La Rivista Culturale

venerdì 26 aprile 2019

(R)esistenza

Perplessità nei loro occhi che si inchiodano sulla mia frangetta che sembrano non gradire particolarmente. Io li saluto, come ogni mattina, solo che oggi, dopo una settimana di pausa-lezioni, ho un nuovo look. E figurati se a loro scappa... Mi fanno sorridere per come non riescono a filtrarsi, per la loro spontaneità nel non saper nascondere se qualcosa li lascia un po' "così".
"Vabbè, tanto poi ricrescono!" e mi scappa proprio da ridere.

Intanto procedono ancora un po' assonnati, con gli sguardi di chi non ha poi tutta quella fretta di tornare al proprio posto, seduto su una sedia di legno per cinque ore di scuola (che essendo appunto "scolastiche", tendono magicamente a protrarsi ben oltre i 60 minuti, specialmente per quegli alunni con poca voglia di starsene lì, in quell'aula...).
Parole veloci scambiate coi compagni, pagine che scorrono veloci tra le dita a ripassare le catene montuose statunitensi.
Il ritorno a scuola dopo una parentesi di vacanza, con un "bentornati" al retrogusto di compito scritto di geografia può non sembrare proprio allettante... ma in fondo questo test è una passeggiata e lo ammettono pure loro.
Comunque a me interessa arrivare all'ora successiva.
Quella in cui affronterò insieme ai miei ragazzi una data, un singolo puntino nella storia che si ripete puntuale ogni anno e che merita la giusta importanza.

Suona la campana, ritiro i fogli geografici.

"Che cosa facciamo ora prof?"
io sono indecisa su cosa rispondere... vorrei rimanere sul vago per accostarli piano piano, farli arrivare tracciando un sentiero. "Beh, io ho preparato delle fotocopie che vi distribuirò... però vedremo anche dei filmati e imparerete cose davvero importanti."
"Sì ma che lezione è? Italiano, storia...?"
"..."
"..."
"diciamo...una lezione di vita."

Forse ho usato un'espressione esagerata, ma in fondo il trucco del prof è anche "teatralizzare".
E bisogna dare enfasi a ciò che la merita.
Chiedo quanti di loro sanno che cosa si è festeggiato ieri.
Risposte meccaniche, o qualche battuta sulle feste in genere, che ci permettono di stare a casa da scuola.
Allora parto con un video. Dei signori tutti in fila con uno striscione che recita la scritta "Onore a Benito Mussolini". Un tizio davanti a quella fila che grida, sembra stia impartendo ordini.
Qualche secondo appena, e il video termina.
Loro zitti.
Sguardi curiosi, interrogativi. Abbiamo giusto studiato le nefandezze di questo criminale dittatore che portò l'Italia al disastro, e oggi c'è gente che lo inneggia? Con tanto di insulto finale ai tifosi del Milan, come ci fosse una qualche connessione logica tra quei tizi, lo striscione, Mussolini e il Milan.

Parto con le domande, voglio incalzarli.
Loro sono reattivi, e quanto mi piacciono quando si animano e partecipano, spronandosi a vicenda a rispondere alle mie sollecitazioni.
Passiamo a parlare degli insulti negli stadi, a cori che invece che di tifo positivo si trasformano in offese pesantissime.
E poi eccolo lì, il primo tassello per la strada che voglio far loro percorrere: "Ieri si è festeggiato un evento storico senza il quale ora, non ci sarebbe la possibilità di manifestare oppure la possibilità di scegliere di NON manifestare. Questa data fu il 25 aprile 1945".

"«Nel fascismo non c’era libertà di espressione: gli oppositori venivano bastonati, deportai e uccisi. Le tre parole usate erano credere, obbedire e combattere. Obbedire agli ordini, anche quelli più insensati e crudeli, odiare i dissidenti, gli ebrei e gli stranieri. E c’era l’assurda convinzione che tutto si potesse risolvere con la violenza. Aggredire e soggiogare. L’ossessione per il nemico, sempre e dovunque.  Se oggi, in tanti, ci troviamo qui e in tutte le piazze italiane è perché non possiamo, e non vogliamo, dimenticare il sacrificio di migliaia di italiani, caduti per assicurare la libertà di tutti gli altri. La libertà nostra e delle future generazioni. Il 25 Aprile è un “doveroso ricordo” che ci spinge a stringerci intorno ai nostri amati simboli: il tricolore e l’inno nazionale.
 

Cito pezzi di discorso di Mattarella.
Cito pezzi di articoli di giornale. Voglio scuotere le loro coscienze, arrivare al succo di una delle feste più importanti della nostra nazione.
Vediamo brevi video di testimonianze di donne e uomini della Resistenza.
"Prof, c'è anche una canzone vero...?" e colgo l'occasione per diffondere nella classe note e parole di "Bella ciao", che alcuni di loro già conoscevano per averla sentita in un telefilm.
Prendo dallo zaino "Storie della buonanotte per bambine ribelli", racconto la biografia di una partigiana coraggiosa, e intanto loro assorbono informazioni che spero restino incastrate nelle reti della memoria non per una interrogazione, ma per imparare ad apprezzare davvero i valori su cui si fonda il libro cardine di ogni italiano: la Costituzione.

Per finire mi dedico a qualche stralcio di un libro che ho divorato ieri pomeriggio, "La mia resistenza", un romanzo per ragazzi di Roberto Denti. Leggo dei passaggi, alcune cose le sanno già perché studiate in storia, altre le stanno scoprendo solo ora.
Suona l'intervallo, impossibile trattenerli oltre.
Forse preparerò un kahoot su queste informazioni che ho condiviso con loro, forse lascerò che il tutto si sedimenti e produca i frutti nella loro crescita.
So per certo che ho voluto salutarli con una frase simbolo di tutta questa lezione, pronunciata da una Donna del '900:

Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone ‘resistenza’

Liliana Segre



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