La Rivista Culturale

martedì 14 maggio 2024

Dovrei.

Ritirare i vestiti stesi. Stirare tutti quelli che giacciono nell'armadio, impilati sull'asse ben chiusa su se stessa all'interno dello stesso. Sistemare in giro. Fare un cambio armadio. Seguire in differita uno dei mille webinar di formazione docente che ho salvato. Portarmi avanti con il menù delle prossime cene. Sistemare l'armadio dei libri di scuola (ogni volta lo riordino, ma regna sempre e comunque un discreto caos). Preparare dei pancake per averli già pronti per la colazione di domani. E, invece, sono qui. A battere le dita sulla tastiera, mentre lei dorme di un sonno apparentemente profondo e rigenerante. Lei che mi è a volte difficile decifrare, bimba di burro dall'espressione seria capace di sciogliere il cuore non appena esplode in un sorriso. Lui è dai nonni, tornerà tra qualche ora. Per cui mi godo questo momento (minuti preziosi) di tempo per dedicarmi a qualcosa che apparentemente non ha peso, ma di cui ho bisogno, desiderio, piacere. Scrivere. Anche se sono solo riflessioni di donna-mamma-moglie-figlia che nessuno ha richiesto di leggere qui, pubblicamente, ma che mi piace lasciare come traccia virtuale. Penso a quanto sia un incastro delicato, questo periodo della mia vita, agli equilibri precari e sempre in via di modificazione che ci accompagnano. Ritmi, riti in continua mutazione, per assecondare bisogni e provare a farlo nel migliore dei modi a mia disposizione. Sbagliando cento volte, provando a rimediare duecento. Quando ci eravamo imbarcati nell'avventura di Zeno, tutto era concentrato su di lui. Creare routine, attenzioni massime a ogni fase di crescita, a ogni traguardo. Poi invece, ci si deve reinventare, quando tutto raddoppia. La fatica, la gioia, la stanchezza, le risate. Non considero quello di mamma o papà un "lavoro". Sono a casa in maternità, riprenderò a settembre la mia routine di insegnante, e ora cerco di convivere con ogni mio giorno mettendoci impegno, a volte senza riuscirci quanto vorrei, ma sentendomi protagonista della fase di crescita di due bambini per i quali sono punto di riferimento, non di certo "datore di lavoro". Sicuramente sfiancante molte volte, dalle messe a nanna in cui bisogna inventarsi metodi alternativi per far arrivare Morfeo nella cameretta, ai momenti di quasi treannitudine che esplodono dirompenti. E quindi sì, dovrei fare un elenco infinito di cose, incombenze da portare a termine. Eppure già mi sento più leggera ad aver dedicato dei minuti a questo post. Non mi sento una da "sacrifico me stessa per il bene dei miei figli" del tipo "Non ho neanche un secondo per fare la pipì perché toglierei tempo ai miei pargoli", perché il tempo per se stessi va mantenuto, va fatto fiorire, altrimenti si appassisce e si contaminano anche le cose belle che ci circondano. Proprio come la piantina nel vasetto giallo sulla finestra, a cui Zeno ha dato il nome Porridge in onore alle colazioni della mamma, quelle foglioline nate da semini che ha portato a casa dalla scuola il mio bambino, per prendersi cura di qualcosa che cresce insieme a lui. Chiudo questa riflessione non richiesta anche perché arrivo da un discreto pisolino pomeridiano, come non mi succede praticamente mai, difficile come sono a cedere al sonno diurno, nonostante a volte la stanchezza sia devastante. Ora spengo il pc. Provo a tirare fuori l'asse da stiro. Se lei si sveglia, i panni resteranno lì un altro po'. Perchè a quel punto sì che DOVREI godermi quegli occhioni blu.

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