare il tuo corpo. 
Si impara anche a dire no, pedalando. Vivendo.
Impari a prestare attenzione a tutto quello che ti circonda, anche se si tratta di semplice natura.
E, infine, ti accorgi.
Perché non è vero che tutte le parti fondamentali della vita si imparano.
Alcune le scopri vivendole e basta.
E allora, in quei casi, succede che ti accorgi.
Che sei da sola a spingere su quei pedali, per proseguire.
Ma tutto cambia, se qualcuno compare al tuo fianco.
Anche solo per rincorrerti nelle discese, o incitarti nelle salite.
Sai che c'è, e non hai bisogno di scrutare l'orizzonte per verificarne la presenza. 
Ti è accanto, costantemente.
E km dopo km ti fa persino dimenticare di quel dolore alle gambe, perché l'unico valore è quel sentiero da percorrere.
Insieme.


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